Michael esitò.
— Tua madre non parla molto — disse l’Uomo Grigio — non è vero?
Michael allargò le mani e infilò le dita nella rete del cancello, per mantenersi in equilibrio. Si sentiva debole e confuso. Le sue gambe erano tremule e distanti.
L’Uomo Grigio gli si avvicinò. L’Uomo Grigio era alto e calmo. L’Uomo Grigio gli mise una mano sulla spalla.
— Cammina un po’ con me — disse l’Uomo Grigio.
L’attenzione di Michael era assorbita completamente dalla voce dell’Uomo Grigio, dal flusso e dalla cadenza delle sue parole; non era cosciente della strada che stavano percorrendo, o dei luoghi che passavano. Quando pensò di guardarsi attorno, il prato della compagnia elettrica era già molto lontano, alle loro spalle.
— Sento che sei diverso — disse l’Uomo Grigio. — Tu non sei come le altre persone. — La mano sulla spalla di Michael era ferma, paterna.
Quelle parole riportarono un pizzico di paura. — Per colpa tua — disse Michael con tono di accusa. — Tu…
— Non per colpa mia. Ma è un buon inizio. Come mi chiami di solito?
— L’Uomo Grigio.
Era sciocco. Era una cosa molto infantile da dire ad alta voce nell’aria fredda di settembre. Ma la risata dell’Uomo Grigio era indulgente, divertita.
— Ho un nome. Be’, io ho un sacco di nomi. A volte… — abbassò di un poco il tono di voce. — A volte mi chiamano Camminatore.
— Camminatore — ripeté Michael.
— Camminatore. Stanatore. Trovatore. Custode.
Come una canzone, pensò Michael assentemente.
— Ciò che importa è che io so delle cose su di te. Quelle cose delle quali tua madre non vuole parlare.
Senza volerlo, Michael domandò: — Quali cose?
— Oh, molte cose. Come ti senti solo. Come ti senti diverso. Come ti svegli alle volte… alle volte ti svegli di notte, e stavi sognando, e hai paura, hai paura perché sai che sarebbe molto facile svegliarsi dentro il sogno. Come se i sogni fossero veri, un luogo dove tu puoi andare, un luogo dove forse sei già stato.
E Michael annuì, per nulla stupito, stranamente, dal fatto che l’Uomo Grigio sapesse tutte quelle cose su di lui. Gli sembrava di aver superato la paura e la sorpresa, per entrare in un regno molto più strano. Il regno del sonnambulismo, pensò.
Passarono accanto a case buie e ad alberi esili e silenziosi. Non c’era vento. Non riconosceva il quartiere; per un attimo si domandò fin dove avessero camminato. Sicuramente, non erano vicini a casa. Non c’era nessun quartiere come quello dalle parti di casa sua.
— Noi non andiamo nei luoghi ovvi — disse l’Uomo Grigio, e Michael si sentì incluso in quel “noi”; una confraternita, una cosa riservata a pochi. — Noi non camminiamo dove camminano gli altri. Questo lo sai già. Dentro di te, nel profondo di te stesso… tu questo lo sai.
Non ne aveva mai parlato. E non ci aveva quasi mai neanche pensato.
Eppure, era vero.
— Potresti camminare fuori dal mondo, se tu lo volessi. — L’Uomo Grigio si fermò, si piegò in avanti e guardò Michael negli occhi. — Il mondo ha degli angoli che le altre persone non possono vedere. Recessi, porte e direzioni. Puoi fare un passo laterale e non essere mai più visto. Così.
L’Uomo Grigio si mosse in una direzione che Michael riuscì appena a percepire. Non esattamente via, ma in qualche modo… oltre.
E Michael fece un tentativo per seguirlo.
— Questo — disse l’Uomo Grigio, che ora sorrideva. — Questo. Questo.
Un passo, e un altro passo.
Michael sentì una scarica di elettricità che fluiva dentro di lui; una formicolante sensazione di potere. Gli faceva girare la testa. Angoli, pensò. Angoli, recessi e porte. Una porta nell’aria.
