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— Gli incantesimi stanno dando i loro risultati?

— Sì.

— Ora?

— Oh, sì.

— È certo di poter recuperare la terza generazione… il figlio maschio?

— È quello che vuole? — disse Camminatore. — Io lo posso riportare indietro.

Palestrina alzò lo sguardo dai suoi appunti. — C’è un’altra cosa… una cosa che ha detto la volta scorsa, una cosa che non ho ben capito. Ha detto che ora aveva un aiuto. Che cosa intendeva?

Camminatore, con il suo viso vecchio e rugoso ma fastidiosamente infantile, lanciò uno sguardo al porporato. — Il suo nome — disse l’Uomo Grigio — è Tim.

Il cardinale si alzò in piedi per lasciare la stanza, esitò un attimo, e infine si voltò nuovamente. Gli era venuta in mente una domanda non programmata, e non sapeva bene come porla.

Né se era il caso di porla. Una volta, un vescovo antiocano di Malabar, in visita a Roma per qualche evento ecumenico, gli aveva confidato la sua convinzione che il più grave dei peccati veniali fosse la bramosia. Come l’orgoglio è il peccato degli angeli, la bramosia è il peccato del clero. Allora, pensò Palestrina, io devo essere colpevole.

— Ciò che lei chiama Plenum… — disse — ha un’estensione infinita?

— Vi sono mondi su mondi — disse Camminatore. — Un’infinità. Così mi è stato detto.

— Ma certamente lei non può vederlo, o sentirlo, o qualunque sia la cosa che lei fa… non tutto quanto?

— No. Non tutto quanto. E posso solo andare dove vanno loro. Ma a volte sogno altri luoghi.

Palestrina sussurrò: — Ma c’è tutto là fuori? Tutto quello che riusciamo ad immaginare?

— Forse — rispose Camminatore.

— E… — il cardinale era imbarazzato dalla sua stessa domanda. — E Dio c’è, là fuori?

L’Uomo Grigio sorrise. — Dio è ovunque… non è forse vero?

— E il Paradiso? — incalzò l’ecclesiastico. — Un mondo dove l’umanità non è mai caduta in disgrazia? Il Giardino, signor Camminatore? Esiste anche quello, là fuori?

Camminatore sorrise.

— Se c’è — disse — io non l’ho mai trovato.

Il cardinale Palestrina si voltò prima che Camminatore potesse vederlo arrossire; la porta si chiuse con un senso di fine sconcertante.

Camminatore guardò con stupore l’emissario papista che lasciava la stanza.

Tendenzialmente, il cardinale Palestrina gli piaceva. Era una persona in buonafede. Tuttavia, lo disturbavano i suoi tic nervosi, e quella sua espressione di disgusto trattenuta a stento. E ora questa faccenda del Paradiso. Era qualcosa con la quale Camminatore non aveva mai avuto a che fare, e tantomeno nei corridoi dell’IRD.

Non avendo altre istruzioni, l’uomo tornò alla sua stanza, nel profondo delle cantine dell’Istituto, percorrendo un corridoio dal soffitto pieno di tubi.

Nella stanza di Camminatore c’erano un tappeto e una fotografia incorniciata delle Montagne Rocciose; un letto con un materasso a molle e una coperta di cotone fine, e un televisore con un tubo catodico rotondo e ingombrante su una piattaforma girevole. Non usava molto spesso il televisore. Non c’era mai niente da guardare, eccetto il canale governativo, che emetteva notiziari, informazioni sugli affari pubblici e un paio di programmi di varietà noiosissimi. Di tutto questo, Camminatore preferiva i notiziari. Gli piacevano le mappe, e quelle frecce animate che si spostavano nel Mediterraneo, tutte puntate verso la Sicilia. Gli piacevano le fotografie aeree delle città turche quando gli aerei europei ci volavano sopra, con le eliche che giravano e le bombe che cadevano come coriandoli.

