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Potresti camminare fuori dal mondo, se tu lo volessi.

Ed era vero.

Angoli, pensò Michael. Angoli, recessi e porte.

4

Più tardi, quando Karen spiegò perché era venuta, sua sorella Laura disse: — Ti posso portare in un posto. In un luogo sicuro. È dove abito io.

Karen si era voltata nuovamente verso la finestra della camera d’albergo. Una fettina di spiaggia, palme arruffate, il mormorio costante del traffico. — Intendi dire… non qui — disse.

— Non qui. No. Ma non lontano.

Andare in California era come entrare in un ricordo.

Ci aveva passato una settimana nel 1969. Era stato un brutto periodo; aveva litigato con sua sorella e si erano lasciate in malo modo. I tempi cambiano, Karen ricordò a se stessa. Ma le strade non erano cambiate, e l’albergo di Santa Monica neanche, o per lo meno non in maniera rilevante. Michael, stordito, sedeva accanto a lei, in un miasma di vinile e di puzza di sigaro, mentre il taxi si faceva strada lungo le autostrade ampie e grigie che si allontanavano dall’aeroporto. Senza volerlo, le vennero in mente strane nozioni apprese nel corso di una vita di assuefazione alle riviste e ai rotocalchi. Fatto: le palme non sono alberi della California del sud. Fatto: senza la continua irrigazione, quegli interminabili viali residenziali con le loro case bianche sarebbero stati aridi come la città di Beirut. Ma più di ogni altra cosa, la stupiva la qualità del sole, il suo angolo d’incidenza; un tipo di luminosità che non si vedeva mai a est. Non era più luminosa, ma più chiara, più opalescente; creava delle ombre dure, che si dissolvevano, in lontananza, in un pallido grigiore.

E poi, naturalmente, c’era l’oceano. Si ricordava dell’oceano, della sua vastità, di come riempiva l’orizzonte. Uscì dal taxi sotto quello strano sole, e si meravigliò per un attimo della distanza che avevano percorso.

Rimasero soli nell’albergo per alcuni giorni. Michael parlava poco. Sembrava capire il motivo della loro partenza, del loro viaggio improvviso, ma Karen immaginò che dovesse essere un po’ disorientato; certamente lei lo era. Un mattino le domandò perché la zia Laura non fosse andata a prenderli, e Karen gli spiegò della casella postale: non sarà ancora andata a ritirare la posta. E così, aspettarono nella loro stanza, ordinando da mangiare al servizio camere e lasciando un messaggio all’accettazione quando andavano a fare una passeggiata sulla spiaggia. Karen pensò che doveva essere diventata molto canadese negli anni che aveva passato a Toronto, poiché la gente che vedeva lungo la spiaggia cosparsa di rifiuti le sembrava piuttosto strana. Un uomo sui pattini a rotelle con una maglietta tagliata all’altezza del petto l’aveva fatta cadere giù dal marciapiede, e mentre lei sedeva, sconcertata, nella sabbia, lui le aveva lanciato qualche imprecazione da sopra la spalla. Ma grazie a Dio, non era riuscita a capire che cosa le avesse detto.

Io sono una straniera in questo luogo, pensò. Non gli appartengo. Non ho nessun futuro, qui.

Era felice che Michael non avesse visto la scena. Si era allontanato per comperare degli hotdog a un chiosco. Mangiarono in silenzio, guardando l’oceano. Michael era sempre stato un ragazzo tranquillo, pensò Karen, ma quel suo nuovo silenzio era preoccupante. Sembrava che si stesse reggendo forte, preparandosi al prossimo inevitabile disastro. Ma anche lei simpatizzava con quell’intuizione che i loro guai non fossero finiti, poiché anche lei aveva la stessa sensazione.

Quando tornarono all’albergo, Laura li stava aspettando nell’atrio.

Karen la vide per prima. Per un attimo, ebbe il privilegio di vedere senza essere vista. Si ritrovò a desiderare di prolungare quel momento, di fare a meno di annunciarsi. Guardando sua sorella, provò una strana sensazione di doppia visione, come se il tempo fosse tornato indietro su se stesso.

