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“Si trattava di una chiesa dell’Assemblea di Dio, quella che forse al giorno d’oggi chiameremmo una chiesa fondamentalista. Per noi era semplicemente la chiesa. Willis era molto serio su questo argomento. Lui partecipava a tutte le funzioni. Io ci andavo di domenica, ma non facevo un granché, e non partecipavo molto alle riunioni. C’era un Gruppo Giovanile che si ritrovava nel seminterrato, e a volte ci andavo. Willis c’era sempre. Prima che trovasse il coraggio per chiedermi un appuntamento, ci vedemmo per quasi un anno a quelle riunioni. Forse vi sembrerà strano, ma a quei tempi le cose erano diverse. La gente non saltava semplicemente nel letto di un altro. C’era il corteggiamento, e c’erano gli appuntamenti. Ma nel giro di poco, iniziammo ad uscire sempre assieme. E alla fine, mi piacque abbastanza da sposarmelo.

“Da giovane era diverso. Non lo sto dicendo per scusarmi. Ma voglio che voi capiate bene. Era un uomo divertente. Raccontava barzellette. Ve lo immaginate? Gli piaceva ballare. Quando fummo sposati, un suo cugino gli trovò lavoro in una fonderia di Burleigh, e fu allora che ci spostammo da Wheeling.

“Penso fosse abbastanza dura per me andare lontano dalla mia famiglia, in uno strano paese, a vivere con un uomo, e questo tutto in una volta. Il solo fatto di essere sposata cambiava totalmente la mia vita. Willis non era sempre gentile o interessante quanto lo era stato quando uscivamo assieme da fidanzati. Ma in un certo senso me l’ero aspettata. Però faceva anche un sacco di straordinari, e certi giorni non lo vedevo affatto. Ammetto che a volte mi sentivo sola. Avevo alcune amicizie, ma non fu mai come a Wheeling… rimase sempre un luogo strano, per me.

“Volevamo dei figli. Più che altro li volevo io. Li volevo soprattutto perché la casa che avevamo affittato sembrava vuota. Non era una casa molto grande; Willis non prendeva molto di stipendio in quei primi anni. Ma quando mi ci trovavo tutta sola, mi sembrava grande. Fai le pulizie, magari ascolti un po’ la radio, e il tempo scivola via. Quindi era naturale pensare a dei bambini, alla loro compagnia, anche se si sarebbe trattato di un bebè. I nostri vicini avevano dei figli, e quella donna, Ellen Conklin, veniva da me il pomeriggio, beveva una tazza di caffè dopo l’altra, e si lamentava della sua vita. Aveva un diavoletto, mi sembra si chiamasse Emilia, che non la lasciava mai in pace. Era veramente una bambina cattiva. Eppure, io gliela invidiavo. Un sarebbe… stato qualcosa.

“Ma noi non ne avevamo.

“Aspettammo per cinque anni.

“Non sapevo che si poteva consultare un dottore, o qualcosa di simile. Credevo che bastasse aspettare, e che sarebbe successo o meno a seconda di quello che preferiva Dio. Anche lì frequentavamo una chiesa dell’Assemblea, e un giorno, in privato, ne parlai al pastore. Be’, diventò talmente rosso che riusciva a malapena a parlare. Era un giovane. «Se Dio vuole» mi disse, usò queste parole. «Pregate» mi disse.

“Così, pregai. Ma non accadde nulla.

“Non sapevo niente della maternità, di come funzionava, tranne che l’uomo e la donna si univano a letto, e così succedeva. Mi domandai se stavamo sbagliando qualcosa. Perché a quei tempi non ne parlava nessuno, di queste cose. Nessuno che io conoscessi ne parlava. Infine trovai il coraggio di dire a Ellen Conklin che non riuscivamo ad avere figli, e lei mi disse: «Diavolo, Jeanne, io credevo che voi lo faceste apposta!» E questa era nuova per me; che esisteva un modo per non fare bambini, apposta. Mi confondeva. perché qualcuno avrebbe voluto non averne? Il che, naturalmente, fece scoppiare a ridere Ellen Conklin.

“Mi consigliò di rivolgermi a un medico. Potevo essere io, mi disse, o poteva essere Willis. E forse si poteva fare qualcosa.

“Be’ andai dal dottore da sola. Willis non voleva venirci. Non voleva neanche sentirne parlare. Non era il genere di cosa della quale fosse disposto a parlare. Così ci andai da sola, e alla fin fine non ebbe importanza il fatto che Willis non fosse venuto, perché in effetti ero io. Ero io quella che non poteva avere bambini.”

