Però aveva paura.
Ma non c’era niente di strano. Era normale che fosse spaventata. Ora si trattava di affrontare le verità vere. Il confronto finale. I segreti definitivi.
Non dormirò mai, pensò. Sono troppo tesa per dormire.
Ma il sonno si impossessò di lei senza avvertirla.
Dormì, e dormì anche Karen, e la notte si consumò. Quando si svegliarono il sole brillava in cielo, e il letto di Michael era vuoto.
24
La capitale del Novus Ordo era buia nell’inverno, e Michael non era vestito in maniera adeguata.
Si era messo due magliette, un paio di jeans pesanti e un cappello da baseball della squadra dei Blue Jays calcato fino alle orecchie. Ma non era sufficiente. Il vento soffiava in quelle strade solitarie tagliente come un coltello, e la neve si infiltrava nelle sue scarpe da ginnastica.
La strada era deserta. Si domandò se vigesse per caso un coprifuoco, o se fosse solo per via del tempo. Ma doveva anche essere tardi, lì. Gli edifici erano vecchi e neri, illuminati a strani e imprecisi intervalli da lampade al sodio. Ogni tanto passava sbuffando un’automobile dall’aria pesante, oppure una carrozza tirata da cavalli. Cadendo, la neve faceva un suono secco e polveroso. Michael rabbrividì.
Ma era vicino. Lo sentiva. Ancora un paio di quegli isolati lunghi e stretti, poi a destra, e poi ancora a sinistra. Non sapeva da dove gli proveniva quella cognizione, ma era immediata e sicura; si era fissata nella sua mente dal momento in cui era arrivato.
Ma il tempo era veramente brutto, e cercare di camminare significava ridursi in pessimo stato. Così, si riparò sotto l’esigua tettoia di un negozio in stile gotico, sulla cui insegna era scritto OROLOGI, MECCANISMI OROLOGERIA, RIPARAZIONI, e tentò di farsi dare un passaggio.
Due automobili gli passarono davanti. La terza si fermò.
Si trattava di un enorme veicolo grigio, e un cilindro nero, forse un serbatoio o una camera di compressione, spuntava da sotto il cofano. La portiera destra si aprì, e Michael si infilò nella macchina.
L’interno felpato dell’automobile non era molto più caldo della strada, ma almeno era riparato dal vento. Michael guardò l’autista con gratitudine. Si trattava di un tipo di mezza età imbacuccato in pellicce dall’aria russa e guanti pesanti. Si fissarono con aria indagatrice per un minuto, finché il conducente non fece qualche mossa elaborata con la leva del cambio e il veicolo ripartì sussultando.
— È un po’ tardi per essere in giro — disse l’uomo.
Michael annuì. — Non era una cosa programmata.
— Ti sei ritrovato nella tempesta?
— Uh-huh.
— Potresti rimanerci secco, ad andare in giro vestito così.
L’accento dell’uomo era strano, pensò Michael. Come una combinazione fra olandese e francese. Il tono era neutro e cauto. — Be’, sapete com’è — disse Michael. Non esisteva una scusa plausibile per i suoi vestiti.
— Vieni da fuori città? — chiese l’uomo.
— Sì.
— E vai lontano?
— Non molto.
— Dammi l’indirizzo. Ti ci porterò.
Ma non aveva un indirizzo. Esitò un attimo. — Non conosco il numero — disse — ma posso indicarle la strada.
— Meglio di niente — disse l’uomo.
Procedettero in silenzio per un certo tempo. Un enorme spazzaneve a vapore con un lampeggiante blu sul tetto intersecò la loro strada a un incrocio. Dei cavi sospesi ronzarono e sbatterono fra loro nell’oscurità. Gli edifici erano alti e bizzarri, come quelle fotografie delle case Tudor che aveva visto sul suo libro di geografia. Le finestre a livello strada erano tutte vetrine di negozi. Dopo un po’, vennero sostituiti da edifici più grandi, simili a magazzini, alternati da qualche torre di pietra o di cemento con colonne di marmo finto e guglie che s’innalzavano dai cornicioni.
