Un brutto posto, pensò Michael. Si sentiva nell’aria. Povertà e magia maligna.
Questa è la sua casa, pensò Michael; è qui che abita Camminatore. Forse non in questo paese, ma in questo mondo.
Rabbrividì e sbatté le palpebre, facendo scomparire la visione. Le mani gli ricaddero lungo i fianchi.
Forse avrebbe dovuto seguire Camminatore. Forse era la loro unica possibilità. Forse sarebbero arrivati a quel punto. Ma non ancora, pensò Michael. Si sentiva sporco, impolverato; anche quel breve contatto l’aveva infettato. Scese dalla collina verso Polger Valley, che improvvisamente sembrava pulitissima, e intanto pensava: non ancora, non siamo ancora pronti per questo… non siamo ancora abbastanza forti per questo.
Aveva percorso circa la metà di Riverside, passato Kresge’s e il negozio di ferramenta, quando Willis accostò la macchina accanto a lui.
— Ehi — disse Willis.
Michael rimase immobile sul marciapiede crepato, e guardò suo nonno con aria diffidente attraverso il finestrino abbassato della Ferlaine.
— Sali — disse Willis.
— Volevo camminare — disse Michael.
Ma Willis allungò una mano e aprì la portiera dalla parte del passeggero. Michael scrollò le spalle e salì.
L’automobile era sporca di cartacce di fast-food e di cicche di sigaretta, ma l’odore di alcool era solo appena avvertibile; quel giorno Willis era sobrio.
L’uomo guidò lentamente giù per Main street. Ogni tanto dava un’occhiata a Michael, e fece anche un paio di tentativi di conversazione. Gli chiese come andava a scuola. Abbastanza bene, disse Michael. E l’avrebbe messo nei pasticci il fatto di non frequentare così a lungo? No, se la sarebbe cavata. (Come se avesse avuto importanza.) — Il tuo vecchio se n’è andato? — chiese Willis.
Michael esitò un attimo, poi annuì.
— Bel gesto da stronzo — affermò Willis.
— Immagino avesse i suoi motivi.
— Ognuno ha i suoi maledettissimi motivi.
Svoltando in via Montpellier, Willis disse: — Guarda, io so da che cosa stai scappando.
Michael alzò lo sguardo, stupefatto.
— Facendo quello che fai — continuò Willis — puoi solo peggiorare la situazione.
— Non capisco di che cosa tu stia parlando.
— Io invece credo che tu lo sappia. Credo che tu sappia esattamente ciò che voglio dire. — Willis ora parlava con un filo di voce, che sembrava provenire dal profondo del suo stomaco. Scalò la marcia e rallentò, avvicinandosi alla casa.
— Timmy faceva sempre così — continuò. — Se ne andava su per le colline, o Dio sa dove. E io sapevo quello che faceva, proprio come so quello che fai tu. Ne sento l’odore — Willis svoltò nel vialetto fino al piccolo garage buio. Tirò il freno a mano, e lasciò morire il motore. — Io sento lo stesso odore addosso a te.
Michael fece per aprire la porta, ma Willis gli afferrò un polso. La sua presa era forte. Era vecchio, ma aveva muscoli forti e fibrosi.
— È per il tuo bene — disse. — Ascolta, così, tu lo fai venire. Lo capisci questo? Tu vai là fuori, apri una porticina nell’inferno, e lui salta fuori.
— Che cosa ne sai tu? — chiese Michael.
— Più di quanto immagini. Non mi dai molta fiducia, vero?
Michael avvertì che la grande rabbia di Willis stava crescendo. Si mosse verso lo sportello, ma la presa sul polso non cedette.
— Cristo — continuò Willis — tua madre non ti ha insegnato nulla? O forse sì; forse ti ha insegnato maledettamente troppo.
Michael ricordò quello che gli aveva detto Laura, di come Willis usava picchiarli. Si rese conto che era vero, che Willis poteva farlo, che ne era capace. Willis irradiava rabbia come un’abbagliante luce rossa.
