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Aggrappato alla balaustra, si purificò con una visione delle orde islamiche che invadevano l’Europa civilizzata. Un muezzim che cantava dal campanile della basilica di Orvieto, gli ulemi che tagliuzzavano le membra degli onesti cristiani. Ed eccomi qui, pensò, bloccato da un mese su questa catramosa Madonna di Avignone.

Non era neanche una barca nuova. Il sartiame era logoro, e le vele erano in canapa ricucita e rammendata mille volte. Il motore a olio-carbone, giù sottocoperta, dava più l’impressione di inquinare l’ambiente circostante che di far procedere velocemente l’imbarcazione. La prima settimana di viaggio dopo la partenza da Genova, il cardinale Palestrina l’aveva passata in una condizione di inesorabile e continua nausea. Ma tornerò a casa, pensava, e ci saranno i musulmani impazziti nella basilica di San Pietro. E io cercherò Frate Osvaldo, del Sub-comitato Fondi, in qualunque prigione o cella in cui l’abbiano messo, e gli dirò: Te l’avevo detto!

Il cardinale si gustò la sua fantasia mentre la Madonna di Avignone entrava nel porto ventoso di Philadelphia.

La città sembrava rispecchiare esattamente tutto ciò che Palestrina pensava degli americani. Il porto puzzava. Puzzava di pesce marcio e di palude. Ogni estate in quel miasma nasceva la febbre gialla, che poi devastava la città. I moli erano vecchi,coperti degli escrementi secchi dei gabbiani. Le torri distanti della città si innalzavano nere ed enormi, come monumenti sudici della supremazia industriale del Novus Ordo; il Nuovo Ordine degli americani. Tanto disperatamente si erano dati da fare per emulare le decadenti valli del Reno e del Rodano, tanto completamente vi erano riusciti.

Mentre lasciava che gli altri passeggeri gli si affollassero davanti per scendere sul molo, il cardinale sentì una fitta di nostalgia per Roma. Una città vecchio stile, certamente; più vecchia di diversi fieri millenni di qualsiasi cosa avessero mai costruito gli americani. Pensò ai Giardini Vaticani, alle Mura Leonine; pensò agli spazzini che attraversavano il Giardino della Pigna come un esercito, lasciando l’acciottolato umido e splendente alla luce del mattino…

Una meraviglia. Almeno quando il vento non veniva dal Tevere.

Ma questa, si disse, non era autentica nostalgia. Era solo per via della sua riluttanza. Il lavoro che doveva svolgere non lo attraeva affatto. Lui era uno studioso, non un inquisitore. Si trovava veramente a suo agio solo in compagnia dei libri. Aveva scritto un’agiografia di Sant’Eustachio che la Curia Romana aveva dichiarato “senza macchia”, e quindi era stato considerato affidabile, brillante, ma soprattutto incorruttibile, e di conseguenza adatto a portare avanti un atto di delicata diplomazia ecclesiastica. Forse, più importante ancora, il suo inglese era molto buono. Ma le questioni che si ponevano erano questioni di mezzi e di fini, di eresia e di potere, di guerra e di pace… e soprattutto, pensò, di bene e di male. E i poteri degli inferi erano spaventosamente attivi in quel periodo.

Il pensiero lo turbò. Avvertì uno spasmo nel ventre.

Con un sospiro, il cardinale Palestrina scese nel Nuovo Mondo, con un fazzoletto premuto sul naso.

Sul molo lo attendeva un uomo di nome Carl Neumann, al volante di un’automobile.

L’automobile era decisamente notevole. Le Guerre Islamiche avevano interrotto il commercio di petrolio nel Golfo Persico, e la benzina aveva raggiunto costi proibitivi. Gli americani (Palestrina usava privatamente quel termine arcaico) naturalmente possedevano i loro giacimenti. E spesso le loro infinite crisi di frontiera con gli aztechi dipendevano da questioni di diritti minerari. Tuttavia, anche lì, un’automobile era una rara indulgenza.