Ora poteva vedere dove si trovava l’Uomo Grigio; una strada acciottolata scoscesa, un orizzonte di cielo di un azzurro plumbeo e alcune vecchie ciminiere. Un leggero odore di pesce e di sale nell’aria. Non riusciva a sentire la voce dell’Uomo Grigio, ma vedeva che lo chiamava a sé, con un sottile ma inconfondibile movimento della mano esangue. Da questa parte. Da questa parte. Solo un passo, pensò Michael. Quel miracolo silenzioso. Era solo a un passo…
— Michael!
La voce veniva da lontano. Ma distolse la sua attenzione.
— Michael!
Più vicina, ora. Con riluttanza, con la sensazione di un’opportunità perduta, o con grande esitazione, voltò le spalle all’Uomo Grigio, alla strada acciottolata, al cielo azzurro e freddo.
Il cielo che aveva davanti adesso era scuro. A ovest, poche stelle brillavano sopra le nubi azzurre. Era in un quartiere che riconosceva; case vecchie e un negozio di alimentari all’angolo, a un paio di chilometri da casa e da scuola.
Sulla strada, c’era la Civic di sua madre. Lo sportello si aprì e apparve lei, come incorniciata, terrorizzata e senza fiato, che lo chiamava. Il suo gesto era come quello dell’Uomo Grigio. Si domandò quanto avesse visto sua madre.
Si voltò per guardare l’Uomo Grigio, ma l’Uomo Grigio era scomparso… niente cielo azzurro, niente strada acciottolata, solo una siepe spelacchiata e il marciapiede crepato.
Strano, pensò. Strano. Era così vicino…
Sua madre lo tirò in macchina. Stava tremando, ma non era arrabbiata. Scuotendo il capo, ancora frastornato, Michael si allacciò la cintura di sicurezza con un gesto automatico mentre sua madre partiva a tutto gas.
— Partiamo — disse a denti stretti. — Partiamo stanotte.
— Partiamo?
— Andiamo in California.
3
Karen si fermò a casa quanto bastava per caricare un paio di valigie, guidò verso nord fino all’aeroporto, e lasciò la macchina nel garage. Dio solo sapeva quando sarebbe tornata a prendersela. In ogni caso, legalmente, la macchina apparteneva a Gavin. Che se ne preoccupasse lui.
Riuscì a comperare due biglietti di sola andata su un volo economico per Los Angeles che partiva un paio d’ore prima dell’alba. Passarono la notte nella sala d’attesa, Michael disteso su una panca. Sembrava stordito e assonnato, sdraiato sullo scomodo vinile. Karen si strinse con le braccia mentre lo guardava. L’aria condizionata era implacabile.
Dopo mezzanotte, si ricordò della lettera nella sua borsa, quella che aveva scritto a Laura. Si alzò in piedi, coprì suo figlio che dormiva con il cappotto, e si diresse verso il gabinetto. Allo specchio, il suo viso era smunto e smagrito, con gli zigomi sporgenti sotto la pelle pallida. Era il viso di una sconosciuta, di un fuggiasco.
Dettò la lettera per telefono ad un’agenzia telegrafica. Forse il telegramma avrebbe attraversato il continente prima di loro.
Quando fu ora di imbarcarsi, dovette svegliare Michael. Aveva gli occhi pesanti, e si era appoggiato istintivamente a lei. Era da parecchio tempo che non lo faceva.
Non voleva pensare a fin dove aveva dovuto guidare per trovarlo, o allo sguardo perso che aveva, in piedi su quel marciapiede crepato, con un piede fuori dal mondo… o alla sagoma che aveva visto più in là; alta, e con un sorriso paziente.
Michael dormì per tutto il lungo viaggio aereo. Si svegliò solo una volta, poco prima dell’alba. Sua madre stava dormendo; quasi tutto l’aereo stava dormendo. Un’hostess dall’aria assonnata passò nel corridoio fra i sedili, gli sorrise automaticamente e proseguì. Il rombo dell’aereo gli riempiva la testa.
Guardò giù dal finestrino, e vide il deserto. Immaginò che fosse il deserto. Era spazzato dalla luce del mattino, senza un’ombra; un mondo selvaggio misterioso e ondulato. Non aveva sentieri, era strano e vuoto. Un altro mondo. Canyon e crepacci. Un arido fondale marino triassico. Pieno di recessi nascosti, pensò Michael, di strani angoli.