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Karen fu improvvisamente proiettata nel suo sogno, nelle strade buie di quell’altra città di mare, con i ciottoli freddi sotto i suoi piedi nudi, e l’Uomo Grigio — era proprio lui — che offriva loro dei doni dalle cavernose profondità delle sue tasche. E anche Laura lo ricordava, e di conseguenza non era un sogno. Si trattava di un ricordo, e solo il suo disperato desiderio di non crederci l’aveva convinta del contrario. — Non può trovarci qui — disse.

— Non sai quanto mi piacerebbe crederlo. Solo che non so se sia vero o meno. Il fatto è che noi non lo sappiamo. Non è proprio questo il punto? Non ne sappiamo abbastanza per proteggere noi stessi.

— Ma hai detto tu che qui saremmo stati al sicuro!

— Più al sicuro del luogo in cui vivevate. Ma non so ancora per quanto.

— Non voglio tornare a casa — sussurrò Karen. — Non voglio tirare fuori nuovamente tutto quel casino.

Laura strizzò lo straccio dei piatti e lo appese ad asciugare. Si avvicinò a Karen, e le appoggiò le mani sulle spalle. Il contatto era fresco, rilassante. — Neanch’io — disse. — Tu non sai quanto io desideri non tornare a casa. Non lo farei per me stessa, e se vuoi sapere la verità, non lo farei neanche per te. Ma credo che invece dobbiamo farlo; per Michael.

Quella notte, Laura dormì al piano di sotto, con Emmett. La loro relazione andava e veniva, solitamente a discrezione di Laura. Emmett era quasi patologicamente indifferente per quanto riguardava le relazioni. Se Laura voleva essere la sua donna, gli stava bene. Se aveva qualcos’altro da fare, o qualcun altro da vedere, be’, riusciva a vivere anche così.

Non era una atteggiamento malsano; e per di più rispecchiava abbastanza l’approccio della stessa Laura, ma certamente peccava di qualcosa dal punto di vista della passione.

Ma quella sera, lei aveva bisogno del suo calore. Stava sdraiata accanto a lui nel suo letto, un vecchio letto malandato con le colonnine che aveva recuperato in un negozio di anticaglie a Pueblo de Los Angeles, accoccolata nell’incredibile materasso di piumino. Avevano fatto l’amore, e ora la stanza da letto era buia o fresca; una nicchia confortevole. A volte le piaceva immaginare il letto di Emmett come una barca a vela alla deriva in mezzo al mare, con le assi che scricchiolavano. Pensava che era un buon modo per addormentarsi.

Emmett si alzò a sedere, accese una canna e gliela passò. Lei tirò, ma solo un pochino. Aveva paura di andare in paranoia. Ma così andava bene, perché avrebbe smussato gli angoli delle cose. Quella sera voleva tranquillità, calma e rilassamento.

Al di fuori delle tende di bambù c’era l’oscurità, e il suono delle onde. La grande mano di Emmett si mosse adagio, accarezzandole una spalla. Il lenzuolo di Emmett era leggero e fresco come la pioggià. Emmett fece un gran tiro, e lei vide la brace dello spinello che brillava nell’oscurità.

— Che cosa penseresti se io me ne andassi? — chiese, quasi senza volerlo.

Emmett, i cui tempi di reazione erano piuttosto lenti anche quando non era fumato, ci pensò su. Dopo un po’ disse: — Dove te ne vai? E per quanto tempo?

Accarezzò i peli irsuti del suo petto. — Non posso dirti dove. Forse per un po’.

— Tanto tempo?

— Potrebbe anche essere. Che cosa diresti?

— Ti chiederei — disse Emmett con aria pensierosa — se intendi tornare o no.

— Tornerò quasi sicuramente — disse — Stai sfuggendo alla domanda.

— La sai già, la risposta. — Si sedette a gambe incrociate, e lei ammirò il modo in cui un raggio di luce lunare giocava sulle sue anche nude. Carne pallida, come montagne distanti. — Mi mancheresti fino al tuo ritorno — disse.

Avrebbe dovuto farle piacere. Stranamente, non fu così.

