— Delle cose — sussurrò Palestrina.
— Odio e amore. Interesse e disinteresse.
— E hanno lasciato…?
— Obbedienza. Lealtà. Loro la chiamano lealtà.
— Mio Dio… e lei non li odia per questo?
Imprevedibilmente, Camminatore sorrise. — Non credo di poterlo fare.
No, pensò il cardinale. No, questo è troppo; troppa crudeltà, troppa efferatezza. Ricordava un genere di tortura che i Tribunali non praticavano più da secoli.
Avevano cauterizzato una parte dell’anima di quell’uomo, pensò… e fino a che punto è possibile assassinare la coscienza di un uomo, o violentarla, senza che quell’uomo divenga, essenzialmente, un morto?
Quindi, forse stava parlando con un uomo morto.
Il pensiero lo fece rabbrividire, e lo mise a disagio.
— Lei li ha seguiti — disse Palestrina. — È per questo che è stato addestrato.
— Li ho seguiti per anni. — Ancora una volta, gli occhi di Camminatore si riempirono di quello sguardo distante, perso. — È un lavoro duro, sa. Ma io riesco a rintracciarli col fiuto. Lasciano delle tracce.
— Julia e William? Li ha trovati?
— Dopo un po’.
— E li ha riportati indietro?
— Uccisi.
Il porporato sbatté le palpebre.
— Era inevitabile — disse Camminatore.
La sua espressione era dolce, serena, sorridente. Quest’uomo è morto, pensò Palestrina. — Ma allora è tutto finito, no? Il suo lavoro è finito, il progetto è finito.
— C’erano dei figli — disse Camminatore.
— Capisco… e anche loro avevano questo potere?
— Ce l’hanno, e molto forte. Più forte di quanto loro stessi non sappiano.
— E ha dato loro la caccia?
— Gli sono arrivato vicino. Molto spesso! Ma non è tanto facile riportarli indietro. Queste braccia non li possono trattenere. Una gabbia non li può trattenere. È proprio questo il paradosso! È un lavoro che necessita di una vita intera. Gli incantesimi e le fatture sono le uniche armi che abbiamo. E funzionano meno bene attraverso i mondi. Ma ora stiamo per farcela. — Si avvicinò al cardinale; il suo alito era acido. — Hanno imparato tante cose in questo palazzo, da quando io ero giovane.
— Non ne dubito — disse Palestrina con voce fioca.
— E ce n’è un altro — continuò Camminatore. — Il figlio di un figlio. È un ibrido, ma il genotipo è quello vero. È per lui che abbiamo lavorato tutti questi anni. Lo riporteremo qui. Io lo riporterò. E lui può fare quello che voi tutti volete, sapete. È molto potente. Con un paio di ritocchi — Camminatore sfiorò con una mano la linea esangue della sua cicatrice — farà tutto quello che gli direte. Condurrà eserciti contro la Terra Santa, se è questo che desiderate. Chiamerà rinforzi attraverso il plenum. Eserciti che spaventerebbero un dio, armi in grado di devastare una città intera. C’è di tutto là fuori. — Camminatore mostrò nuovamente i denti. — Le garberebbe? È questo che cerca?
Questo, penso il cardinale Palestrina, ci potrebbe salvare.
Oppure dannare.
Si inumidì le labbra; un crampo gli stava attanagliando lo stomaco, ed era il meglio che poteva fare per non urlare. Prese fiato e disse: — E lei può farlo? Portarlo qui?
— Oh, sì. — Camminatore s’infilò le mani in tasca e si appoggiò allegramente allo schienale della seggiola. — Questa Volta — disse — abbiamo chi ci aiuta.
PARTE SECONDA
Terra del cuore
12
Mercoledì, nel tardo pomeriggio, fermarono la macchina a un motel a est di Barstow, il Motel Essenziale.
E in effetti era proprio essenziale, pensò Karen. Non c’era traccia di ombra, a parte quella di un esile ginepro in mezzo alla ghiaia del cortile. Nel retro, vuota e pura come un turchese nella distesa bruna del deserto, spiccava una piccola piscina. La camera odorava di lillà artificiale e di aria condizionata.
