Cose buone, presumibilmente. Dopo tutto, pensò, la logica di Neumann era difficile da confutare. Certo, la sua amoralità era indiscutibile; tuttavia l’americano comprendeva la gravità degli eventi del Medio Oriente. Dopo tutto, un’arma è sempre un’arma. Morte, sotterfugi, innocenza depredata… non era forse questo il significato della guerra? Il Vaticano aveva assegnato a lui il compito di e valutare l’arma segreta di Neumann e il suo possibile utilizzo bellico. E di valutare anche il suo peso per quanto riguardava l’ordine morale… ma forse questo era irrilevante; un lusso che l’Occidente non si poteva permettere. È forse più umana una spada di una pallottola? È forse più divina una pallottola di una bomba? Le notizie dalla Sicilia erano pessime. Forse talmente pessime da costringere a soprassedere alla sottigliezza dei mezzi che si potevano usare.
Tuttavia, era impossibile guardare quegli omuncoli sorridenti e quegli stregoni in camice bianco senza almeno un brivido di disagio.
Tornò da Neumann e gli chiese: — presupponendo che riusciate a tenere questa gente… siete in grado di garantire sul loro utilizzo?
Neumann sembrò risentirsi di quell’insinuazione. — Possono essere revisionati e resi utilizzabili.
Queste parole, pensò Palestrina. Queste parole fredde, piatte, terribili. Revisionati! — Intendete un intervento chirurgico.
— Si tratta di una cosa molto, delicata, chiaramente, ma ora disponiamo di tecniche molto più sofisticate rispetto a quelle che abbiamo impiegato nel caso di Camminatore. Ciò che stiamo cercando di catturare è la facoltà dell’immaginazione. È come una farfalla favolosa di una specie rarissima. Il trucco sta nel trattenerla senza ucciderla o danneggiarla. Fortunatamente, ci sono alcune funzioni neurologiche che possono essere facilmente localizzate. Con il bisturi giusto nel punto giusto si può staccare la volontà dall’immaginazione, cauterizzare l’una senza distruggere l’altra. Possiamo farli lavorare per noi.
— Ma è il ragazzo che vi serve… non gli altri.
Neumann diede un’occhiata all’orologio da polso. — Che cosa vuole che le dica?
— La verità.
Il timbro e l’autorità della voce di Neumann stupirono lo stesso Palestrina.
— Questo non è un confessionale — disse.
— Li farete operare… farete la messa a punto delle vostre procedure chirurgiche — (Anch’io conosco queste parole, pensò.) — Li mutilerete, e poi li userete, oppure li ucciderete, a seconda di come vi garba.
— Vi faccio presente che non apprezzo per niente questo vostro tono — ribatté Neumann. Ma si bloccò subito, e ritrovò la solita compostezza. Il cardinale sentì che era venuto fuori il suo potere; lui era pur sempre un legato pontificio di Roma, l’antico Impero, la vecchia Europa, e tutto ciò che questo implicava. Neumann prese fiato e continuò: — Queste sono questioni controverse, Vostra Eminenza, o per lo meno dovrebbero esserlo. In questo genere d’impresa una certa dose di crudeltà è inevitabile. Questo lo sappiamo tutti.
Crudeltà e sensi di colpa, pensò Palestrina. Il tutto riassunto nel significato recondito delle parole di Neumann: Ecco la tua parte.
In quel momento la porta si aprì; entrò Camminatore. Il cardinale si fece da parte, come per allontanarsi da lui. Camminatore indossava il solito abito grigio completo di cappello dalla tesa piegata, e fissava Neumann con una specie di attesa, come se questi gli avesse promesso qualcosa; un regalo, o la risposta a una domanda.
Neumann, che stava consultando i tre veggenti, si voltò nuovamente verso i suoi ospiti e sorrise. — È quasi fatta ormai… mancano soli pochi minuti.
Gli omuncoli si sorrisero a vicenda.
Karen non si era resa conto di aver perso la sorella, o per lo meno non se ne rendeva conto abbastanza da esitare nel suo cammino. La sua mente era fissa su Michael.
L’aveva visto.
