Gli diede un handicap di una torre e un alfiere. Camminatore era un buon giocatore. Veloce, metodico e pulito. Brandiva le pedine degli scacchi come un chirurgo che brandisce un bisturi.
PARTE TERZA
Terra natia
19
In tre giorni, riuscirono ad arrivare dalla Pennsylvania al confine californiano. Laura li trasportò dentro e fuori da un mondo secco e caldo, con le strade ampie, il traffico leggero, e l’orizzonte che sembrava sempre un po’ più vicino. Una volta si fermarono anche a un ristorante sull’autostrada, ma il menu sopra la cassa era scritto in uno strano corsivo che assomigliava più al persiano che all’inglese, il che implicava, fra le altre cose, che il loro denaro non sarebbe valso a nulla. Così Laura li riportò su una strada interstatale, e si fermarono a un ristorante della catena Stuckey’s, appena fuori Kingman, in Arizona.
— Non sapevo che eri in grado di fare tutto questo — disse Karen.
Sua sorella scrollò le spalle. — Neanche io.
— Stavo pensando — continuò Karen — che potrebbe attirare l’attenzione.
— Non credo che abbia più importanza ormai. Abbiamo già i loro occhi su di noi.
— È solo una questione di tempo — disse Karen. — Anche tu hai questa sensazione?
— Sì. Credo che faremo meglio a fare in fretta.
Karen ordinò un tramezzino e una coca cola. Michael chiese un hamburger, e Laura ordinò un’insalata. Mentre aspettavano, Karen allargò le mani sul bancone di marmo ingiallito. — Ora le cose sono cambiate.
— So quello che vuoi dire — rispose Laura. — Io riesco a fare cose che prima non mi riuscivano.
— Perché l’esigenza è più impellente. È questo che provo… urgenza.
La cameriera portò il pranzo. Karen fissò Michael, che fissò il suo hamburger. Ondate di luce attraversavano le ampie finestre dipinte di verde. Tutto era fermo. L’aria condizionata era ferma. Stabile, pensò Karen.
— Su, mangiate — li incitò Laura. — Sarà meglio che ci sbrighiamo.
Era la prima Volta che Karen andava a San Francisco.
Gavin ci era stato un paio di volte per affari. Le aveva sempre detto che era una città meravigliosa. E lo era, pensò Karen, da una certa distanza. Le piacevano le colline e i vecchi edifici bianchi smerlati, e le piacevano le nuvole basse che correvano dall’oceano. Ma una volta entrati, era una città come tante altre, con gli stessi marciapiedi affollati, gli stessi autobus diesel e gli stessi quartieri che era meglio evitare.
Trovarono alloggio a un Ramada Inn su Market Street. La carta di credito di Karen fu accettata, e lei si domandò per quanto tempo l’avrebbe passata ancora liscia con quella storia. Era un conto che divideva con Gavin, e ora che se n’era andata, probabilmente lui l’avrebbe tagliata fuori.
Ma c’erano problemi più immediati dei quali preoccuparsi.
Portarono ognuno una delle grosse valigie su per le scale moquettate fino al secondo piano. La stanza era grande e aveva un leggero odore di chiuso, ma le lenzuola erano fresche e gli asciugamani puliti. Il bagno era un tempio di specchi.
Laura tirò fuori la cartolina che le aveva dato Jeanne. — Potremmo andarci stasera. Non è tanto lontano.
Ma Karen scosse il capo con decisione. — È già tardi. Io sono stanca.
— Be’, una mangiata e una notte di sonno non ci farà certo male. C’è una tavola calda giù nell’atrio; vi andrebbe bene?
— Io voglio fare una doccia e andare a dormire — disse Karen. — Andate voi due, d’accordo?
Laura si fermò un attimo davanti alla porta. — Sei sicura che vada tutto bene?
— Sto bene. Ho solo bisogno di stare un po’ sola.
Michael ordinò un altro hamburger.
— Ti uccide quella roba, sai? — gli disse Laura. — Riempiono il bestiame di ormoni. È una cosa disgustosa.
Michael sorrise. — Sei diventata improvvisamente vegetariana?
