Fece il gesto di restituire la vecchia chitarra, ma Emmett lo fermò. — Tienila — disse.
Michael stralunò gli occhi. — Non è un’eredità. Finché la suoni, tienila. Se ti stanchi di suonarla, me la riprenderò.
Michael si cullò la chitarra in grembo. La luce pomeridiana si rifletteva sulla vernice. Non era poi così male come voleva far credere Emmett. Il dolore alle dita era passato, quindi il ragazzo impugnò lo strumento e fece un paio di accordi di un vecchio pezzo di Paul McCartney, Yesterday.
Emmett annuì con interesse. — È carina. L’hai inventata tu?
— Cosa? Non l’hai mai sentita?
— Avrei dovuto?
— I Beatles — disse Michael. — Sai, Lennon e McCartney. Sergeant Pepper, Abbey Road?
— Mai sentiti — disse Emmett allegramente. — Suonano alla tua scuola?
E così, Michael fu costretto nuovamente a ricordarsi che aveva fatto un lungo viaggio in macchina con sua zia Laura.
Era facile dimenticarselo. Non era come trovarsi in un paese straniero. Tutti parlavano inglese, e tutti guidavano sulla parte destra della strada. Tuttavia, pensò, quello era un paese straniero. Il concetto gli era familiare, grazie ai libri di fantascienza che aveva letto, un mondo parallelo.
Facile a dirsi. Meno facile averci a che fare. Aveva giocato a palla con Emmett sulla spiaggia, aveva guardato la TV, in pratica in quegli ultimi giorni si era comportato come se tutto fosse stato normale. Capiva che era questo che sua madre voleva da lui, e per il momento, almeno per un po’, era disposto a darglielo. E l’illusione funzionava; per diverse ore riusciva effettivamente a dimenticarsi quanto era successo in macchina, o prima ancora, a casa, con l’Uomo Grigio.
Ma poi la sua mente tornava indietro, e si ricordava che in realtà era uno straniero in quel luogo. E allora si affollavano le domande. Era ovvio che Laura possedeva quell’abilità, di uscire dal mondo lateralmente, e di conseguenza la possedeva anche sua madre, e forse poteva anche spingersi un po’ più in là; forse la possedeva anche lui.
E allora, che cos’erano? Una famiglia di mostri? Stregoni? Alieni spaziali?
L’erba gli aveva asciugato la gola, rendendogli la voce roca. — Credi che mia madre abbia qualcosa di strano? — disse.
Emmett sembrò imbarazzato dalla domanda. — Troppo presto per dirlo, amico. Tu che cosa ne pensi?
Michael scosse il capo. Non aveva importanza. — E Laura?
— Le voglio bene — disse Emmett cautamente. — È questo che vuoi sapere?
— No, no… voglio dire; che cosa penseresti se ti dicessi che è una strega?
— Direi che è meglio che moderi il tuo vocabolario. E che forse rivoglio la mia chitarra.
— Non intendevo questo. Intendevo… roba come poteri magici, e così via.
— Magia? — Emmett sembrava divertito. — Tua madre ha ragione, ragazzo. Forse dovresti star lontano da questa roba.
Così, Michael se ne andò a passeggiare sulla spiaggia, da solo.
Si portò dietro la chitarra di Emmett. La sua chitarra, adesso. La portava con cautela, cosciente del fatto che l’erba aveva influito leggermente sul suo equilibrio. Si fece strada fra le rocce per quello che gli sembrò un periodo infinito, ma quando si guardò alle spalle la casa era ancora perfettamente in vista. Si appollaiò su un blocco d’argilla dal quale poteva vedere la casa, così avrebbe saputo quando tornava sua madre ma senza essere necessariamente visto. Suonò alcuni accordi a vuoto. Evidentemente la roba di Emmett era piuttosto forte. Marijuana da mondo parallelo. Chiuse gli occhi e si sdraiò sulla superficie piatta della roccia, lasciando che il sole pomeridiano l’inondasse.
