Ma improvvisamente, subentrò un’altra voce, assonnata e femminile. — Gavin? Chi è?
Nessuna casa alla quale tornare, pensò Michael.
Il bambino di dieci anni era ammutolito dallo shock.
— Michael? Sei ancora lì? — disse suo padre.
— Mi ha fatto piacere parlarti — disse Michael. — Senti, magari ti chiamerò ancora.
— Michael…
Si costrinse a riattaccare.
Guardò il suo orologio.
4:15.
15
Michael capì che toccava a lui essere l’uomo della famiglia, e che questo significava proteggere e stare in guardia.
La routine quotidiana in casa Fauve era così concepita: Willis si svegliava presto, e Jeanne gli preparava un’abbondante colazione. Poi Willis partiva per la sua giornata o mezza giornata di lavoro alla fonderia, quindi Michael, sua madre e sua zia si avventuravano di sotto. Nessuno urlava ”Via libera!” o qualcosa di simile, ma la sensazione era esattamente quella; aspettavano lo sbattere della porta d’ingresso, e i passi di Willis sulla veranda. La sua vecchia Ford Ferlaiue usciva sferragliando dal garage, e la casa era sicura.
La nonna Jeanne insisteva sempre per cucinare. Le sue colazioni erano eroiche; cereali, pane tostato, uova, montagne di bacon, e Michael rifiutava sempre i bis. Quella mattina però lo lasciava mangiare come voleva senza protestare, e lui notò la maniera assente con la quale si muoveva dal tavolo ai fornelli, e gli strani sguardi che le lanciavano Laura e Karen. Qualcosa bolliva in pentola.
Era solo appena appena incuriosito. Sapeva perché la zia Laura li aveva portati lì, ed era grato che stesse, forse, iniziando a combinare qualcosa. Capiva che era necessario comprendere bene tutto fin dal principio, ma aveva già indovinato che questo non era tutto. Anzi, era solo il principio. Perché sarebbe rimasto ugualmente il problema dell’Uomo Grigio.
L’Uomo Grigio li poteva trovare quando voleva.
Mentre ci rifletteva su, Michael ingurgitò una grossa forchettata di uova strapazzate.
La mossa che avevano fatto andandosene da Turquoise Beach avrebbe seminato l’Uomo Grigio, ma non in maniera definitiva. Li aveva seguiti prima, e poteva seguirli anche lì. Era solo questione di tempo. E sua madre e sua zia erano preoccupate, quindi toccava a Michael stare in guardia.
Nonna Jeanne prese il suo piatto e lo sciacquò sotto il rubinetto. Sua madre gli mise una mano su una spalla. — Michael? Vorremmo parlare alla nonna Jeanne da sole.
Michael annuì e si alzò. La nonna non lo guardò; fissava la schiuma nel lavandino. La zia Laura fece un cenno solenne con il capo, telegrafandogli che si trattava di una cosa importante e che avrebbe fatto meglio a sgomberare il campo.
— Sto uscendo — disse.
— Copriti — sua madre gli arruffò i capelli con aria assente. — E stai vicino alla casa.
Non promise niente.
La temperatura fuori era sempre sotto lo zero, ma il vento era diminuito. C’era il sole, che scioglieva la neve sui marciapiedi. Il fiato di Michael creava nuvolette nella luce invernale.
Seguì la stessa strada che aveva percorso il giorno prima, lungo Riverside Avenue fino al limite meridionale del paese e poi su per la collina innevata finché non poté vedere tutta Polger Valley ai suoi piedi. In luoghi come quello, percepiva la forza con maggiore chiarezza.
In paese, in mezzo alla gente, veniva annullata da una dozzina di altre sensazioni. Lassù poteva invece sentire il suo canto, come una canzone tranquilla ma importante proveniente da una radio lontana. Come un motore che ronzava nelle profondità della terra.
