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— Possiamo darle un’occhiata?

— Assomiglia a tutte le altre stanze. Ed è vuota da maggio. Abbiamo avuto una perdita nei tubi dell’acqua.

— Solo qualche minuto? — ed estrasse un’altra banconota da dieci.

L’uomo se l’infilò nel taschino della camicia. — Se lo desidera — disse, e le porse la chiave.

Ma aveva ragione lui, pensò Karen. Non c’era niente da vedere. Solo quel lungo corridoio umido, una porta di legno con una maniglia e una serratura, una stanza vuota.

Era un buco. Aveva le dimensioni di uno sgabuzzino. Dietro a una porticina crepata c’erano un water e un lavandino, ma niente doccia. Le pareti erano coperte di stucco grigio. Il tubo rotto aveva fatto bagnare il tappeto, e la muffa stava raggiungendo la porta.

— Viveva qui? — chiese Michael.

— Almeno per un certo periodo — rispose Laura.

— Non credo che se la passasse molto bene.

— Non sappiamo perché si trovasse qui — disse Laura. — In verità, non sappiamo niente di lui. Abbiamo perso completamento le sue tracce, da quando se n’è andato di casa. Ma lui è stato in questa stanza. Lo sento.

Karen lanciò un’occhiata a sua sorella.

— Sono successe delle cose qui — disse Laura. — Viaggiava da qui. Lascia delle tracce.

— Viaggiava fuori dal mondo — disse Karen.

— Sì.

Karen cercò di sentirlo anche lei. Erano anni che non permetteva a sé stessa anche solo di credere che una cosa simile fosse possibile. Ma certamente ora non c’era motivo di negarlo… Fissò la stanza vuota e squallida, cercando di trovarci dentro della magia.

Non c’era nulla.

Se sono mai stata capace di farlo, pensò, ora non lo sono più.

— Sai dove se n’è andato? — chiese.

Laura sospirò.

— No — rispose. — Non lo so.

Sconfitti, riattraversarono l’atrio in silenzio. Laura lasciò cadere la chiave sul banco, e l’uomo non alzò neanche lo sguardo.

Uscendo, Karen si riparò gli occhi dalla luce, improvvisamente allarmata. C’era un uomo appoggiato alla loro macchina.

Era solo un poco più alto di Karen, e troppo magro, ma era ragionevolmente ben vestito. Una camicia bianca inamidata e un paio di Levi’s puliti. I suoi occhi erano stretti, e le sue labbra atteggiate a un sorriso. Teneva le mani in tasca. Alzò gli occhi; il suo viso era pallido alla luce del sole.

Per un attimo, restò perplessa. Poi, quando lo riconobbe, sentì la testa che le girava.

— Tim! — urlò Laura.

Il sorriso dell’uomo si allargò.

— Mi cercavate? — disse.

20

Andarono a pranzo al Fisherman’s Wharf.

— Dovreste lasciare che vi porti un po’ in giro — aveva detto Tim. — Una gita turistica.

Il ristorante piacque a Karen. La cameriera portò piatti di pesce in salse ricche e burrose; e oltre le vetrate potevano vedere la Baia di San Francisco e il Golden Gate Bridge. Le nuvole si erano sollevate, e un luminoso sole invernale si rifletteva sulla fila di battelli turistici ormeggiati al molo.

— Ma noi non siamo turisti — disse Laura. — Noi non abbiamo tempo.

— Be’ forse ne avete — disse Tim. — Forse le cose non stanno poi tanto male quanto pensate voi.

— Come hai fatto a trovarci?

— Ho cercato — Karen percepì la sottile enfasi con la quale disse la parola “cercato”. — E sapevo che voi mi stavate cercando.

— Puoi fare questo?

Tim annuì.

Ma quello non era il luogo adatto per parlarne. Karen mangiò metodicamente, non molto cosciente di che cosa stesse mangiando, e lanciando occhiate a suo fratello. Era ben vestito. Aveva un aspetto abbastanza sano. Ma allora perché viveva in quell’albergo che era un buco meno di un anno prima? Sì le cose stavano andando per il verso giusto, per lui… ma poi Karen notò il leggero ma persistente tic nervoso del suo sopracciglio destro, il che le fece pensare che forse c’era anche qualcosa che non andava proprio per il verso giusto…

Tim si rivolse a Michael, che aveva ordinato un piatto di pesce misto, dopo aver scoperto che il menu non proponeva alcun genere di burger. — Dev’essere strano scoprire che si ha uno zio dopo tutti questi anni.