— Io dico solo che se devi mangiare carne, la dovresti mangiare veramente. Belle bisteccone da belle vaccone grasse. Una volta c’era un ristorante, non lontano da qui, che faceva bistecche a un prezzo ragionevole. Ma di carne vera, non di cartilagine e TVP.
— Hai abitato da queste parti?
— A Berkeley. Ma tanto tempo fa.
— Negli anni sessanta — disse Michael.
Laura sorrise dentro di sé. Le faceva sempre un certo effetto quando la gente diceva “gli anni sessanta” a quel modo, come parlando di un luogo, o di un indirizzo. — Sì — rispose — negli anni sessanta.
Michael addentò il suo hamburger. — Eri una hippy?
— Quella è veramente una parola stupida, Michael. Io l’ho sempre pensato. È una parola da riviste come Time.
— Be’ — disse lui — sai com’è.
Lei annuì con riluttanza. — Credo di poter dire che lo ero, comunque. In ogni caso, ero una hippy di Berkeley. A volte venivo giù all’Haight. Ballavo al Fillmore… penso che questo mi qualifichi.
— Un paio di anni fa ho visto un programma alla TV che ne parlava — disse Michael. — Si intitolava L’Estate dell’Amore.
Il sorriso di Laura si tramutò in una smorfia. — L’Estate dell’Amore era piena di tossicomani. Era la fine di tutto. Diecimila persone che cercavano di vivere sulla penisola. Sai che cos’era Haight Street alla fine della così detta Estate dell’Amore? Era il posto in cui un sacco di ragazzini senza casa andavano a prendersi l’epatite. O malattie veneree. O a farsi violentare, o mettere incinta. Era un disastro… tutti quanti parlavano solo di andarsene via.
— Come hai fatto tu — disse Michael con aria seria.
— Sì.
— Te ne sei andata a Turquoise Beach.
— Be’, sono andata a finire lì.
— E qui era così? Voglio dire, quando si stava bene? Haight era come Turquoise Beach?
Laura scosse il capo con enfasi. — Haight era un luogo unico. Era pieno di tutti quegli idealisti pazzi, poeti e santi… non c’è modo in cui te lo possa spiegare. Era come stringere tutto il mondo in pugno. Turquoise Beach è un buon posto, sai. È il migliore che sono riuscita a trovare. Ma è molto più lento. Non c’è quella passione. Non c’è…
Si ritrovò a balbettare.
— Non avevo intenzione di rattristarti — disse Michael.
Il ragazzo sedeva dalla parte opposta del tavolo; il figlio di sua sorella, molto anni ottanta con i suoi capelli corti e la magliettina stretta. Era strano pensare che nel 1967 lui non esisteva ancora. Improvvisamente, le venne in mente che avrebbe potuto essere suo figlio, che lei avrebbe potuto avere un figlio come quello, che avrebbe potuto farlo crescere. Invece se n’era andata nella Terra del Mai-Mai… dove si poteva rimanere giovani per sempre. O quasi per sempre. Finché non ci si svegliava un giorno, con i capelli grigi e in menopausa.
— So cosa significa — disse Michael, parlando a bassa voce, quasi solo per sé stesso — cercare un mondo migliore… io lo posso capire.
Laura appoggiò la forchetta sul tavolo. — Fallo — disse. Il suo appetito era scomparso. La sua voce si era indurita. — Fallo, Michael. Ma cerca bene, mi raccomando. Non ti arrendere troppo presto.
Karen fece la doccia, poi si sdraiò su uno degli ampi letti a due piazze dell’albergo. Il materasso era duro (si era abituata ai vecchi materassi di felpa di casa) ma andava bene. Aveva programmato di ordinare qualcosa al room service, ma in seguito aveva scoperto di non avere fame. Aveva aperto le tende, ma fuori non c’era altro che lo squallore del parcheggio.
Guardò il telefono.
Alzò il ricevitore, pensando che dopotutto avrebbe fatto meglio a mangiare qualcosa. Ma quando il centralinista rispose, Karen si ritrovò a chiedere una linea interurbana. Forse era quello che aveva avuto intenzione di fare fin dall’inizio; forse era per quello che aveva mandato Michael e Laura a mangiare da soli.