Il reale e l’irreale.
Sprofondò le mani nelle tasche della giacca e si riposò per un minuto, appoggiandosi a un cancello. Fra gli alberi, una cicala iniziò a cantare. Il vento, che era già un vento autunnale, gli scompigliò i capelli.
Si sentiva triste, e non ne capiva il motivo.
La tristezza era collegata a sua madre e collegata al divorzio; una parola che Michael aveva appena introdotto nel suo vocabolario. Senza dubbio, però, era collegata anche all’Uomo Grigio.
Ma la cosa peggiore, pensò, era che non aveva nessuno con cui parlarne. Specialmente non con sua madre, e specialmente non in quei giorni. Certe cose semplicemente non si potevano dire. Tutto andava bene, finché qualcuno non tirava fuori la parola sbagliata (letteralmente una parola, come “divorzio” ad esempio) che veniva seguita da un silenzio glaciale, che ti faceva capire che quella cosa terribile, quell’oscenità, non andava mai più menzionata. Non poteva dire la parola “divorzio” a sua madre; era un tabù, una non-parola.
Alla Tv, pensò, sarebbe stato più facile. Lei gli avrebbe chiesto come si sentiva, lui avrebbe ammesso qualcosa; senso di colpa, sofferenza, non importava che cosa, e magari avrebbe pianto un po’; ci sarebbe stato quello sfogo. E poi i titoli di coda. Tuttavia, lì fuori nel mondo vero, la realtà era diversa.
E non era solo il divorzio. Per Michael non era un grande problema accettare quell’idea; metà dei suoi amici avevano i genitori divorziati. Gli risultava molto più problematico accettare il fatto che suo padre vivesse con qualcun altro; una donna, una sconosciuta. Che aveva lasciato la sua famiglia per questo. Era difficile immaginare la vita di suo padre che procedeva serpeggiando come un fiume, abbandonando nel suo corso lui e sua madre, come fossero stati un punto stagnante, o un’isola troppo cresciuta. Michael non era arrabbiato, o per lo meno non lo era ancora, ma era confuso. Non sapeva come doveva reagire.
Doveva odiarlo perché se n’era andato?
Non gli sembrava possibile.
Doveva odiare sua madre per averlo fatto andar via?
Ma questo non era un pensiero ammissibile.
Forse non importava. Forse la cosa non lo riguardava. Questo era possibile. Aveva, e Dio sapeva quanto, altri problemi.
Ma ricordò quel momento, la settimana precedente, quando era entrato di soppiatto nella camera da letto di sua madre, aveva aperto il primo cassetto della sua scrivania, e aveva copiato il numero di telefono scritto sull’ultima pagina della sua rubrica… il numero della nuova casa di suo padre, l’appartamento sul lago che Michael non aveva mai visto.
Uno strano gesto, per uno al quale la cosa non interessava.
Ma il “divorzio” non era l’unica parola innominabile a casa sua. Ben più profonda e inquietante era la faccenda dell’Uomo Grigio.
Michael lo chiamava l’Uomo Grigio. Aveva trovato quel nome quando aveva sei anni, quando l’Uomo Grigio aveva iniziato ad apparire nei suoi sogni. Grigio per via degli abiti color grigio ardesia che indossava sempre, e grigio anche perché sembrava irradiare una sorta di grigiore, come un’aura, un’aura grigia. Persino la sua pelle era esangue e gessosa. Michael aveva capito molto presto che parlare di quei sogni disturbava sua madre, che qualsiasi altro incubo avrebbe suscitato un abbraccio o il permesso di dormire con la luce accesa, ma che l’Uomo Grigio avrebbe suscitato solo sguardi spaventati e dinieghi altrettanto spaventati. No, non esiste affatto. E smettila di chiedermelo.
Ma era una menzogna. Lui esisteva eccome. Lì fuori nel mondo, nel mondo vero, esisteva un vero Uomo Grigio.
