— Teoria — disse Palestrina, sperando di potersela cavare così.
— Hanno detto — continuò allegramente Neumann — che non esisteva un solo plenum, ma diversi… mondi dentro i mondi, se riesce ad afferrare un concetto simile, tutti divisi da unità di probabilità, che Plank ha chiamato quanta. La teoria diceva anche che il cervello umano ha il potere di penetrare quelle barriere.
Il cardinale Palestrina voleva dire che erano sciocchezze, chimere, un tranello e una delusione. Ma naturalmente non si trattava di una sciocchezza, altrimenti lui non si sarebbe trovato lì… o Neumann non gli avrebbe detto quelle cose. La Curia aveva una conoscenza segreta del così detto Progetto Plenum; Palestrina capiva che Neumann stava comportandosi in maniera più o meno aperta con lui.
— Io ho ammirato quegli uomini — disse Neumann. — Erano instancabili, e seri. Lavoravano ad un livello molto alto. E badate bene, non davano particolare attenzione alle applicazioni pratiche. Un esercito, ad esempio, o anche un solo uomo, un assassino, che poteva più o meno attraversare le pareti, o qualsiasi altra barriera… furono sorpresi che qualcuno potesse essere interessato a una simile applicazione. Alcuni di loro si spaventavano quando lanciavamo incantesimi di ricerca, o quando sequestravamo civili che davano segni di latenza. Be’, in effetti esiste una questione morale, e io sono il primo ad ammetterlo. Ma si tratta di misure d’emergenza per tempi duri. Non si può fare una frittata senza rompere le uova, vero, Vostra Eminenza?
Palestrina si sentiva male.
— L’istituto è qui dietro l’angolo — disse Neumann.
Ormai erano nel cuore del quartiere governativo; grandi strutture di pietra che si affollavano sulle vie acciottolate, un canyon di architravi impolverati decorati con scene didattiche delle Virtù, del Capitale e del Lavoro che camminavano mano nella mano verso il futuro. Le fabbriche sul Potomac fornivano un drappo di fumo oleoso di carbone; in una giornata brutta, gli disse Neumann, non si riusciva a distinguere il mezzogiorno dalla mezzanotte.
Ma l’Istituto di Ricerca per la Difesa era la costruzione più terrificante di tutte. La sua sola vista faceva apparire la giornata più fredda. Non aveva proprio niente a che vedere con la spiritualità del Vaticano, con la sua architettura proiettata verso Dio; non c’era niente che ispirasse alla preghiera in quei bastioni di pietra nera, o in quel cancello con le punte d’acciaio che si alzava automaticamente mentre l’automobile si avvicinava. Attraversarono un arco di colonne sulla cui sommità annerita era stato inciso il simbolo dell’occhio e della piramide, e la temperatura sembrò scendere di dieci gradi.
Il palazzo era immenso, simile a una prigione. Aveva la sua centrale elettrica e il suo commissariato, spiegò Neumann, nonché negozi e lavanderia. Passarono attraverso un secondo porticato di pietra, e Neumann si fece identificare da una guardia. La guardia estrasse un tesserino di plastica che Palestrina doveva mettere sulla sua veste. C’era scritto il suo nome. — Avremo bisogno di una vostra fotografia — disse Neumann — ma per il momento va bene anche questo.
Palestrina odiò quel tesserino. Odiava il solo fatto di essere associato a quel luogo. Gli edifici interni erano molto alti, incombenti, e alcune finestre erano sbarrate. Immaginò di poter sentire le urla della gente che l’istituto aveva, per usare l’orribile eufemismo di Neumann, “sequestrato”. Ma tutto questo certamente sarà cosa del passato, pensò; o no?
— Abbiamo avuto dei problemi negli anni quaranta — ammise Neumann. — Investigazioni congressuali, fanatici che cercavano di farci chiudere baracca. È stato un decennio turbolento. Ora è finita, grazie a Dio, ma ha rallentato il nostro lavoro almeno di una dozzina di anni… e ha permesso alcuni degli errori dei quali forse avete sentito parlare.
— La fuga — disse Palestrina. — La gente che riuscì a fuggire.
— Non amo usare un linguaggio così inutilmente melodrammatico.