Guardò Karen e Laura, spostando lo sguardo dall’una all’altra. — Sapete che cosa sto dicendo?

Karen tremava; non riusciva a parlare. Laura invece disse freddamente: — Siamo stati adottati? — e poi aggiunse: — Ho guardato nella bibbia di famiglia, mamma… so che non ci siamo, lì dentro.

Karen si sentì improvvisamente alla deriva, come una nave cui avessero mollato gli ormeggi.

— Non esattamente adottati — disse mamma. — Ma vi racconterò la storia. O per lo meno quello che ne so.

Erano una strana coppia, disse mamma. Erano quasi due anni che venivano in chiesa, ed erano immigranti.

Dei rifugiati politici, così pensava la gente. Profughi di quello che era rimasto dell’Europa dopo la guerra. Nessuno riusciva a stabilire con esattezza da quale Paese fossero fuggiti. Parlavano un buon inglese, ma con un accento strano; come un misto fra l’olandese e il francese. Si assomigliavano. Lui era alto e lei era bassa, ma avevano occhi molto simili.

Arrivarono in paese in un giorno qualsiasi, e si stabilirono in una baracca sulla strada d’accesso. Era ovvio che avevano attraversato un brutto periodo. Dissero di chiamarsi Williams, e così la gente pensava, be’, questi non avranno i documenti, saranno entrati clandestinamente… era possibile.

Ma non erano vagabondi. L’uomo si chiamava Ben, non conosceva nessun mestiere in particolare, ma aveva voglia di lavorare, e lavorava sodo. A volte lo si vedeva nel retro del negozio di ferramenta, che scopava per terra o riordinava la merce sugli scaffali. La gente diceva che non si lamentava mai. E aveva una famiglia.

Tre figli.

Il maggiore aveva quattro anni. Il più giovane era appena nato.

Vedo che avete capito dove voglio arrivare. Ma aspettate… non è finita.

Facevano abbastanza pena alla gente, per via del loro aspetto trasandato, un aspetto come… braccato. Nel periodo della Depressione li si sarebbe potuti scambiare per criminali o barboni, ma eravamo in tempi di prosperità, e loro non avevano niente dei criminali. E in quel periodo leggevamo tutte le storie orribili della guerra… fu quando venne fuori la verità sui campi di sterminio. Non erano ebrei, ma avrebbero potuto essere zingari, o polacchi, o chissà che cosa. Nessuno di noi capiva realmente quello che era successo laggiù, tranne che un sacco di persone innocenti erano state braccate e uccise.

Ben sembrava molto serio per quanto riguardava la chiesa. Tuttavia, non so ancora se ne fosse onestamente convinto, o se lo facesse solo per integrarsi nella comunità. A volte lo vedevo in chiesa, a due o tre panche di distanza, davanti a me, con l’innario in mano, ma non cantava veramente, solo seguiva le parole con la bocca. E aveva quell’aria completamente persa, come potremmo averla noi se per sbaglio andassimo a finire in una sinagoga o qualcosa di simile e non avessimo la possibilità di andarcene in maniera cortese. Credo che la cosa che preferiva fosse la processione. Quando suonava l’organo, chiudeva sempre gli occhi, e sorrideva. E metteva sempre denaro nel piattino. Per un uomo nella sua situazione, donava con grande generosità.

Non avrei mai immaginato che avrebbe abbandonato i suoi bambini. Sembrava che si trovasse abbastanza bene a Burleigh, e poi voleva bene a quei ragazzini. Si vedeva.

Ma questa è la parte della quale non so molto. Willis non ne ha mai parlato.

Tutto quello che so è che una sera accadde qualcosa nella loro baracca. Willis ricevette una telefonata e uscì con altra gente dalla chiesa. Quando tornò era mortalmente pallido, e tremava. Ma non me ne parlò mai. La gente disse che quella sera erano andate lì anche un paio di auto della polizia, e raccontarono delle storie, ma tutte diverse, quindi non lo so. Infine dissero che Ben e sua moglie se n’erano andati dal paese, o che forse Ben aveva ucciso sua moglie ed era scappato via… ma io non ci ho mai creduto.

Il pastore si prese cura dei tre bambini. C’era un orfanotrofio della contea, ma aveva una pessima reputazione. E i piccoli non erano registrati all’anagrafe; non avevano nessun certificato di nascita o di battesimo. Allora, da quelle parti, la gente era meno intransigente su certe cose. Be’, il pastore pensò a noi.