— Ammettilo — disse Willis — tu eri su quelle colline ad aprire porte.
Il ragazzo scosse il capo. La bugia era stata automatica.
— Non raccontare palle proprio a me — disse Willis sempre più arrabbiato. — Io sono un buon cristiano, e so annusare il Diavolo anche al buio.
Quella frase riportò a Michael l’odore sulfureo del mondo di Camminatore. — Io non faccio certe cose — disse.
La stretta di Willis aumentò. — Non permetterò che tu attiri nuovamente quella creatura. Troppi anni… ho vissuto troppo maledettissimo tempo con quel problema — si piegò in avanti, avvicinando il suo viso a quello del nipote. La scarsa luce invernale lo faceva sembrare mostruoso. — Voglio che tu ammetta quello che stavi facendo. E poi voglio che tu prometta che non lo farai mai più.
— Io non ho…
— Balle — disse Willis, e alzò la destra per colpirlo.
Fu quel gesto a far arrabbiare Michael per davvero. Lo fece arrabbiare molto, perché immaginò che sua madre aveva già visto quella mano alzata, e anche Laura, e loro erano bambini, troppo piccoli per poter reagire. — Va bene! — esclamò. Willis esitò, e Michael continuò. — Io lo so fare. Sei contento adesso? Potrei uscire di qui lateralmente, e tu non mi vedresti neanche, mentre me ne vado! È questo che vuoi?
Willis gli strinse più forte il polso e gli afferrò i capelli con l’altra mano. La sua presa era dolorosa, e gli occhi di Michael lacrimarono.
— Non pensarci neanche — disse Willis.
La sua voce era come un rombo, come avesse avuto un macchinario sabbioso dentro il petto.
— Promettilo — disse Willis. — Prometti che non lo farai mai più.
Silenzio.
Willis gli tirò ancora i capelli. — Promettilo!
— Vai a farti fottere! — esclamò il ragazzo.
Willis rimase troppo scioccato per reagire.
Fra i denti, Michael disse: — Lo potrei fare proprio qui! Non ci hai mai pensato? Lo potrei fare adesso — ed era vero. Sentiva la forza dentro di sé, che cantava in tutta la sua potenza. Senza pensarci, disse: — Potrei farti sprofondare nel pavimento prima ancora che tu riesca a sbattere le e palpebre… è questo che vuoi?
Willis era senza parole.
— Lasciami andare — disse Michael.
Incredibilmente Willis obbedì.
Michael aprì la porta prima che l’altro ci ripensasse, e cadde sull’asfalto oleoso.
— Sei perso — disse Willis dall’oscurità dell’abitacolo. — Oh, ragazzo… tu sei dannato — ma non c’era più molta forza nelle sue parole.
Michael corse in casa.
— Non mi piace parlarne — disse mamma. — E non posso neanche dirvi tutto. Non so tutto. Ma credo di poter raccontare quello che so.
L’orologio della cucina ticchettò. Le due sorelle rimasero sedute a sorseggiare il loro caffè. Karen capì che il silenzio era la cosa migliore, e che sua madre stava fissando un punto al di là di quelle pareti, giù nel profondo della storia sepolta. È dura per tutti, pensò.
Nel suo intimo, Karen era spaventata. Le parole che sarebbero state pronunciate in quella stanza avrebbero potuto cambiare la sua vita. Da questo momento, pensò, il futuro è cupo e strano.
Karen bevve un altro sorso di caffè, in attesa. Oltre le finestre appannate un sole mattutino immobile inondava il cortile.
— Be’ — iniziò mamma — quando ho incontrato Willis ero una ragazza, e abitavo a Wheeling. Sapete, è stato talmente tanto tempo fa che assomiglia a una storia. Vostra nonna Lucille lavorava da un parrucchiere, e quell’anno io avevo trovato un posto di cassiera alla banca.
Si accasciò sulla sedia e sospirò.
— Ho incontrato Willis frequentando la chiesa.