Neumann parcheggiò la macchina in uno spazio con la scritta PRIVATO-RISERVATO. Uscirono dalla macchina e fecero una corsa attraverso il cortile freddo, fino a un’enorme porta d’acciaio che Neumann aprì con una chiave. All’interno, il corridoio era illuminato dalla luce sterile di vecchi neon; le porte erano dipinte di un rosa salmone, ed erano numerate.
Neumann sembrò divertito dal disorientamento di Palestrina. — Seguitemi, Vostra Eminenza.
— Dove stiamo andando? — La riluttanza del cardinale aveva ormai preso il sopravvento, come una sorta di resistenza fisica.
— Nel mio ufficio — disse Neumann. — A meno che non desideriate fare subito il gran giro dimostrativo.
— Vorrei parlare con qualcuno. Qualcuno di un certo grado… qualcuno che è a capo di tutto questo.
Quel sorriso…
— L’avete davanti — disse Neumann.
Neumann disse che lavorava con l’istituto da trent’anni, e che la sua fortuna saliva e scendeva assieme al Progetto Plenum, che coordinava di persona da circa cinque anni. — Non sono uno scienziato, badate bene. Ma per quanto riguarda le operazioni, la programmazione degli scopi e l’amministrazione, posso dire di avere quasi carta bianca.
L’ufficio di Neumann era freddo, pietroso e spoglio. — Voglio vedere questo essere che avete creato.
— Lo fate sembrare uno dei nostri omuncoli.
— Vi sono alcuni omuncoli che lavorano come servi alla Libreria Vaticana, signor Neumann, e le assicuro che non ne parlerei con lo steso tono.
Infine, e il cardinale Palestrina lo considerò come una specie di trionfo personale, il sorriso di Neumann svanì. — Mi dispiace che voi affrontiate la questione con un atteggiamento così negativo — disse.
— Non intendevo insultare il suo lavoro…
— Perché dovete sapere che le implicazioni sono tremende. Persino la Curia se n’è resa conto. Francamente, a me pare che il fatto che il Dipartimento di Stato vi abbia invitato sia da considerarsi un atto di estrema generosità. Normalmente noi non mostriamo questo genere di materiale neanche ai nostri alleati.
Palestrina chinò il capo. — La posta è considerevole.
— I rifornimenti petroliferi — disse Neumann.
— Io stavo pensando alla sopravvivenza del Cristianesimo.
Il sorriso di Neumann ebbe un leggero tremolio. — Anche quello.
— Mi mostri quest’uomo — disse Palestrina.
— Non è forse un po’ prematura come mossa?
— Conosco la storia di questo luogo. Devo veramente ammirarne anche l’architettura? — Si protese in avanti. — Il Vaticano riconosce la generosità della sua nazione. Ciò nonostante, permane una questione morale. Ed è per questo che io mi trovo qui.
— Una questione morale — ripeté Neumann con tono piatto.
— Mezzi e fini.
— Non capisco.
La cosa non sorprese il cardinale. — Si trova qui?
— Sì, è nell’edificio, ma…
— Allora voglio essere condotto da lui, per cortesia.
Neumann esitò. Scocciato, pensò Palestrina, perché lo stava costringendo a cambiare i suoi programmi. Infine, scrollò le spalle. — In fondo, non c’è niente da perdere.
La stanza era una specie di cella di pietra grigia. Neumann acconsentì ad aspettare fuori.
Palestrina capiva che, in un certo senso, era alla mercè di Neumann. Non riusciva a orientarsi in quell’edificio, e non sarebbe mai riuscito a trovare l’uscita. L’Istituto di Ricerca per la Difesa era letteralmente un labirinto, con corridoi che giravano su se stessi o si dividevano davanti a pareti spoglie di pietra. Il palazzo non ospitava solo il Progetto Plenum di Neumann, ma anche un’altra dozzina di progetti segretissimi; guerra biochimica, incantesimi di invisibilità, commercio di morte. Ogni singolo livello della gerarchia burocratica possedeva la sua mappa frammentaria del palazzo. Neumann gli aveva detto che, secondo alcune voci, non esisteva nessuna mappa completa; nessun architetto aveva mai contemplato il progetto per intero, e nessun uomo vivente comprendeva il palazzo nella sua interezza. Per la sua bizzarria, Neumann riferì queste voci come una leggenda, ma per il cardinale Palestrina era persino troppo facile crederci.