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— Prova a vederla dal nostro punto di vista — disse Laura. — Prova a farlo, almeno.

La sua risposta arrivò come un morso. — Ci sto provando. Solo non riesco a capire che cosa volete.

La cameriera portò del caffè in una caraffa bollente. Karen vide Michael che porgeva la sua tazza, e si domandò quando avesse iniziato a bere caffè. Forse con la pubertà, come la barba.

Cercò di focalizzare la sua attenzione sulla conversazione, ma non ci riuscì. Quale posto al mondo poteva essere più sicuro della tavola calda di un albergo? Eppure si sentiva a disagio, esposta…

— Almeno mi piacerebbe sapere a che cosa andiamo incontro — disse Laura.

— È una vecchia città — disse Tim con tono paziente. — Si chiama Washington, ed è sul fiume Potomac, ma non assomiglia molto alla città che voi conoscete con lo stesso nome. È inverno, e il clima è più freddo del nostro, quindi ci si può aspettare che nevichi. C’è un edificio che si chiama Istituto di Ricerca per la Difesa. È un edificio del governo, e lì dentro ci sono delle persone che vi vogliono parlare.

— Loro ci possono aiutare?

— Mi hanno fatto capire che possono mostrarci un modo per viaggiare senza lasciare tracce; in pratica, un modo per sfuggire a Camminatore.

— Ti hanno fatto questo favore?

— No. Non ancora.

— Allora dobbiamo fidarci della loro parola.

Tim prese stavolta un’espressione sofferente. — Non possono tenerci lì. Non esiste punizione, esiste solo la ricompensa. Ovviamente non vogliono darla troppo presto.

— Hanno un tale bisogno di noi?

— Per il loro lavoro. Niente di terribile. È della nostra cooperazione che hanno bisogno.

Un pensiero attraversò la mente di Karen. — E come facciamo a sapere che lui non lavora per loro?

Laura e Tim si voltarono di scatto verso di lei. Karen arrossì, ma insistette; — L’Uomo Grigio, intendo. Forse lui lavora per loro. Sarebbe lui la punizione.

Laura ci rifletté, e annuì pensierosa. — Forse. Che cosa ne pensi, Tim?

— Siete paranoiche — disse. — Quante volte ve lo devo dire? Stiamo parlando di persone ragionevoli, non di mostri.

Karen finì il suo caffè. Tim lasciò il denaro per la colazione, assieme ad un’enorme, eccessiva mancia. — Vi ho detto tutto quello che so — concluse. — Il succo è che presto io tornerò lì, e credo che voi dovreste venire con me.

Era come un ultimatum. Karen lo percepì dalla sua voce. Era un ordine, o una supplica, o una combinazione minacciosa di entrambi. Tim non era cambiato.

Cadde il silenzio.

— Andrò io — disse Laura improvvisamente.

Karen rimase a bocca aperta. Tim sembrò altrettanto stupito.

— Domani — disse.

Altri sguardi stupiti.

— Be’ — continuò Laura — perché no? Prima si va, meglio è, non vi pare? Ma solo uno di noi — aggiunse. — Solo uno di noi. Andrò io. E se mi sembra che sia tutto a posto, tornerò indietro e chiamerò gli altri — fissò suo fratello negli occhi. — Va bene per te?

Seguì un silenzio ancor più lungo del precedente. Tim fissò Laura, poi Karen, e infine Michael. Ci sta ispezionando, pensò Karen, per vedere se siamo sinceri.

Ma perché non fidarsi? Di che cosa aveva paura lui?

— Penso che vi stiate comportando in maniera irragionevolmente circospetta. Comunque, è già qualcosa.

— Non è necessario che tu lo faccia — disse Karen.

— Lo so — rispose Laura.

Erano tornati in camera, e Michael stava facendo la doccia. Erano sole.

— È pericoloso — disse Karen. — Ho un brutto presentimento.

— Be’, Cristo, anch’io. Ma io non sono un ostaggio abbastanza importante da trattenere. Credo che Tim dovrà riportarmi indietro. Mi faranno fare un giro turistico, e forse sarà una messinscena, forse sarà progettato in modo da attirarci lì… ma riuscirò ugualmente a scoprire qualcosa.

