Karen si morse una mano e fece un passo indietro.
Allora scomparve anche Baby, fu sostituita dall’immagine grottesca, un’impressione sfuggente, di una creatura rugosa, tutta secca, che le rideva in faccia selvaggiamente… e poi lo spazio rimase semplicemente vuoto, la visione dispersa come fumo, e Karen si ritrovò sola nella stanza.
Si voltò per andarsene. Ma era stanca. Era stanca come non lo era mai stata in vita sua, e i suoi piedi non volevano fare quello che lei voleva che facessero. Così, si sedette sul pavimento di pietra fredda, lasciò ricadere lo mani in grembo, e chiuse gli occhi; solo per un minuto.
— È fatta — disse Neumann.
Il cardinale Palestrina assistette al festeggiamento dei presenti.
27
— Karen non si rendeva conto di quanto tempo fosse passato.
Si svegliava, si addormentava, e poi si svegliava ancora, ma i periodi di veglia erano parziali e transitori. Quando infine tornò pienamente in sé, si trovava in una stanza più grande di quella che ricordava; vide delle sedie di legno dall’aria antica, e un’unica porta. E non era sola.
Anche Laura era lì, e sbatteva le palpebre alla luce. E Michael. Sentì un’ondata di gratitudine. Almeno, pensò, siamo insieme.
C’era anche Tim.
Si mise a sedere, dato che prima era distesa sul pavimento freddo, e si avvicinò a una delle sedie. Michael, che stava facendo la stessa cosa, le diede un’occhiata che significava “sto bene”, e questa era una cosa buona. Laura si alzò a fatica.
Tim, che era in piedi con un’espressione calma e infinitamente paziente, disse: — Tra poco vi sentirete meglio.
Dapprima, Karen non capì che cosa volesse dire. Era come un messaggio da un altro pianeta; un linguaggio alieno. Ci sentiremo meglio tra poco? Era impazzito?
— Tu lo sapevi… — disse Laura. — Tu facevi parte di tutto questo.
Tim non negò. Karen lo fissò a bocca aperta. Be’, in effetti poteva benissimo essere capace di un’azione del genere. Era più che possibile.
— Ditemi se avete bisogno di qualcosa — disse Tim. — Se avete fame, o se avete sete. Non dovete soffrire qui, sapete.
Laura gli lanciò uno sguardo sprezzante. Karen si aspettava quasi una scenata, ma Laura si limitò a dire: — Vattene — con voce fredda e distante.
— Tornerò più tardi — disse Tim, e uscì dall’unica porta della stanza. Senza neanche doverci pensare, Karen capì che non sarebbe stata in grado di seguirlo, che la stessa porta per lei era sbarrata, che quella era una prigione, e che non avrebbero permesso a nessuno di loro di andarsene.
Non erano stati picchiati, intimiditi o torturati; li avevano solo isolati. Karen cercò di raccontare lo scherzo che le avevano fatto con la falsa immagine di Michael; ma il ragazzo assunse un’espressione talmente colpevole che lei si fermò. Lui non ne era responsabile e lei non voleva che lui si convincesse di esserlo. Michael parlò con tono di scusa: — Io volevo solo scoprire a che cosa andavamo incontro. Sono venuto qui perché volevo risparmiare a zia Laura questa preoccupazione.
— Se non fossi venuto tu, avrebbero usato me come esca — disse Laura. — Michael, apprezzo molto quello che hai fatto. È stato un gesto coraggioso.
— È stato stupido.
— Non lo potevamo prevedere. In ogni caso, ora dobbiamo pensare a come uscire di qua.
— Non possiamo — disse Michael.
— Come fai a saperlo?
Gli occhi di Michael erano vecchi, cinici. — Dovresti essere in grado di sentirlo. C’è ben di più che quattro pareti in questa stanza. Credo che sia una specie di magia. Noi avremmo potuto uscire facilmente da una prigione normale… così hanno dovuto costruirne una speciale.
