Cristo, e quanti chilometri aveva percorso per arrivare lì da quando aveva lasciato quella casa a Polger Valley vent’anni prima? Quanti fottutissimi lavori degradanti, e quanti giorni senza mangiare, e notti passate su strade deserte a fare l’autostop da Detroit a Chicago a Des Moines al fottutissimo West Point? Quante bottiglie svuotate, quante vene insultate? Quanti balzi zoppicanti in mondi storpi (ora poteva ammetterlo) come quello? E per che cosa? Per consegnare le sue sorelle e farle uccidere? E per farsi uccidere anche lui come ringraziamento?
No. Oh, no!
Fissò l’Uomo Grigio negli occhi, con i pugni serrati. — Io mi fidavo di te! — disse.
Camminatore non rise.
Casa! Voleva dire Tim. Io sono venuto a casa! E tu me l’hai mostrata! Regni! Imperi! Tu mi devi tutto questo!
Camminatore si fece avanti.
Tim raddrizzò la schiena. Sentiva quello che Camminatore stava per fare. Ne aveva il presentimento; sentiva lo schiudersi dei muri del mondo attorno a lui. Fissò negli occhi l’Uomo Grigio, ma non vide segni di comprensione. Solo un’ombra.
Camminatore lo toccò. Era finita.
— Vai a farti fottere — disse Tim. — Tu non sei mai stato mio padre.
E precipitò nel caos… di lui rimase solo l’eco, che rimbalzò sulle vecchie mura di pietra.
30
— Non possiamo nasconderci — disse Laura. — Non sono neanche sicura che possiamo scappare.
Ma Michael era più ottimista. — Muoversi molto serve. Credo che almeno ci farà guadagnare tempo.
Così, fecero l’autostop e ottennero un passaggio sull’ampia autostrada che correva fra Ville Acadienne e le vie di comunicazione trasversali del Nord Urbano. Rimasero in silenzio, esterrefatti davanti alle foreste e al volo degli uccelli, all’enormità del mondo in cui erano giunti. Il guidatore disse che veniva dai paesi del Chickasaw, e che stava andando a visitare la sua famiglia. Disse che potevano approfittare del suo passaggio fino a lì. Così viaggiarono verso nord per tutta la notte e per parte della giornata dopo, e quando Laura confessò che non avevano denaro, o perlomeno non denaro utilizzabile, il guidatore offrì loro la colazione a una tavola calda. Li avrebbe anche portati più avanti, ma loro rifiutarono. Aveva già fatto abbastanza.
Camminarono per tutto il pomeriggio. Quando cominciò a far buio, bussarono alla porta di una vecchia casa di campagna e chiesero ospitalità per la notte. La donna che venne ad aprire, carina, con una gonna da contadina e un paio di occhiali spessi senza montatura, disse loro che potevano sistemarsi nel fienile e mangiare gli avanzi della cena, e che erano fortunati che non faceva più tanto freddo.
Sulla paglia, sotto una lampadina nuda e davanti a quello che sembrò loro un festino di formaggio e di sidro leggermente alcolico, parlarono del futuro.
— Dobbiamo andare in un posto dove possiamo agire — disse Laura. — Almeno per un po’.
Michael ci pensò su. — Lo faremo — disse. — Ma per ora stiamo bene qui.
— Ci inseguirà — disse Laura.
— Probabile.
Laura si guardò attorno. — Be’, almeno è un posto amichevole — e fissò Michael incuriosita. — Ci sei mai stato prima?
Michael raccontò loro di come l’aveva sognato, delle città e della natura selvaggia, delle macchine volanti, delle autostrade e delle ferrovie. Spiegò che genere di luogo fosse; che l’aveva sognato, poi realizzato nel sogno, e come era riuscito a fuggire di prigione sognandolo.
Voleva dire loro che cosa significava per lui, ma non trovava le parole; poteva solo scrivere le sue caratteristiche e sperare che loro capissero.
Forse lo capivano. Notò il modo in cui lo guardava Laura, l’intensità del suo sguardo, e si domandò se anche lei non avesse sognato quel mondo… magari in lontananza, in maniera impalpabile… una porta che non era mai riuscita ad aprire.