Ovviamente, Laura era invecchiata. Ma i due decenni che erano passati dal 1969 erano stati buoni con lei. Era leggermente abbronzata, molto californiana, e portava i capelli corti, alla maschietta. Aveva un buon fisico. Indossava un prendisole bianco, una vistosa fascia sulla testa legata dietro la nuca, e degli allegri braccialetti ai polsi. Mentre si girava, i braccialetti tintinnarono.

I loro sguardi s’incontrarono, e per un attimo fuggente Karen pensò: Anch’io avrei potuto essere così. Mi assomiglia, pensò ancora, ma è più ariosa, più leggera. Karen si era sempre considerata solida, terrena; sua sorella invece sembrava delicata come il vento.

È forse invidia questa? Si domandò. Sono forse gelosa?

— Zia Laura — esclamò Michael, vedendo lo scintillio negli sguardi delle due donne che si incrociavano.

Laura attraversò l’atrio piastrellato con un sorriso radioso, e li abbracciò entrambi.

Fecero colazione alla tavola calda dell’albergo. Laura si divorò un’insalata enorme. — È lo smog — disse. — Non ci sono abituata, e ha degli effetti strani sul mio appetito.

Michael la guardò incuriosito. — Credevo che tu vivessi qui.

Laura e Karen si scambiarono un’occhiata.

— Non qui — disse Laura. — Non esattamente.

Karen lasciò Michael nella camera d’albergo a far le valigie (e a vedere la fine di una partita di baseball dei Dodgers alla Tv) mentre lei e Laura facevano una breve passeggiata sul lungomare.

— Non lo so — disse. Le sembrava tutto così strano e improvviso; sua sorella, quei vecchi ricordi e quelle barriere ancora più vecchie. Provò una sorta di panico; l’urgenza di fare un passo indietro, di riconsiderare tutto. — Ti sono grata per l’invito. Ed è per questo, naturalmente, che siamo venuti qui. Per vederti… per fare una visita. Ma sono preoccupata per Michael.

— Non lo sa? — chiese Laura.

L’abbiamo sempre fatto, non è vero? pensò Karen. Abbiamo sempre parlato per ellissi, e lo facciamo ancora. — Non c’è mai stato motivo perché lui lo sapesse.

Trovarono una panchina che dava su quella spiaggia piena di catrame. Al largo, una petroliera che si avvicinava al porto si stagliava contro il bagliore dell’orizzonte.

— Io non sono come te — continuò Karen. — E ancor meno come Tim. Io non l’ho mai voluto… non ho mai voluto essere in grado di fare quello che facciamo. Non l’ho chiesto io, e non l’ho mai desiderato.

— Nessuno di noi l’ha chiesto. Ma stai forse cercando di dirmi che Michael non ne sa niente?

— Perché? Perché avrei dovuto alimentare la cosa in lui? Se può vivere senza saperlo, perché renderlo cosciente?

— Perché è dentro di lui — disse Laura con tono calmo. — Fa parte di lui. Tu devi sentirlo.

Forse poteva. Forse lo sentiva fin dall’inizio, fin dalla sua nascita, e anche prima della sua nascita; sentiva che era diverso, allo stesso modo in cui era diversa lei, e che anche Michael aveva la stessa spaventosa capacità di camminare da un mondo all’altro. Forse chiusa, come il bocciolo di un fiore, ma ugualmente reale e potente.

Ma era un fatto che non voleva prendere in considerazione. — Ho lavorato sodo, sai, per dargli una vita normale — disse. — Forse tu non sai che cosa significa questo. Immagino che non ti sia mai interessata una cosa del genere. Ma una vita normale… era la miglior cosa che potessi dargli. Lo capisci questo? Io non voglio gettare via tutto.

Laura le appoggiò una mano sul braccio. Il gesto era tranquillizzante, e per un attimo sembrò che la sorella maggiore fosse lei, e non Karen. — Non colpevolizzarti. È lui che ha spinto un po’ troppo la cosa. Non sto parlando di Michael, ma di… come lo chiamate? L’Uomo Grigio.

Quel nome era come un peso.

— Stai con me — disse Laura. — Almeno per un po’. È da troppo tempo che non ci vediamo. E io voglio conoscere mio nipote, e voglio che siate entrambi al sicuro.