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Un ragazzo normale, vestito in maniera un po’ strana. Era difficile immaginarselo che entrava e usciva dai mondi. Il cardinale Palestrina, che si riteneva una persona credulona oltre che un modello di fede, aveva scoperto con il viaggio in America che la sua mente comune faceva fatica a credere ai miracoli.

E gli riusciva ancor più difficile immaginare che quel ragazzo potesse essere un’arma efficace contro gli eserciti islamici. Lo disse.

— Ma il suo potenziale è enorme — spiegò Neumann. — Dovete capire… è la purezza che è in lui che conta. Gli altri, in un modo o nell’altro, sono tutti vincolati, legati. Sono come a metà. Compromessi dalle circostanze, o dai geni, o dalla loro paura… o come Camminatore, azzoppati da un intervento chirurgico approssimativo. In confronto, il ragazzo è un’essenza distillata. Semplice e potente. Lui può trasportare se stesso nel cuore dell’Arabia. O portarci i vostri eserciti.

— Ma non di sua volontà…

— Quando avremo, finito con lui… — disse Neumann.

L’operazione. La cauterizzazione della sua anima, pensò Palestrina. Il taglio sottile.

— E quell’uomo che sta collaborando — disse.— Il fratello. Gli avete fatto la stessa cosa? Lo avete tagliato in quel modo?

— No — rispose Neumann con tono calmo. — No, non Tim. Non ce n’è stato bisogno.

— Presto — disse Tim — vi faranno uscire di qua.

Avrebbe dovuto essere una buona notizia. Karen odiava quella stanza, la sua strettezza, il suo gabinetto a vista nell’angolo… e quella sensazione di ottundimento continuo che provava, la magia imprigionante. Ma certamente, pensò, non li avrebbero portati in un posto migliore. A meno che non fosse ugualmente imprigionante, o che li rendesse in qualche modo inoffensivi. Non pensava al futuro. La magia le faceva un effetto sedativo, come un potente tranquillante; forse altrimenti sarebbe stata troppo spaventata anche solo per pensare.

— Non sarà così tanto male — disse Tim.

Indossava abiti puliti, di foggia un po’ antica e con uno strano taglio, a metà fra il tweed e il vittoriano. Probabilmente lì la gente si vestiva così. C’era un che di pazzesco nel suo aspetto… la testa inclinata da un lato, gli occhi studiatamente inespressivi, e quell’atteggiamento paziente. Come se fosse stato lui a sottoporsi a un grande sforzo.

Laura, dalla parte opposta della stanza, si alzò in piedi negli abiti stazzonati che ormai indossava da tre giorni. — Che cosa ti hanno offerto? — disse. — È questo che continuo a domandarmi. Perché hai fatto una cosa del genere?

Tim assunse un’espressione offesa. Offesa ma paziente. — Perché credi che una persona faccia una cosa? — disse. — Forse non avevo altra scelta. Pensaci. Forse i motivi sono logici. Dicevo sul serio, sai, quando vi ho parlato di questo posto. Questa è casa. Almeno per me. E potrebbe diventarlo anche per voi, se solo le deste una possibilità. Avere una casa — disse in tono convinto — è una cosa importante.

— I Regni della Terra — disse Karen, sorprendendo perfino se stessa.

Lui si voltò verso di lei, esterrefatto.

— Un fermacarte — spiegò Karen. — Io me lo ricordo.

— Non so di che cosa tu stia parlando.

— Lo sai benissimo. È questo che ti hanno offerto — Calma, distaccata, lontana da tutto, Karen riuscì a dirlo. Ci pensava un po’. — È questo che ti hanno offerto. Un luogo su cui regnare. Un regno. Tu desideri questo — scosse il capo. — Più grande di papà. Oh, Timmy, sei sempre stato così limitato mentalmente. Tu prendevi tutto così alla lettera, così seriamente.

Incredibilmente, Tim stava diventando rosso in volto. Ritrovò la sua compostezza e disse: — La fai sembrare una favola. Ma che diamine, è una favola. Noi tutti conduciamo delle vite da favola. Questo dovrebbe essere scontato, ormai.