Karen si accomodò e ascoltò Michael che parlava; ascoltò lo scorrere della sua voce, ora che le catene della prigione si erano spezzate. Si chiese ancora se non fosse cresciuto di qualche centimetro. Forse era un gioco di luce, o di prospettiva, ma avrebbe giurato che era più alto. In più c’era qualcosa nella sua voce, una certa fermezza, che le era nuova.
L’ombra, per lo meno, dell’età adulta. Improvvisamente si rese conto che Michael doveva aver compiuto sedici anni nella prigione del Novus Ordo.
Il pensiero la disturbò.
Dopo un po’, Michael si sedette di guardia davanti all’ampia finestra del fienile, osservando la pianura che si estendeva nell’oscurità, mentre Karen e Laura si parlavano sussurrando fra la paglia. Arrivati a quel punto, pensò Karen, era possibile pensare cose che prima erano impensabili… ed era persino possibile dirle. Si ritrovò a raccontare a Laura ciò che stava pensando a proposito di Michael, a proposito del suo fallimento. — Ciò che mi addolora è che non sono stata in grado di salvarlo. Per tutta la sua vita io lo guardavo e mi dicevo: io non farò a lui quello che papà ha fatto a noi… non gli farò vivere una vita così. Ma mi prendevo in giro da sola. — La ruota, pensò. Forse non l’aveva mai picchiato, ma la sua influenza era stata dannosa almeno quanto quella di papà. Noi plagiamo i nostri figli, pensò tristemente. E i nostri figli, plagiati, plagiano i loro figli, e la ruota gira, e macina vite spezzate.
— Ma tu l’hai salvato — disse Laura.
Karen scosse il capo.
— Dico sul serio — insistette Laura. — L’unico motivo per il quale siamo arrivati fin qui è Michael. Il suo talento, la sua potenza. Ma questo non è un colpo di fortuna, o un mistero. Forse chiunque di noi avrebbe potuto essere come lui. Ma noi siamo incatenati… abbiamo tutte le inibizioni che ci ha instaurato Willis. Io credo che l’unico motivo per il quale Michael è diverso è che non si porta in giro il peso di tutto quel dolore. Nessuno l’ha mai spaventato. Forse tu non l’hai mai preparato a questo, ma Cristo, chi avrebbe potuto? Ma non gli hai mai fatto avere paura di se stesso. Ed è per questo che non potevano rinchiuderlo.
“E quindi qualcosa hai fatto — continuò Laura. — Tu l’hai amato, e questo non è poco. Forse è l’unica cosa che conta. Tu l’hai amato, e tu l’hai reso forte.”
Forse, pensò Karen. Ma…
Ma ora si stava addormentando, lasciandosi dietro il fienile, l’aria fresca, e la sagoma della trave con la vecchia carrucola per il fieno che si stagliava davanti al cielo stellato. Si coprì le spalle con la coperta di lana presa a prestito, e lasciò che i suoi pensieri vagassero.
Mi piacerebbe crederci, pensò, a quello che ha detto Laura. Era una bella idea, quella del mondo come un luogo in crescita, o almeno con la possibilità di un miglioramento continuo. Ma era altrettanto probabile che ci fosse una specie di legge naturale che conservava la sofferenza. Il dolore non scompare, ma si trasforma in un altro tipo di dolore.
Se aveva salvato Michael dalla paura, forse l’aveva fatto assumendola tutta lei. Certamente ora aveva paura. E non era solo la paura più ovvia, ma un circolo di paure: quelle di madre, per il fatto che suo figlio fosse in pericolo, e altre che andavano oltre, compresa quella finale e inevitabile, e cioè che Michael l’aveva ormai scavalcata, che lei l’aveva perso, che adesso era praticamente un adulto, una creatura separata, e che i loro ultimi legami di sangue e d’affetto erano stati spezzati da tutta quella violenza. Che non c’era più nulla che lei potesse fare per aiutarlo.
Ma il fatto di non interessarsene più… non sarebbe forse stata la cosa peggiore di tutte?
Ma in quel luogo curioso, nell’America di Michael, avevano trovato un momento di pace, e lei si permise finalmente di dormire, cullata dal rumore del vento e dal fruscio delle piume di una civetta che aveva fatto il nido fra le travi del tetto.