Era arrabbiata con Emmett, e anche con se stessa. Che cosa voleva realmente che le dicesse? “Non posso vivere senza di te?” “Rimani o mi sparo un colpo?” Aveva coltivato un certo tipo di relazione, e non poteva certo lamentarsi se lui cooperava.

Eppure (ora la sua irritazione stava raggiungendo il culmine), non si trattava solo di Emmett. Si trattava di tutto; di Turquoise Beach, e della sua vita lì. La visita di Karen aveva risvegliato troppi vecchi ricordi. Laura era arrivata subito dopo la sconvolgente spirale psichedelica di Berkeley alla fine degli anni sessanta, e Turquoise Beach le era sembrata come una colonia distante, un avamposto più dolce dello stesso impero frastornante.

Eppure… eppure in quei giorni era stata carica di energia, ossessionata dall’idea di andare oltre, più avanti, più in profondità. Da allora, anche se in maniera impercettibile, un centimetro per volta, la sua vita era rallentata. La rivelazione finale, quella che chiamavano la “luce bianca” nelle loro sedute universitarie a base di LSD, rimaneva sempre al di fuori della sua portata. E così il fervore era sceso. E la vita era diventata semplicemente piacevole.

La sua relazione occasionale con Emmett era piacevole. Sarebbe sempre stata piacevole. Ma Karen, e questo Laura non se l’era aspettato, aveva portato un esempio di moralità. Karen era arrivata lì con il suo conformismo coercitivo, la sua eccessiva considerazione per la “normalità”, con tutte le sue vecchie paure intatte; eppure Laura aveva visto il modo in cui si preoccupava per suo figlio; in maniera profonda, inesprimibile, con tutto il cuore, e aveva capito che le sue passioni, al confronto, erano insignificanti, e che la sua idea dell’amore era limitata ed egoistica. Karen amava Michael in un modo che andava veramente oltre, più avanti, e più in profondità.

Sentì un’ondata di vertigine causata dalla fortissima erba di Emmett. Ebbe l’impressione che il letto roteasse all’indietro. La notte aveva preso improvvisamente il sopravvento, come un muro.

L’amore, pensò, è una cosa molto pericolosa.

Emmett si stiracchiò, prossimo ad addormentarsi. Girò la testa sul cuscino. — Sai — disse con voce distante — Mike aveva ragione, forse sei veramente un po’ strana.

Ma il tempo passò; una settimana, dieci giorni, e Laura iniziò a pensare che si era preoccupata per nulla, che era stata irragionevolmente paranoica… questo fino alla sera in cui Michael arrivò a casa terreo in viso, dicendo che aveva visto l’Uomo Grigio sulla spiaggia.

10

— Chi è? — Michael non poteva trattenere ancora quella domanda. — Da dove arriva?

Ma sua madre e sua zia si limitarono a scambiarsi uno sguardo furtivo, come per ricordarsi vicendevolmente una colpa reciproca, un contratto le cui clausole erano infine scadute.

Si era arrampicato nuovamente sulla scogliera, nello stesso punto in cui aveva parlato con sua zia un paio di settimane prima.

Michael capiva perché le piaceva quel posto. Ci si voltava in una direzione, e si poteva vedere Turquoise Beach incastonata nelle colline in blocchi razionali e puliti. Bastava invece voltarsi dall’altra parte per vedere l’oceano, con la schiuma delle onde che rifletteva il bagliore del sole. L’altezza faceva sembrare tutto molto lontano, immobile e molto stilizzato.

Quel giorno anche l’aria era ferma. Si piazzò in modo da poter vedere la parte più sabbiosa della spiaggia, verso nord, dove alcune persone si erano sdraiate sui loro asciugamani per catturare quello sprazzo di sole di tardo ottobre. Michael fissò le sagome distanti di quei corpi color sabbia mentre strimpellava motivi inconsulti sulla Gibson. Ora le sue dita erano un po’ più sciolte, grazie alla pratica giornaliera. Suonò alcuni pezzi dei Beatles, e pensò divertito a quanto sarebbe rimasto colpito Emmett. Ehi! Pensò, se rimaniamo qui, diventerò un autore di musica; mi chiamerò Lennon McCartney.

In quelle ultime settimane, si stava esercitando anche nell’altro suo talento. Laura gli aveva insegnato molto. Gli aveva mostrato l’importanza della disciplina, del controllo.