Capiva i motivi politici che avevano portato il cardinale ad attraversare l’Atlantico; capiva la guerra in Medio Oriente. Camminatore non era stupido. Solo che, sebbene capisse, semplicemente non gliene importava un granché. Le guerre c’erano sempre state, e ci sarebbero sempre state. C’erano guerre dappertutto. La guerra non aveva alcuna importanza. Era la ricerca in se stessa che l’ossessionava; quella sensazione di una presenza che lo tormentava attraverso distanze insondabili. La complessa e luminosa rete di obblighi magici,La bramosia di ciò che gli avrebbe portato il completamento di quello sforzo, un appagamento.

Camminatore credeva, anche se raramente permetteva a quel pensiero di diventare esplicito, di aver perso qualcosa tanto tempo prima, e che portare il figlio di Karen, Michael, all’IRD, gliel’avrebbe in qualche modo restituita. Ma che cos’era che aveva perso? Be’, non lo sapeva. Forse qualcosa di etereo come un profumo, un ricordo, una sensazione, o forse qualcosa di tangibile, una ricompensa. Qualcosa che aveva posseduto, una volta, ma che gli era sfuggita via. Camminatore sognava spesso di perdere il portafoglio, o il cappello, e si svegliava rovistando freneticamente tra le lenzuola. Era qui, lo so che era qui da qualche parte.

Ma non si era mai permesso di insistere eccessivamente su quel punto. Se ci pensava troppo quando era solo (e lui era quasi sempre solo) gli lacrimavano gli occhi, e serrava i pugni. I chirurghi dell’IRD avevano cauterizzato quasi tutte le sue capacità emotive, ma quelle poche emozioni che ancora provava erano capricciose e a volte lo rendevano furioso. Lui cercava diligentemente di sopprimerle.

Ma rivoleva indietro quella cosa che aveva perso.

Dopo la cena alla mensa, Camminatore andò a trovare Tim.

Neumann gli aveva assegnato una camera di lusso al terzo piano, abbastanza in alto da permettergli la vista della città, ora buia e coperta di nubi in continuo movimento. Tim era davanti alla finestra, e guardava fuori. Camminatore, che comprendeva la natura degli incantesimi costruiti in tutti quegli anni, assunse una posizione eretta, si stampò un sorriso sulle labbra, e cercò di assumere un aspetto autoritario.

Così facendo, vide di sfuggita il suo riflesso nella finestra. Come sembro vecchio, pensò! Naturalmente, lui era vecchio. Aveva perso il conto preciso della sua età, ma era certamente abbastanza vecchio da poter essere il padre di Tim. Questo era naturale. E Tim era adulto. Non un uomo di mezza età, ma neanche un uomo giovane. Camminatore godeva di buona salute, ma sapeva che l’età e il tempo stringevano, e sperava che non sarebbe morto prima di recuperare quella cosa preziosa che aveva perso.

— Ti piace la città? — disse.

Tim si voltò.

Timothy Fauve era cambiato parecchio negli ultimi sei mesi. Ora i suoi occhi erano limpidi, abiti e viso erano puliti, e aveva un’aria sana. I capelli corvini gli arrivavano fino alle spalle, ma non erano opachi. Si era rasato. Le sue mani non tremavano.

— Salve, Camminatore — disse Tim. — Non credo che sia quel genere di posto del quale si può dire che è bello. Diciamo che non mi dispiace.

Il sorriso di Camminatore si allargò leggermente. — Hai fatto un bel po’ di strada.

Più o meno il massimo che si poteva fare. Da tutte le parti.

— Non rimarremo qui ancora molto a lungo. Sei pronto?

— Credo di sì.

— Camminatore avrebbe preferito una risposta più decisa. Fece una smorfia, e notò che l’altro reagiva con un sussulto. — Ti rendi conto di quanto abbiamo lavorato per arrivare a questo stadio?

Tim annuì energicamente.

— Ti rendi conto di quello che abbiamo fatto per te.

— Certo che me ne rendo conto. Certo.

— E che cosa c’è in ballo?

— Sì.

— Sei sicuro di essere pronto a concludere?

— Assolutamente — risposo Tim.

— Bene — Camminatore si rilassò. — Cosa ne diresti di una partita a scacchi?