Io sono ciò che è mia madre. Io sono ciò che è la zia Laura.
Logica inconfutabile. Tuttavia, quel “ciò che è” rimaneva inspiegato.
Avvertì una specie di formicolio alle estremità, come un tremare delle dita. Premette le palme sulla superficie calda e sabbiosa della roccia. Argilla calda e catrame di spiaggia. Sono aggrappato, pensò. Mi sto ancorando qua.
Un’illusione, naturalmente. La solidità delle cose. La loro realtà. Che cos’era un mondo se ci si poteva uscire in macchina? Si rese conto che era una vecchia paura, e che una volta andava a letto con quella paura, la paura di sognare e di ritrovarsi accidentalmente fuori dal pianeta.
Non era mai successo. Non accidentalmente. Ma forse lo poteva fare di proposito.
Era una possibilità che non aveva mai osato considerare. Il solo fatto di farlo ora, sia pure nell’intimità della sua mente, lo faceva rabbrividire. Lo strano formicolio nelle sue mani aumentò; se fosse stato un suono, pensò, sarebbe stato un gemito acutissimo.
— Fallo — sussurrò.
Nessuno lo poteva ascoltare, tranne il mare e quel cielo increspato di nubi.
L’erba di Emmett aveva spazzato via le sue inibizioni. Lasciati trasportare, pensò. Perché no? Perché non ora, perché non qui?
— Fallo.
Si alzò a sedere, e allungò le braccia davanti a sé. Era cosciente del rumore del mare che si frangeva sugli scogli, e di un gabbiano distante che girava in circolo nel cielo per poi scendere in picchiata. Unì dapprima i due pollici, poi i due indici, formando un cerchio di mare e cielo fra le sue mani. Come uno schermo televisivo privato, pensò. Il formicolio si trasformò in una sensazione simile a un’ondata di elettricità. Quattro miliardi di volt correvano urlando nella sua spina dorsale, per concentrarsi ora tutti in quel cerchio di aria. Era una sensazione sconvolgente.
Allora, che cosa c’è alla tele?
Strinse gli occhi.
Immaginati che ci sia una tempesta, lì. Un vortice, un mulinello, e il mulinello è la somma di tutte le possibilità; porte e angoli che si aprono da questo luogo in centomila direzioni. Scegline uno da quella moltitudine. Sentilo. Seguilo.
Chiuse gli occhi, e li riaprì.
Teneva nelle mani un mondo verde e rosso.
Avrebbe potuto essere la stessa costa, Ma nel panorama che vedeva attraverso la cornice delle sue dita non c’era mare. Il verde era il verde delle alghe, di un ammasso in putrefazione che occupava uno spazio vastissimo, che svaniva solo all’orizzonte. Il rosso era il rosso degli ossidi e della polvere, della spiaggia priva di vita. Spostò le sue mani in direzione del paese, e vide un cratere, come uno stadio di baseball. Alcune figure si muovevano fra il pietrisco bruciacchiato attorno al cratere; figure con ruote, e con corpi simili a gru di acciaio luccicante. Macchine.
Le macchine cantavano a se stesse.
Cambiamento, pensò Michael, irritato.
Sfogliò di nuovo il libro delle possibilità.
Un mondo migliore, questa volta. Un mondo che sembrava venisse dalla copertina di un vecchio numero di Popular Science; veicoli alati, palazzi a cupola, moli di ossidiana che si insinuavano nell’acqua. C’era un porto pieno di barche con le vele di un bianco accecante. A diversi metri di distanza vide una bandiera; rossa con un simbolo nero: una foglia e un martello.
Michael stava sudando, ma era come ipnotizzato.
Cambiamento, si disse.
Una spiaggia deserta questa volta; né barche né uomini; solo alcune giovani foche che giocavano nelle pozze della marea. Le foche sollevarono i musi, come se avessero avvertito la sua presenza.
Cambiamento.
Neve che cadeva su strutture di metallo a spirale, nere e cupe…
Cambiamento.
…uomini in pelliccia che accendevano un fuoco…