— Stiamo presupponendo che lui sia un bugiardo — disse Karen — che stia lavorando per l’Uomo Grigio.

— È quantomeno possibile. C’è sempre stato un rapporto, fra loro due, che non ho mai ben capito.

— Allora è troppo pericoloso. Non puoi andare.

Laura sospirò, alzando gli occhi al cielo. — Che altre possibilità abbiamo? Correre e continuare a correre? Non voglio più. Voglio smetterla di scappare. E in ogni caso, non è me che vogliono. Camminatore mi ha sempre lasciato in pace a Turquoise Beach. Non sono io il premio.

Era vero, pensò Karen, ma era anche spaventoso. Ciò che implicava era spaventoso. — Allora chi è il premio?

— Non tu o io — disse Laura. — lo credo… in definitiva, io credo che sia Michael che vogliono.

Per favore, no, pensò Karen.

Ma forse Tim non stava mentendo; forse era tutto vero. E forse era tutto a posto.

Sdraiata sul letto, Karen volle crederci.

Forse è vero, pensò, forse esiste veramente un luogo che possiamo chiamare casa nostra. Non il genere di utopia che Laura aveva cercato dall’altra parte del continente, non il Paradiso, forse neanche un posto particolarmente bello, ma sempre casa. Una casa vera e propria, alla quale appartenevano.

Sarebbe stata una buona cosa.

Ma pensò al suo sogno che non era un sogno, il sogno della gola dietro la casa di Costantinopole e dell’oscurità di un vicolo acciottolato in una vecchia e fumosa città di mare. Pensò alla solitudine delle fabbriche e dei magazzini, e ai palazzi di ossidiana nera. Pensò alla neve che cominciava a cadere.

Era il genere di mondo nel quale Tim sarebbe entrato di sua volontà. Karen aveva sentito ciò che aveva detto sua sorella sul loro talento. Era un talento la cui ampiezza dipendeva dalla propria immaginazione. Il che era come dire l’anima stessa. Si ricordò Tim da bambino, e immaginò che avesse aperto porte su una dozzina o più di quei mondi tetri, limitati e glaciali. Forse era l’unico genere di porta che lui riuscisse effettivamente ad aprire… di tutta la rete di possibilità, nient’altro che quei vicoli bui e quelle città fredde.

Addormentandosi infine, si ricordò ciò che le aveva detto Laura: È Michael che vogliono. Le parole riecheggiarono nella sua testa.

Non mio figlio, pregò. Per favore, non Michael.

Penso all’Uomo Grigio, tutti quegli anni prima, e ai regali che aveva dato loro; i regali che tre bambini avevano accettato e che languivano in un cassetto chiuso da tre decenni.

I regni della Terra.

Che cosa significava?

La più bella del reame.

Un indovinello.

Il figlio primogenita.

Dormendo, rabbrividì.

Laura, nel letto accanto, aveva pensieri simili.

Camminatore le aveva donato uno specchio. Lo stesso specchio che aveva ritrovato nel cassetto a Polger Valley… lo specchio che ora vedeva chiaramente con l’occhio della mente. Era uno specchio di plastica rosa da pochi soldi, e il vetro cromato si era scrostato con il passare degli anni. Ma era ovvio ciò che aveva voluto significare quel dono di Camminatore. Era il suo modo di dire “tu sei vanitosa”. La tua maledizione è la vanità.

Ed era vero. Ora lo poteva sentire. La sua vita si era basata su quello. Le droghe erano uno specchio nel quale si era guardata per un certo tempo. Anche Turquoise Beach era uno specchio; uno specchio magico che rifletteva solo cose piacevoli. Anche Emmett era uno specchio, e lei si era specchiata nei suoi occhi.

Nel complesso, pensò Laura con amarezza, non è altro che merda. E per una cosa del genere lei era rimasta lì, sola e abbandonata su quell’isolotto di tempo.

Quindi, pensò, devo essere io. Era perfettamente logico. Era per quello che si era offerta di andare con Tim. Era una buona idea, ma era anche un atto di coraggio; lasciate che corra questo rischio al posto di qualcun altro. Per la prima volta, per favore, Dio, lascia che io me ne prenda cura.