Michael l’aveva visto per la prima volta quando aveva dieci anni. Stavano facendo una gita in macchina, e si erano fermati a un distributore lungo l’autostrada da qualche parte nell’Alberta. Una giornata calda, i finestrini abbassati, nient’altro che spazio vuoto e cielo azzurro attorno alla stazione di servizio; un tipo anziano che fa il benzinaio, e nell’ombra del negozio di souvenir, una figura scura in mezzo al disordine e alla polvere. L’Uomo Grigio. L’Uomo Grigio guardava da sotto il cappello dalla tesa piegata con uno sguardo fisso e attento che Michael aveva ricordato fin troppo bene dai suoi sogni.
Terrorizzato, si era rivolto a sua madre, ma anche lei aveva visto l’Uomo Grigio in quello stesso istante, e anche lei era terrorizzata. L’aveva capito dal modo in cui respirava, aspirando piccole boccate d’aria. Papà stava pagando il benzinaio, e la sua attenzione era concentrata sulla carta di credito che passava sotto lo stampigliatore fra le mani del vecchio, in un mondo a parte. Michael aveva aperto la bocca per parlare, ma sua madre gli aveva appoggiato una mano sul braccio, avvertendolo, come in un messaggio: Tuo padre non può capire. Ed era vero. Lo sapeva, senza neanche doverci pensare. Si trattava di qualcosa che divideva con sua madre, e solo con sua madre. Questa paura. Questo mistero.
L’Uomo Grigio non si era mosso. Era rimasto lì a guardare. Il suo viso era rilassato. Nei suoi occhi si leggeva una pazienza profonda e spaventosa. Li guardava mentre Gavin accendeva la macchina, li guardava mentre si allontanavano sull’autostrada. Aspetterò, promettevano i suoi occhi. Tornerò. E Michael l’aveva fissato a sua volta, seduto sul sedile posteriore, finché l’Uomo Grigio e la stazione di servizio erano scomparsi nel bagliore del sole.
L’orizzonte l’aveva fatto sentire nuovamente al sicuro. L’Uomo Grigio perso in un oceano di spazio. Era stato come risvegliarsi nuovamente.
Sapeva bene che non doveva fare domande in proposito. Ma ciò che lo preoccupava maggiormente era l’aver visto sua madre così spaventata. La sua paura era durata per tutta la giornata; la distanza non l’aveva rassicurata affatto. Quindi, lui era rimasto prudentemente in silenzio. Non voleva peggiorare le cose. — Sei maledettamente silenzioso oggi, figliuolo — gli aveva detto suo padre. — Sei sicuro di sentirti bene?
— Sì.
No.
Era confuso. Come si sentiva realmente?
Spaventato, ovviamente.
Ma c’era anche qualcos’altro. Lo ricordava a tutti quegli anni di distanza, lì in quel campo della compagnia elettrica. Lo sentiva ancora.
Curiosità? Come parola era troppo debole. Più come… “fascino”.
La parola si librò nella fredda aria settembrina come un uccello scuro.
Sbigottito, Michael si voltò.
Per un attimo, la parola sembrò appnniarsi e poi tornare a fuoco.
Avrei dovuto essere al sicuro qui, pensò. Quel prato era nel suo territorio. Non era certo un luogo adatto all’Uomo Grigio, che era un tipo da agguati, da vicoli, da ombra. Eppure era lì, a pochi metri di distanza, con il cappello con la tesa abbassata per ripararsi dal sole; lo stesso uomo che Michael aveva visto nella stazione di servizio dell’Alberta cinque anni prima, non visibilmente invecchiato, ma (sembrava quasi un battuta) forse un po’ più grigio.
Michael fece un passo indietro, e sentì il cancello che premeva contro la sua spina dorsale.
L’Uomo Grigio parlò. — Non devi aver paura. — La sua voce era ruvida, vecchia, ma allo stesso tempo profonda e suadente. Sorrise, e il suo viso angoloso sembrò meno terrificante. I suoi occhi, che risultavano piccoli fra le sopracciglia e gli zigomi sporgenti, rimasero fissi su di lui. Una leggera cicatrice partiva dall’arcata sopraccigliare, passava accanto all’orecchio e scompariva nell’ombra del cappello. — Voglio solo parlarti.
Michael represse la sua voglia disperata di correre. Con gli animali, dicevano, non bisogna mai mostrarsi impauriti. Ma la cosa funzionava anche con gli incubi?
— Stai andando a casa? — domandò l’Uomo Grigio. — A casa da tua madre?