— E tu gli hai creduto? — disse Laura. — Questa gente… la gente che ci ha chiuso qui… tu credi che importi loro che cosa ti accade?

— Gli importa sì. Deve importargli — c’era la sua vanità in gioco. — Vedrete. Voi non li conoscete. Voi…

— So che sono in grado di fare questo — Laura intendeva questa stanza, il loro imprigionamento. — Ma non gli importa niente di te! — Lo disse con aria beffarda, deridendolo. — È solo Michael quello che hanno sempre voluto!

— Tu credi di sapere — sbottò Tim — ma non sai un cazzo di niente!

— E ora ce l’hanno — insistette Laura. — E tu che cosa conti? Più nulla. Sei il modello dell’anno scorso.

— Tutti noi! — gridò Tim. — Loro vogliono tutti noi! Lui non è diverso. Perché dovrebbe essere speciale? Lui è come noi!

Fece un gesto con la mano in direzione di Michael, che era seduto su una sedia, impassibile, e lo guardava. Negli ultimi tre giorni, Michael era sempre rimasto così. Era l’incantesimo, aveva pensato Karen. Faceva lo stesso effetto a tutti loro.

Ma adesso si alzò in piedi. Fissò Tim dalla parte opposta della stanza, e per la prima volta Karen si rese conto che erano più o meno alti uguali. Suo figlio quanto suo fratello. Per un attimo, persino di più.

Tim, esterrefatto per la seconda volta quel giorno, fissò lo sguardo sul nipote.

Michael gli restituì lo sguardo. — Ti sbagli — disse calmo. — Io sono diverso.

E che cos’era quel bagliore sul volto di Tim, ora? si domandò Karen. Forse paura? Era possibile?

L’aria si riempì di un’improvvisa elettricità.

Il cardinale Palestrina era con Neumann nell’ufficio di lui quando l’omuncolo irruppe dalla porta.

La creatura balzò sul tavolo di Neumann e gli sussurrò qualcosa in un orecchio. Con un’espressione fra l’affascinato e il disgustato, l’americano osservò i lineamenti scimmieschi della creatura che si contraevano. Ma sicuramente non si trattava di un sorriso.

Il cardinale stava completando il rapporto che avrebbe presentato alla Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Aveva deciso, seppure con riluttanza, che la sua ricerca era stata positiva, e che avrebbe suggerito un programma di ricerca congiunto fra l’America e l’Europa per quanto riguardava il ragazzo dell’altro mondo, e che le possibilità di utilizzo strategico erano più importanti delle considerazioni di ordine morale.

L’indomani avrebbe presentato il suo rapporto al consolato per farlo trasmettere via Marconi al Vaticano. Tutto il resto sarebbe seguito; Neumann avrebbe avuto il suo denaro, il suo prestigio; e a tempo debito, i suoi eserciti spettrali.

Ma improvvisamente Carl Neumann si alzò in piedi. I suoi pugni erano stretti, le sue labbra serrate. Che cos’è successo? si domandò il cardinale. Mio Dio… e adesso?

— Sta accadendo qualcosa di imprevisto — disse Neumann a denti stretti — Nella cella.

28

Tim si sbaglia, pensò Michael. È proprio me che vogliono.

Ci aveva pensato su in quegli ultimi giorni; aveva faticato e arrancato per ragionare sotto l’influenza ottundente della magia che li teneva prigionieri. Ma alla fine era giunto a delle conclusioni.

Se mi vogliono, aveva pensato, è perché sono diverso.

Laura stessa gliel’aveva confermato, sugli scogli ventosi sopra Turquoise Beach. Io non sono mai riuscita a fare tanto, gli aveva detto.

E si ricordava le sensazioni che aveva provato; quell’elettricità che sfociava dalla terra sotto i suoi piedi, il vortice di tempo, di luoghi e di possibilità, e la maniera in cui lui teneva fra le mani tutto questo.

È questo che vogliono, aveva concluso.

Ma era una cosa nuova, quella forza. Loro l’avevano prevista, ma forse non l’avevano capita.