Specialmente un’automobile come quella; larga e bassa, esageratamente pesante; una specie di barca terrestre. Palestrina, che pur non volendolo ne era rimasto piuttosto colpito, infilò le sue due valigette nere nel capace portabagagli, e prese posto sul sedile accanto a Neumann. L’odore della tappezzeria interna era opprimente.

— Siamo felici che abbiate potuto intraprendere questo viaggio, Vostra Eminenza — disse Neumann.

Palestrina capì subito che Neumann era uno di quei funzionari governativi che si sarebbe rivolto a lui parlando sempre al plurale. Neumann indossava un completo blu di sartoria, una stretta cravatta nera, e una fedora. Si strinsero la mano, e Neumann accese il motore. Mentre si facevano strada verso sud, in mezzo a un ammasso di carri e carrozze trainati da cavalli, Neumann fissava periodicamente la veste nera del cardinale. Palestrina immaginò che si trattasse del Lascito Waldesiano del quale lo avevano avvertito in Segretariato; un misto fra curiosità e sdegno. Era fastidioso, ma a modo suo, utile. L’avrebbe tenuto in guardia. Gli avrebbe ricordato che era entrato in un paese straniero.

Anche se era difficile che se ne dimenticasse. Nel giro di un’ora riuscirono a conquistare una strada asfaltata che conduceva verso sud, e la foresta iniziò a chiudere entrambi i lati della strada. La Grande Foresta del Nuovo Mondo, pensò Palestrina. Era un luogo leggendario, dove una volta vivevano i selvaggi. L’automobile proseguì la sua corsa lungo muri infiniti di alberi. Le nuvole si aprirono per mostrare un tramonto vistoso. La notte cadde subito dopo. Improvvisamente le ombre dietro l’automobile si fecero molto spesse, e Palestrina pensò ai folletti dei boschi, agli spiriti dei primordi. Ma quello erano paure esclusivamente europee; l’aveva letto da qualche parte. Nel Nuovo Mondo i pericoli erano esclusivamente materiali.

Neumann ruppe il silenzio. — Io sarò il vostro tramite per tutta la durata della vostra permanenza qui, Vostra Eminenza. Ho paura che dovrete abituarvi alla mia presenza.

Sorrise. Palestrina non fece altrettanto.

Neumann continuò: — Non posso fare a meno di riflettere sul vostro nome. Siete forse parente del, uh, famoso Palestrina?

— Intende quel Palestrina che ha scritto la Messa di Marcello?

— Esatto.

— È uno storico, signor Neumann?

— Un amante della musica — disse l’altro con modestia. — Colleziono dischi. Fu la Missa Papae Marcelli che decise la questione musicale nella liturgia, vero? Un pezzo magnifico. Commovente.

Il cardinale Palestrina disapprovava le registrazioni secolari della musica liturgica. Sebbene egli stesso possedesse una registrazione. Si trattava del Jubilate Deo di Giovanelli, su un disco laccato spagnolo; un suo amore segreto. Usava ascoltarlo sul suo piccolo Victrola elettrico. — No — disse innanzitutto. — Non c’è nessuna relazione.

Neumann sembrò deluso.

— Sono veramente molto stanco — disse Palestrina. — Se non le dispiacesse dirmi dove mi sta portando…

— Mi dispiace, Vostra Eminenza. Davo per scontato che vi avessero informato. Saremo a Washington per mezzanotte. C’è una camera d’albergo che vi attende, e io sarò la vostra guida, il vostro contatto, o quello che desiderate. Poi, naturalmente, vi aspetta una visita alla sede dell’Istituto di Ricerca per la Difesa. Vi sono delle persone che dovrete incontrare…

— Dobbiamo viaggiare ancora per cinque ore?

— Ho paura di sì, Vostra Eminenza.

Che Dio mi aiuti. — E poi, a Washington, potrò vederlo?

— Vedere chi, Vostra Eminenza?

— Questo prodigio, naturalmente. Questo mostro che avete creato. L’uomo che cammina attraverso i mondi.