Non era un posto buono, aveva detto Tim, ma neanche necessariamente un posto cattivo.
Casa, aveva detto.
Ma Michael rabbrividì sul sedile freddo, e aspettò prima di dare un giudizio.
— A sinistra — disse, seguendo il suo istinto. — Giusto. Ora su per di qua. Forse un isolato o due…
La via che imboccarono era più ampia, e costellata di alti palazzi di ossidiana. I cavi per i tram erano tesi sopra di loro. Il rombo delle gomme suggerii che sotto la neve la strada doveva essere acciottolata.
Quella crescente sensazione di familiarità eccitò e preoccupò Michael allo stesso tempo. Come faceva a sapere da quale parte andare? Era strano. Eppure, lo sapeva. L’istinto era forte, potente…
— Qui! — esclamò improvvisamente.
La vettura si fermò.
Seguì un attimo di silenzio, interrotto solo dal rumore del vento sul parabrezza.
L’edificio era enorme. Un muro di pietra che si apriva su un cortile. Sopra il cancello d’ingresso vi era incisa una piramide con un occhio al centro.
— Palazzo del governo — osservò l’uomo al volante.
Trovare la strada fino a lì era stata la parte facile.
Michael era rimasto sveglio a lungo dopo che sua madre e Laura si erano addormentate. Si sentiva talmente sveglio in quella camera d’albergo di San Francisco, che aveva l’impressione di non potersi addormentare mai più. I pensieri giravano nel suo cervello come un motore surriscaldato. Stava pensando a Tim.
Stava pensando alla zia Laura che avrebbe seguito Tim fino al Novus Ordo.
Capiva esattamente le sue intenzioni. Era un’idea abbastanza sensata. La zia non si fidava di Tim, e voleva sapere con esattezza a che cosa andavano incontro. Michael sapeva che lei aveva paura, e che probabilmente il suo era un vero atto di eroismo.
Ma a ripensarci, non era poi così sensata come idea. Più ci pensava, e meno gli pareva sensata. Se era necessaria una perlustrazione, perché andarci con Tim? Perché fidarsi anche solo di quel tanto? Immaginò che Laura non sarebbe stata in grado di trovare quel posto da sola… il suo talento non era molto forte, ed era stata lì una sola volta, e decenni prima, da bambina.
Ma io lo posso trovare, pensò Michael. L’aveva già sentito. In un modo curioso, era stato in grado di sentirlo attraverso Tim. Forse era quello il modo in cui l’Uomo Grigio li trovava sempre; quella leggera ma netta sensazione di una strada intrapresa, di una presenza passata. Non era una cosa per la quale si poteva mettere la mano sul fuoco, eppure lui la sentì, in quella camera d’albergo di San Francisco.
C’era anche la questione della distanza fisica (la città si trovava dall’altra parte del continente), ma Michael era arrivato a capire che neanche quella era una barriera sostanziale, e che nel vortice delle possibilità la distanza era tanto mutevole quanto il tempo. Washington o Tijuana, Parigi o Pechino, non aveva nessuna importanza.
Si alzò al buio, senza svegliare sua madre o sua zia. Si vestì con gli abiti più pesanti che riuscì a trovare. Ora, pensò. Non c’era motivo di attendere oltre. Laura aveva progettato di partire l’indomani; Michael sarebbe andato prima di lei, e avrebbe reso inutile il suo viaggio. Solo per dare un’occhiata, si era detto. Solo per farsi un’idea del posto. E poi tornare indietro. Tornare indietro prima del mattino. Naturalmente, tutto ciò non sarebbe piaciuto a sua madre e sua zia. Non l’avrebbero approvato. Ma era lui l’uomo di famiglia. La responsabilità era sua.
Un mezzo passo laterale, e un quarto di giro in una direzione alla quale non sapeva dare un nome. Era quasi spaventosamente facile. Un attimo dopo si ritrovò in piedi in una strada buia con la neve fino alle caviglie, che chiedeva un passaggio fino a un edificio che non aveva mai visto, seguendo un imperativo talmente urgente che si domandò se avesse avuto mai la possibilità di scegliere, fin dall’inizio.