Ricordò a se stessa che ora erano nuovamente a casa. Non a casa nel vero senso della parola, dato che quel deserto era forse uno dei luoghi più esotici che avesse mai visitato, ma in un mondo dove le verità le erano familiari; John F. Kennedy morto tanti anni prima, pistole in vendita nei grandi magazzini lungo le autostrade, e niente dolci paesini bohémien sull’oceano per gente come sua sorella. Il mondo vero.
Casa, quell’altro genere di casa, era ancora parecchio lontana.
Michael tirò fuori dalla valigia il costume da bagno e uscì nella luce accecante del pomeriggio, dirigendosi verso la piscina. — Prima a fare la doccia — disse Laura. Laura aveva guidato per tutto il tempo, fin da Los Angeles, e aveva un’aria stanca. Da Los Angeles, pensò Karen, e da un abisso di tempo. Avevano attraversato i mondi sull’autostrada deserta, fra cespugli e mulinelli di sabbia. Miracoli e omicidi e hotel nel deserto.
Mentre Laura faceva la doccia, lei lesse Time. Le notizie erano pessime come sempre. La diffusione dell’Aids era in aumento, e c’erano di nuovo guai nelle Filippine. Dopo un po’, Laura emerse dalla caverna piastrellata del bagno sfregandosi i capelli con un asciugamano. S’infilò una vecchia camicia a fiori, e il tessuto aderì alle curve del suo corpo ancora bagnato. Per un attimo Karen fu gelosa della giovinezza che sua sorella era riuscita in qualche modo a mantenere, al contrario di lei, che l’aveva vista svanire misteriosamente. Laura non si era mai sposata. Laura era nubile. Mentre io, pensò Karen, sono una cosa molto diversa. Io sono una mamma nubile.
— Non sanno che stiamo arrivando — disse Laura.
Mamma e papà, intendeva. — No — confermò Karen.
— Dovremmo chiamarli.
— Dovremmo?
— Non vorrei essere io a farlo — ammise Laura.
— Immagino che sia da un po’ che non parli con loro.
— Immagina che siano anni che non parlo con loro. Poi io sono la figlia ribelle, no? Una cattiva riuscita. E in ogni caso — aggiunse — la prenderanno meglio con te.
Ma Karen non aveva mai amato il telefono. Odiava i suoni che faceva, il clic e il ronzio dei dialoghi frammentari, di voci straniere che tenevano conversazioni straniere. Le interurbane erano le peggiori. C’era qualcosa di talmente solitario nelle chiamate interurbane… i numeri in più, che erano come i chilometri; gettoni di separazione. Digitò il prefisso. Michael stava ancora nuotando, là fuori, sotto il sole accecante.
In realtà, neanche Karen era mai stata molto costante nei rapporti con casa. Chiamava circa ogni due mesi, se non di meno. E in occasione delle festività. Ma soprattutto cercava di chiamare nei pomeriggi dei giorni feriali, quando gli scatti erano più costosi ma suo padre era più probabilmente al lavoro o fuori a bere. Era da parecchio tempo che non parlava direttamente a suo padre. Forse anni, si domandò, come Laura? Sì, forse sì. Forse era passato tanto tempo.
Immaginò il telefono che squillava nella casa di Polger Valley. I genitori avevano traslocato lì un anno dopo che lei era andata al college, ma se la ricordava chiaramente. Il telefono era in salotto. Un divano giallo pieno e massiccio, e il telefono su un tavolo di noce. E forse, i raggi del sole che si infiltravano tra la polvere e il ticchettio glaciale degli orologi. Karen intuiva che niente era cambiato fra quelle mura, che la casa di Polger Valley era diventata una specie di fortezza per i suoi genitori, e che vi sarebbero vissuti fino al giorno della loro morte.
Lo squillare cessò di colpo, e venne fuori la voce gracchiante di sua madre: — Pronto?
— Mamma?
Seguì un breve attimo di cauto silenzio. — Karen? — disse infine sua madre. — Sei tu? Va tutto bene?