Era successo poco dopo il loro ingresso nell’edificio. Il silenzio di quei lunghi corridoi di pietra era opprimente, e lei non se l’era sentita di romperlo; c’era solo il suono dei suoi passi sulle squallide mattonelle verdi… e quelli di Laura, prima che svanissero. Si muoveva con regolarità e sicurezza, sebbene non fosse mai stata in quel posto, come se avesse posseduto un istinto direzionale, una mappa disegnata nelle sue stesse cellule. Michael era lì da qualche parte. Lo sapeva; la sua presenza saturava l’edificio; l’aria era piena di lui. Era molto vicino, ora.
E poi l’aveva visto. L’aveva visto alla fine di quel corridoio, dove si divideva in due direzioni in una Y asimmetrica. Vedendolo, Karen annaspò e quasi perse l’equilibrio. Le sembrava stranamente distante, come visto dalla parte sbagliata di un telescopio. Ma era lui. Non si poteva confondere la sua figura allampanata, la sua maglietta fuori dai pantaloni, e il suo cappellino da baseball. Michael la guardò, ma sembrò non riconoscerla. Poi, con suo grande dolore, scomparve nuovamente, dileguandosi verso sinistra.
Karen inciampò, poi si rialzò e cominciò a correre.
Si ricordò della storia che aveva raccontato a sua sorella, della vecchia signora che si portava via Michael nella sua carrozzina e di lei che l’inseguiva. Quella corsa avrebbe dovuto essere uguale, pensò; ma per qualche motivo non lo era affatto. Non c’era alcun piacere, alcun sollievo in quella corsa, ma solo una determinazione risoluta e affannata.
Il corridoio curvò nuovamente, e lei lo seguì in una lunga spirale che scendeva verso il basso. Non riusciva a calcolare quanta strada avesse percorso o quanta ancora ne dovesse percorrere. Nella sua mente c’era solo l’immagine di Michael.
Poi il corridoio divenne nuovamente dritto, e lei lo vide ancora… disperatamente, ancora più lontano. — Michael! — chiamò, e la sua stessa voce le sembrò strana, rimbombante, in quel corridoio senza porte e mal illuminato, come uno sparo. — Michael…!
Ma lui stava scappando… scappando via da lei.
Karen annaspò e riprese a correre. Sentiva una specie di panico sotterraneo, un qualcosa che sarebbe stato panico, se solo fosse riuscita a pensare con maggiore chiarezza. Ma la cosa più importante, l’unica cosa importante in quel momento, era non perderlo di vista.
Corse finché ci riuscì. A intervalli regolari Michael si fermava, la guardava, e lei era troppo lontana per distinguere l’espressione del suo viso, ma aveva paura di vedere un sorriso di scherno, un modo per far sì che lei lo seguisse. Era una cosa crudele, e lei non riusciva a capirla. Perché si comportava a quel modo? Che cosa aveva in mente?
Ma non poteva far altro che seguirlo.
Quando non fu più in grado di correre, si accasciò contro una parete. La pietra era fredda contro la sua schiena, ma lei non riusciva a muoversi, poteva solo stringersi nelle spalle per trovare sollievo al dolore dei suoi polmoni affaticati. Infine alzò lo sguardo e vide nuovamente Michael, questa volta più vicino, con un’espressione imperscrutabile. Gli si avvicinò barcollando, e lo vide varcare una porta ad arco. Era l’unica porta che avesse visto in quel labirinto, e vi si avvicinò con circospezione. Ora capiva che c’era qualcosa di sbagliato, che le cose erano andate storte fin dall’inizio, in un modo che non aveva affatto previsto. Ma ecco che Michael riapparve; lo vide chiaramente, solo in una stanzetta, che la guardava impassibile, come aspettandola. Karen si schiarì la gola e fece un passo avanti, cercando di toccarlo.
Ma non era Michael.
Sbatté le palpebre davanti a quell’immagine che non riusciva a mettere a fuoco. Improvvisamente si rese conto che non era Michael, ma una cosa orribile, delle stesse dimensioni e fattezze di Michael, ma di plastica liscia. La riconobbe; era Baby. Era la bambolina che L’Uomo Grigio le aveva regalato tanti anni prima, grottescamente cresciuta, che la fissava con i suoi occhi dipinti di blu.