Michael scrollò le spalle. Era stato zitto per tutta la mattinata. Silenzioso, ma attento.

— Un pochino — disse.

— Qualche volta dovremmo trovarci e fare una bella chiacchierata — disse Tim.

— Certo — rispose Michael.

Karen sentì una pugnalata di sconforto.

— A casa — disse Tim. — È lì che sono stato.

Dopo pranzo, Laura guidò fino a un parco che dava sulla baia. Rimasero seduti in macchina con i finestrini chiusi, e Karen osservò una fila di gabbiani che scendeva verso l’acqua. Era un luogo tranquillo, ed erano soli.

— Immagino che tu non intenda Polger Valley — disse Laura.

Tim rise, e Karen si ricordò improvvisamente dei vecchi tempi. La stessa risata beffarda. — È quella che chiamate casa? Ma siate oneste: vi siete mai realmente sentite a casa, lì?

— Mamma e papà hanno ammesso un paio di cose — disse Laura?

— Be’, che ne direste di dirmi quello che sapete? — chiese Tim.

Così, Laura gli riferì quello che avevano scoperto; gli disse dei loro veri genitori, e dell’Uomo Grigio. E Karen ripeté la parte che le aveva raccontato Willis; la baracca sulla strada vicina a Burleigh e i corpi che vi aveva trovato.

Tim ascoltò attentamente; quando Karen ebbe finito, sul suo viso c’era una smorfia. Scosse il capo. — Ne avevo saputa una parte da altre fonti. Ma questo riempie alcuni vuoti.

— Tu sapevi? — disse Laura.

— Mi è stato detto.

— Quando?

— Be’, recentemente.

— Chi te l’ha detto… l’Uomo Grigio?

Le parole sembrarono rimanere sospese a mezz’aria, e per un attimo Karen sentì il richiamo dei gabbiani.

— Ovviamente dovrei partire dall’inizio — disse Tim. — Volete la versione lunga o quella da Selezione Reader’s Digest?

Laura diede un’occhiata a Michael per una frazione di secondo e disse: — Credo quella più breve.

Tim era seduto davanti accanto a Laura, e Karen vedeva solo la sua nuca, o il suo profilo quando si voltava, ma lo stava fissando con la massima attenzione possibile, cercando ricordare il suo aspetto precedente e di individuare i cambiamenti. Si ricordò il bambino imbronciato delle foto di sua madre. Ma ora non era imbronciato. Anzi, al contrario, era fin troppo espansivo. A volte parla come un rappresentante, pensò Karen.

— Me ne sono andato di casa — cominciò Tim. — Ho viaggiato parecchio. Ho fatto diversi mestieri per un po’ di anni. E ho fatto anche molti viaggi di altro genere. Ma alla fine tornavo sempre qui… perché questo è un posto che mi è familiare so come arrangiarmi. E mi arrangiavo abbastanza bene, la maggior parte delle volte. Ma avevo gli stessi vostri problemi. L’Uomo Grigio… mi capitava di vederlo, a volte. E non era solo quello. Forse l’avete sentita anche voi questa sensazione… è come avere nostalgia di un posto che non si è mai visto. Giuro che non ho mai avuto la sensazione di appartenere a questo luogo.

Karen notò che Michael annuiva di tanto in tanto.

— Così — continuò Tim — a un certo punto mi sono messo a bere. E nel giro di poco, anche quello è diventato un problema. Mi ricoverarono in ospedale un paio di volte. Poi capii quello che mi sembra abbiate capito voi due… e cioè che non è una cosa dalla quale si possa fuggire. — Le sue labbra si compressero in un sorriso stretto e sinistro. — Noi possiamo scappare più lontano e più in fretta di chiunque, giusto? Ma non possiamo scappare via.