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Ne parlò a Willis.

Non so quanto gli piacesse l’idea. Ma sapeva che volevo dei figli e che non ne potevo avere. Forse il pastore, o qualcuno dei diaconi, lo convinse. In ogni caso, lui acconsentì. E lo ritengo ancora un atto coraggioso.

Vi portò a casa, tutti e tre.

— Io non mi ricordo niente di tutto questo — disse Karen, stordita.

— Be’ — disse mamma — avevi solo quattro anni, ed eri anche immatura per la tua età. Non è così sorprendente. Laura portava ancora i pannolini, e Timmy era appena nato.

— Almeno così quadra — disse Laura. — Mette un po’ d’ordine nelle cose.

— Tu credi?

— Ci dev’essere un motivo se siamo come siamo.

— Non dovresti neanche parlare di questo — disse mamma.

— Ma lo stiamo facendo — ribatté Laura. — Non ne abbiamo forse parlato fino ad ora? Mamma, è per questo che siamo qui.

Karen osservò sua madre che si alzava in piedi e si avvicinava con passo nervoso al lavandino.

Con voce fioca, mamma disse: — Vostro padre ne era spaventato.

Si voltò verso la finestra.

— Ti ho vista farlo una volta. Te, Karen. Me lo ricordo. Non mi sembrò una cosa tanto brutta. Tu me la mostrasti. Ne eri orgogliosa. Facesti un cerchio nell’aria, e in quel cerchio apparve un bel posto; un lago, degli alberi, e degli uccelli in volo. Come in una foto da cartolina. Era carino, ed era quel genere di luogo che un bambino potrebbe disegnare con i pastelli. La cosa non mi spaventò, non al momento. Forse ne fui spaventata dopo, perché era un miracolo, sapete, ed era spaventoso pensare che cosa potesse implicare. Ma tu ne eri talmente orgogliosa… Forse qualcuno te l’aveva insegnato, prima che ti prendessimo noi. O forse lo sapevi e basta. Quando mi calmai ti dissi che era carino, ma che non dovevi farlo più, e che soprattutto non dovevi farlo vedere a papà… sapevo già come l’avrebbe presa.

Me lo ricordo! pensò Karen. Era tantissimo tempo prima, ma il ricordo era riemerso di colpo. La sensazione che le aveva dato fare quel cerchio, sentire la forza dentro di sé… ne era stata effettivamente molto orgogliosa.

Quanto tempo! si disse. Una volta ero giovane e potevo sentire quel canto dentro di me, anche se non lo volevo. Ora sono vuota. Svuotata, pensò, come una bottiglia.

— Era sempre papà — continuò mamma — che decideva quando dovevamo traslocare.

— L’Uomo Grigio — disse Laura.

Mamma annuì scuotendo ripetutamente il capo, dandole le spalle. — Lo puoi ben chiamare così. L’ho visto, una volta. Solo una volta. Prima che ce ne andassimo da Pittsburgh. Eravamo sul tram, io dovevo fare un po’ di spesa. Tu, Karen, eri a scuola. Ma Laura e Timmy erano con me. E lui salì sul tram. Timmy lo guardò fisso negli occhi… tutti e due sembravano riconoscerlo. E anch’io lo guardai.

“Sapevo che c’era qualcosa che non andava in lui. Mi fece pensare a qualcuno cui fosse stato fatto del male, in qualche maniera. Quando ero bambina, capitava di vedere dei veterani che erano stati avvelenati dal gas in Francia; lui mi ricordò quella gente. Muoveva la testa in maniera strana, e aveva strani occhi sotto quel vecchio cappello con la tesa piegata. Immaginai che potesse essere… sapete, un ritardato.

“Ma invece si sedette e fissò i bambini, e io vidi che anche loro lo fissavano, e poi lui sorrise, ed era un sorriso orribile, e i suoi occhi si illuminarono in una maniera terribile, affamata… e quando vidi che Tim gli sorrideva a sua volta, mi sentii debole, come ci si può sentire se si vede il proprio figlio che gioca con un serpente a sonagli, o qualcosa di simile. Afferrai i bambini, suonai il campanello, e scendemmo alla fermata dopo. Di corsa.”

