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Cambiamento.

…un mare pieno di navi grandi come intere città…

Cambiamento.

Smise quando fu completamente esausto.

Si accasciò sulla rassicurante piattezza della roccia.

Gli girava la testa.

Ci sono veramente, là fuori, pensò. Tutti quei luoghi, e milioni di altri.

E non si trattava solo di vederli. Ci sarebbe potuto andare. Avrebbe potuto attraversare la più impenetrabile delle barriere.

Capì che aveva un sacco di cose da imparare. Aveva sparato la sua attenzione in una dozzina di direzioni diverse, e forse questo non era buono. E per di più, non poteva certo spinellarsi ogni volta che voleva fare questo… e sapeva che voleva farlo ancora. Almeno aveva provato una cosa a se stesso; qualsiasi cosa potessero fare loro, la poteva fare anche lui.

È una cosa di famiglia, pensò.

Niente più segreti.

Si voltò verso la casa, e vide la macchina della zia Laura che si fermava. Ne uscì sua madre, che lo stava già cercando con gli occhi, con quell’aria ansiosa che assumeva molto spesso in quei giorni.

Ma le cose erano cambiate.

Michael si alzò in piedi, prese la malconcia chitarra di Emmett per il manico, spazzolò via la sabbia da dietro i suoi pantaloni, e si incamminò verso casa.

9

Michael rimase silenzioso, quella sera a cena. Anche sua madre era silenziosa, mentre faceva smorfie nell’ampia scodella orientale che le aveva piazzato davanti la zia Laura. Solo Laura parlava, mentre affettava lo zenzero o curava la sua pentola cinese wok.

Parlò del suo lavoro. Faceva la ceramista, e aveva un forno nel deposito dietro la casa, dove lavorava terracotta e porcellana che vendeva a caro prezzo ai negozi di souvenir lungo l’autostrada. Stava pensando a un nuovo tema floreale; qualcosa di semplice. Classico. Oh, e il cavolo cinese era fresco oggi. — Ha tutto un odore così buono, — disse la madre di Michael con aria distratta. — E il tempo, non era meraviglioso? — Lo era. — E così via.

Ma ogni tanto Laura guardava Michael con aria pensierosa. Lui se ne rese conto e iniziò ad acquistare una certa coscienza di sé. Capiva che il talento segreto di sua zia era abbastanza forte e palese, se si sapeva che cosa cercare: una specie di aura, o di emanazione. Michael si domandò se non avesse acquisito anche lui lo stesso aspetto.

Ma nessuno disse nulla.

Si svegliò il mattino dopo, ansioso di mettersi nuovamente alla prova. Sedette impaziente per tutto il rituale della colazione, guardò un po’ di televisione e indurì i suoi calli con la nuova chitarra. Voleva sgusciar via senza dare nell’occhio. Ma la situazione era un po’ tesa, con la zia e la mamma che giravano per casa in circoli continui. Stava quasi per arrendersi quando un paio d’ore prima dell’ora di pranzo sua madre annunciò che sarebbe andata lei a fare la spesa; era il minimo che potesse fare, disse, e se ne andò con la macchina della zia Laura, una lista delle compere, e una manciata di quelle assurde banconote di stato che a Turquoise Beach passavano per denaro. Michael salutò la Durant, poi s’incamminò con aria indifferente verso il retro della casa, con l’intenzione di passare accanto al laboratorio di ceramica per poi arrivare alla spiaggia. Ma quando aggirò la baracca del laboratorio, vide Laura che l’aspettava accanto al cancelletto di canne. Era troppo tardi per tornare indietro.

La zia Laura gli piaceva. Era solo un paio di anni più giovane di sua madre, ma sembravano molti di più. Lo metteva a suo agio. Era quasi sempre contenta. E questo era un grosso contrasto. In quei pochi giorni che avevano passato lì, Michael aveva cominciato a capire quanto fosse infelice sua madre in seguito al divorzio. La loro casa di Toronto era stata un profondo pozzo di silenzio. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano sorrisi veramente? Un sacco di tempo.

La zia Laura invece sorrideva. Sorrideva anche adesso, in piedi accanto al cancelletto malandato con i suoi Levi’s e la sua maglietta. Aveva un paio di occhiali da sole rotondi, del tipo che Michael considerava occhiali alla John Lennon.