Laura aprì la bocca per rispondere, ma la chiuse subito. Ciò che aveva detto Michael era vero, e anche Karen riusciva a percepirlo. Era come un ottundimento, una soppressione. Non si poteva guardare che su, giù, a destra e a sinistra. In un certo senso, la situazione era paradossalmente ironica: per anni e anni Karen aveva desiderato proprio quello, quella completa normalità, la sensazione di essere fermamente ancorata in un luogo e in un tempo. Be’, eccola lì. Ma quella non era un’ancora; era un guinzaglio, era una catena.
Si ritirò in un angolo e pensò a Tim.
Si erano fidati di lui perché faceva parte della famiglia. Ma immaginò che per lui la famiglia non avesse mai significato più di tanto. Forse non ne aveva motivo, in effetti. In fondo, che cos’era la famiglia? Willis, con i suoi capelli a spazzola e i suoi grossi pugni? Jeanne, che lo prendeva in braccio e gli metteva il ghiaccio sui lividi? Quegli episodi (Timmy pieno di bozze bluastre che si faceva medicare in grembo a mamma) erano gli unici momenti di tenerezza che lei riusciva a ricordare fra Timmy e Jeanne, e pensò che forse lì c’era stata una spia, un indizio sul perché della volontaria cattiveria di Tim. Io sono stato cattivo, e per questo mi hanno picchiato. Ora ho la mia ricompensa.
Quindi non gli importerebbe, ragionò Karen, se noi l’odiassimo per questo. Lui lo desidera. Per quell’odio sarebbe stato ricompensato; dall’Uomo Grigio, o dai maghi senza volto che li avevano confinati in quella prigione. Si domandò che ricompensa gli avessero permesso. Ma non aveva importanza. I Regni della Terra. Un fermacarte.
Tim è diventato quello che Willis ha sempre temuto, pensò. Di conseguenza, alla fini fine, la colpa era di Willis… raccoglievano i frutti del suo amore spaventato.
Ma la domanda che seguì fu inevitabile: ho forse fatto di meglio, io?
Tutto quello che io ho mai voluto è stato di proteggere Michael. E anche Willis aveva sempre voluto solo proteggerci… così affermava. Ma non era sufficiente. Non è servito proprio a niente. Lui ha cercato di proteggerci con la paura, e io ho cercato di proteggere Michael con l’ignoranza. Ed eccoci qua. Non può essere peggio di così. Io l’ho ferito, pensò tristemente. L’ho ferito almeno quanto Willis ha ferito Tim. Ed eccoci qua.
Continua così, rise, è una ruota che gira, e la situazione non migliora mai, e forse quella era la cosa più spaventosa; che nonostante tutto quello che aveva desiderato, e quello che aveva tentato, lei non era, alla fin fine, meglio di Willis Fauve.
Il cardinale Palestrina seguì silenziosamente Carl Neumann fino alla porta aperta della cella.
— Ci sentiranno — disse.
— Non possono — disse Neumann, e la sua voce rimbombò nel corridoio. — Qui fuori non ci possono né sentire né vedere. Fa parte dell’incantesimo. Guardate; li potete guardare. Avanti, Vostra Eminenza.
Riluttante, il cardinale fece un passo avanti.
Si sentiva come un voyeur, un guardone. Non c’era nessuna barriera visibile, nessuna vetrata rassicurante; solo il vuoto fra lui e quelle tre persone. E la magia. Ma la magia era talmente intangibile…
Dormivano.
C’erano delle stuoie rosse sul pavimento, e delle coperte per combattere il gelo della terra, dato che si trovavano a uno dei livelli più bassi dell’Istituto. Le due donne di mezza età e il ragazzo dormivano con espressioni preoccupate. Comprensibile, pensò Palestrina. Ne avevano passate tante… Rapiti, e poi tenuti lì contro la loro volontà…
— Avete parlato con loro? — domandò.
Neumann scosse il capo. — Solo per un attimo con il ragazzo, quando è arrivato. Stiamo usando il fratello per abituarli… per adattarli alla cattività.
— Ah, il fratello. E gli parlano?
— Di malavoglia. Ma è il loro unico contatto.
— Il ragazzo — disse Palestrina.
— Sì. È lui che conta.
— Non sembrerebbe un granché.
— Non si vede — disse Neumann.