— E dopo questo traslocammo? — chiese Laura.

— Lo raccontai a Willis… e sì, ci spostammo quasi subito dopo.

— Ogni volta che traslocavamo, era sempre per via dell’Uomo Grigio?

— Credo di sì. Soprattutto. Willis non ne ha mai parlato.

— E tu non gliel’hai mai chiesto?

— Quasi mai. E quando glielo chiedevo, non rispondeva.

Non ne abbiamo mai parlato, pensò Karen. Nessuno ne ha mai parlato.

— Mi chiedo se questo Ben Williams sia ancora vivo — disse Laura. — Forse c’è qualcuno a Burleigh che potrebbe saperlo… mamma, tu che cosa pensi?

— Sei sicura di voler rivangare tutto questo? — chiese mamma.

— Non credo che abbiamo molta scelta.

— Be’… dubito che possiate trovare qualcuno che vi aiuti. Ormai, la maggior parte della congregazione dell’Assemblea si deve essere sparpagliata. La fonderia è stata chiusa anni fa. Alcuni uomini sapevano che cosa accadde quella sera che voi tre foste portati via da quella baracca. Ma nessuno di loro sembrava disposto a parlarne. In un paese di pettegoli, quella era una cosa che la gente si tenne per sé. E poi, chi altro ci può essere?

— C’è papà — disse Karen.

Laura la fissò. Mamma si voltò, con un’espressione sorpresa.

— Tuo padre — iniziò mamma — non acconsentirebbe mai a…

In quel momento la porta d’ingresso sbatté, e Michael entrò in casa correndo.

16

Karen trovò il figlio che respirava affannosamente in camera sua, seduto a gambe incrociate sul letto. Quando lei entrò nella stanza, Michael alzò lo sguardo di scatto.

— Michael? — chiuse la porta alle sue spalle. — Michael, che cosa c’è?

— Willis — disse.

Era stato sulle colline a sud del paese, disse, e Willis l’aveva incontrato per strada e gli aveva dato un passaggio fino a casa. Non era ubriaco, ma era arrabbiato. Lo aveva accusato di stregoneria, o di evocare demoni, o qualcosa di simile… Willis aveva tentato di schiaffeggiarlo.

Karen fu percorsa da un improvviso brivido. — In che senso, ha tentato?

Mio figlio, pensò. Mio padre.

— Non gliel’ho permesso — disse Michael.

— Michael, non essere sciocco… se avesse voluto colpirti, lo avrebbe fatto.

— Io l’ho fermato.

Forse Willis era invecchiato, ma era ancora forte, ed era il doppio di Michael. — Come avrai mai fatto a fermare papà?

Ma Michael non rispose, e Karen, pensando a papà e Michael da soli in macchina, immaginò la risposta.

— Aspetta qui — disse.

Scese a pianterreno, ma papà non era ancora rientrato. Allora uscì, stringendosi nel maglione e buttando fuori nuvolette di fiato ghiacciato.

La porta del garage era aperta. Più che un garage era un ripostiglio, un capannone addossato di sghembo contro il lato settentrionale della casa. Con il passare delle stagioni si era tutto crepato e scrostato. Con quella luce invernale, l’interno era buio.

Si mosse cautamente attorno ai paraurti cromati e butterati della Ferlaine, lungo una parete piena di attrezzi da giardinaggio arrugginiti.

— Papà?

Nessuna risposta. Ma dentro all’automobile vide uno scintillio di luce. La brace della sigaretta di Willis, che si voltava verso di lei.

— Papà — disse — ho freddo.

Willis aprì la sicura della portiera destra con un gesto scocciato. — Che cosa vuoi?

— Parlare — disse Karen.

La portiera si aprì.

Tremando un poco, Karen si infilò in macchina. Willis si spinse dalla sua parte, con un braccio alzato sul quale appoggiò la testa, e l’altro appoggiato sul volante. L’abitacolo era pieno di fumo di sigarette. Sul cruscotto c’era un pacchetto di Camel schiacciato.