— Passeggiata? — gli chiese. Il tono della domanda era mezzo divertito e mezzo serio.

Michael era imbarazzato. — Più o meno.

— Sai — disse lei — credo che dovremmo parlare un po’.

— Mi piacerebbe — disse lui. — Qualche volta. Certo, ma…

— Parlare di te, Michael — disse. — Di ciò che sei in grado di fare. Di quello che stavi facendo sulla spiaggia ieri.

Non poté far altro che fissarla.

Laura aveva tirato a indovinare sulla lunga passeggiata di suo nipote del giorno precedente; basandosi su alcuni indizi, in particolare il suo aspetto, e su alcuni commenti di Emmett. A giudicare dalla sua espressione, aveva indovinato in pieno.

Ma la cosa più stupefacente, pensò Laura, era che non era mai accaduto prima di allora.

Guardò il nipote con la massima obiettività. Era un esemplare ragionevolmente rappresentativo del genere maschio adolescente. Un po’ sparuto con la sua felpa blu, i jeans slavati, i capelli corti e le scarpe da ginnastica Nike macchiate di sabbia. Stava cominciando ad abbronzarsi, e una leggera acne giovanile era in via di scomparsa. Aveva occhi scuri, e a volte furtivi, in un modo che le ricordava Karen. Anche Karen aveva quella stessa abitudine di evitare le verità scomode, ma in Michael era meno pronunciata.

Un tratto di famiglia, pensò.

Mio nipote, pensò. Il figlio di Karen. L’unica generazione che abbiamo prodotto… a meno che Tim non fosse in giro a mettere al mondo stregoni.

Passeggiò con lui lungo le viuzze silenziose dietro casa. Turquoise Beach era un paese di giardinieri, e le piaceva molto tutto quel verde tropicale che si riversava fuori dai giardini e dai pergolati: bouganville, aloe, edera. In mattinate come quella, l’aria era carica di profumi selvatici.

Sarebbe veramente dura lasciare questo luogo, pensò.

Ma non avevano ancora raggiunto quel punto.

— Tua madre non ti ha mai parlato di come andavano le cose a casa nostra? — disse. — Di tua nonna e tuo nonno, e di com’era la vita con loro?

Ovviamente, Michael non si era ancora adattato all’idea di quell’intervista. Scosse il capo. — Non molto. — Il che significava, pensò Laura, probabilmente mai.

Radunò i suoi pensieri. Come comunicare quello che intendeva dire in un modo che avesse senso per un ragazzo di quindici anni? Troppe antiche sofferenze. Era difficile trarne una buona storia. — Eravamo in tre — disse — io, tua madre e Tim. E poi tuo nonno e tua nonna. Ci muovevamo molto, ma papà aveva la sua targhetta d’ottone che attaccava ovunque ci spostavamo, “I Fauves”. Mi è sempre sembrato il nome di un qualche animale esotico. E a volte pensavo che eravamo proprio così; una specie separata.

Lo sguardo di Michael era circospetto ma interessato.

— Mamma e papà erano quelli che si possono definire gente normale. Gente da Mon Valley, o da fiume Ohio. Lo sento ancora, nel modo in cui parla tua madre… e anche in me, alle volte. Papà ha lavorato in diversi posti. Nelle fonderie, soprattutto, quando l’industria dell’acciaio era ancora fiorente. Era un saldatore, e sapeva usare il tornio. Ma beveva molto, e lo licenziavano spesso. Abitammo per un paio d’anni a Duquesne, e poi in diversi posti nei dintorni di Pittsburgh. Era un po’ difficile vivere con lui; conduceva una vita triste e amara. Infieriva parecchio su noi ragazzini — prese fiato, e vide che Michael la stava ancora ascoltando. — Forse per me era più facile. Io ero carina, ed ero quella di mezzo. Tim era il maschio. Quindi da lui ci si aspettavano certe cose. E Karen… be’, tua madre era la più grande, e forse era nella situazione peggiore. Ogni volta che io e Tim facevamo qualcosa che non andava, era lei quella che le prendeva.