Gli venne alla mente quanto tutto ciò avesse cambiato la sua vita. Non molto tempo prima le sue preoccupazioni principali erano state gli esami e il come divertirsi il sabato sera quando non si poteva guidare un’automobile. Ma era acqua passata; spazzata via. Eppure, pensò Michael, non è mai veramente stato così, o no? Tu lo sapevi, pensò. Tu lo sapevi anche prima che Emmett ti facesse fumare quel giorno a Turquoise Beach. Lo sapevi prima che se ne andasse papà. Sapevi di essere speciale, o in ogni caso diverso. Michael ora sentiva la forza dentro di sé, e credeva di averla sempre sentita, solo che non aveva saputo darle un nome. Ne era stato messo in soggezione, in soggezione dalla sua innominabile immensità, allo stesso modo in cui una persona potrebbe avere paura di cadere giù da un burrone se ci abitasse accanto… ma l’aveva anche amata, segretamente, senza parole.
Si ricordava di certe sere, quando tornava a casa dopo essere stato da un amico, in notti invernali molto più fredde di così, e rabbrividiva nel suo giubbotto, e c’erano le stelle, e un anello di ghiaccio circondava la luna, e lui era tutto solo in una qualche stradona di periferia. E sentiva il futuro che si apriva davanti a lui, vedeva la sua vita come un’ampia e pulita autostrada di possibilità. Eppure non c’era motivo, nessun motivo per credere che lui fosse qualcosa di particolare, o che la sua vita sarebbe stata speciale. Era solo una sensazione. Come se il tempo si schiudesse come un fiore solo per lui.
E si schiude ancora, pensò. Si ricordò del suo sogno della notte precedente, delle città, delle praterie e delle foreste che aveva visto. La visione gli era giunta da una grande distanza. Si domandò se fosse in grado di raggiungerla… se sarebbe mai stato capace di rievocarla. Forse era troppo lontana; forse era al di fuori della sua portata, mai più reale che nei suoi sogni.
Ma lui l’aveva visto, e a livello intuitivo sentiva che era un luogo reale. Forse poteva farsi strada fino a lì, qualche giorno, in qualche maniera. Forse era lì che era diretta la sua vita.
Forse.
Se fossero riusciti a trattare con l’Uomo Grigio.
Camminatore, aveva detto l’Uomo Grigio. Camminatore, stanatore, cacciatore, trovatore…
Mi aveva quasi portato con sé, pensò Michael. Il giorno prima che lasciassimo Toronto. Mi aveva ipnotizzato, o qualcosa di simile. Aveva fatto sì che lo seguissi attraverso qualche brutta porta fuori dal mondo.
Si ricordò di quel posto nel quale era quasi andato. Ne ricordò la sensazione, il suo sapore e il suo odore. E al contrario del mondo che aveva sognato la notte, non era affatto lontano… Michael era certo che sarebbe stato in grado di trovarlo, se avesse voluto.
Forse sarebbe stato necessario, un giorno. Forse gli avrebbe detto qualcosa.
Con aria furtiva alzò le mani davanti a sé.
Probabilmente non era una buona idea… così si disse. Ma era importante, pensò. Un pezzo del mosaico. Quello era il passo che Laura e sua madre non avrebbero mai fatto; quella era una sua responsabilità.
Fece un cerchio con le dita.
Attraverso il cerchio guardò Polger Valley, un’ostrica sotto un centimetro di neve.
Sentì il potere crescergli dentro… guardò ancora, guardò meglio.
Il paese cambiò.
Era evidentemente lo stesso paese. Un vecchio paese industriale sul fiume Monongahela. Forse, in un certo senso, era messo meglio. La fonderia era più grande, e una lunga fila di edifici neri come il carbone torreggiava sulla sponda del fiume. C’erano pontili complessi, con molto traffico di chiatte di legno, e il fiume pullulava di chiatte. Ma il paese era anche più sporco, e il cielo era nero; le case sulle colline erano delle baracche di lamiera e carta catramata. C’era la neve per terra, ma era grigia di cenere; gli alberi erano esili e spogli. Ai piedi della collina c’era un gran traffico, soprattutto di cavalli e carri; l’unico camion che passò aveva una forma squadrata e aveva un’aria antica. Michael sentì una ventata di un odore chimico sulfureo.
Strinse gli occhi per vedere la stazione di polizia e il municipio, edifici semplici di pietra grigia a circa mezzo chilometro giù per Riverside. Vide la bandiera che sventolava sopra il municipio e si rese conto che non era la bandiera americana, e che non era affatto una bandiera familiare; qualcosa di scuro con un simbolo triangolare al centro.