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— È veramente molto lontano?

— Possiamo andarci in macchina.

— E com’è?

— Come qui. Molto simile a qui. Ma più carino.

— Va bene — disse Karen tristemente. — Sì.

Pagarono l’albergo, e caricarono i bagagli nell’auto di Laura, una macchina che Michael non riusciva a identificare, probabilmente straniera. Era piccola e quadrata, e sul cappuccio del serbatoio c’era scritto “Durant”. Il portabagagli inghiottì tutte le loro valigie senza alcuno sforzo.

Si misero in viaggio un’ora prima che iniziasse il mutamento.

Era un lungo viaggio. Percorsero l’autostrada di San Diego in direzione sud, attraversando squallidi quartieri di baracche prefabbricate, foreste di palme disseccate, cespugliosi terreni petroliferi e sottopassaggi di cemento crepato pieni di scritte in spagnolo. Laura non parlava molto, e sembrava essere concentrata sulla guida. Stava iniziando a fare buio, c’era traffico da ore di punta, e avevano abbassato le tendine per ripararsi dal sole che tramontava. Michael sentì la tensione che saliva all’interno dell’abitacolo chiuso.

Capì che stava accadendo qualcosa di importante. Stavano andando dalla zia Laura a farle una visita, per stare un po’ da lei; questo era chiaro… ma non c’era solo questo. L’ansietà di sua madre era palese. Sedeva accanto alla zia con la schiena rigida e la testa quasi sempre protesa in avanti. E poteva vedere che anche zia Laura si stava concentrando, tendendo i muscoli.

Lasciarono l’autostrada per svoltare a ovest, verso l’oceano, attraverso una serie di colline coperte di arbusti marroncini. Anche lì, nelle aride depressioni, c’erano delle abitazioni. E cartelli che pubblicizzavano case modello. Chi vorrebbe mai vivere qui? Si domandò Michael. Perché? Che cosa c’era lì, che attirava tanta gente?

E poi furono in vista dell’oceano, un grigiore piatto. Chioschi trasandati e piccoli stabilimenti, aria salata e l’odore rancido dell’olio combustibile.

Il mutamento iniziò mentre il sole tramontava.

Dapprima, Michael pensò che fosse un gioco di luce. Il sole sembrava avvolgere l’automobile attraverso i finestrini sulla destra. Era quasi accecante, allo stesso modo in cui accieca un raggio riflesso su una superficie d’acqua calda e immobile. Ma c’era dell’altro. Sentì un’ondata di qualcosa dentro di sé; qualcosa in grado di disorientarlo, come se lo avessero bendato e fatto girare una dozzina di volte su se stesso. Per una frazione di secondo, Michael ebbe la sensazione di cadere, e che la macchina stesse piombando nel vuoto assoluto. Sbatté le palpebre due volte, e trattenne il fiato. Poi le gomme morsero nuovamente l’asfalto, le sospensioni ballonzolarono un po’ e quindi si stabilizzarono. La luminosità era svanita.

Ma il ricordo rimaneva. Era una sensazione familiare. Quando l’aveva provata prima d’allora? Poco tempo prima, pensò. A Toronto… con l’Uomo Grigio.

Così, pensò Michael; un passo al di fuori e oltre, attraverso le porte segrete del mondo. Guardò all’esterno con improvviso stupore. E adesso dove siamo?

Ma il mondo, quella strada, sembrava uguale. O quasi uguale. Forse era la sua immaginazione, ma gli pareva che un po’ di quell’aria trasandata fosse scomparsa. I negozi erano un po’ più puliti, un po’ più luminosi. L’aria, ne era quasi certo, sembrava più fresca, e il tramonto era più brillante, anche se meno vistoso.

Incrociò lo sguardo di Laura nello specchietto retrovisore.

Lei lo fissò e annuì con aria solenne, come per dire Sì, l’ho fatto io. Sì, è tutto vero.

Si schiarì la gola e disse: — Dove stiamo andando?

— A casa mia — disse Laura con tono tranquillo. — Te l’avevo detto. — Un cartello annunciava la distanza in miglia da un paese di nome Turquoise Beach. — Ci siamo… è qui che abito.

5

Karen non era mai stata molto capace di far fronte all’inaspettato. Di conseguenza, era molto cauta nel valutare il luogo in cui li aveva portati Laura. Turquoise Beach. Un nome che non aveva mai visto in nessuna mappa, anche se immaginava che bastava andare a una stazione di servizio (del luogo) e comperare una mappa con Turquoise Beach segnata. Assieme ad altri posti strani.

Arrivarono con il buio, ma il paese, per quello che lei poté vedere, sembrava un innocuo paesino di mare, con edifici in stile vittoriano e negozi più moderni con le decorazioni a stucco in rilievo. C’era un che di bohémien nelle tende di perline davanti agli ingressi e nei luminosi vetri colorati dei piani superiori. Percorsero un affollato lungomare, con caffè e ristoranti, tutti aperti davanti alla notte tiepida. Sulla vetrina di un piccolo negozio stava scritto CONCHIGLIE DI TUTTI I GENERI. Accanto ce n’era un altro che offriva ANTICHITÁ, LAMPADE A OLIO, VETRI ANTICHI. SVENDITA!

E la gente per la strada era quasi altrettanto caratteristica. Erano tutti vestiti in un modo che Karen considerò piuttosto zingaresco; jeans Levi’s sbiaditi, camicie trapuntate in colori vivaci. Videro anche una donna con delle piume infilate nelle lunghe trecce dei suoi capelli neri.

Superato il centro, trovarono un intrico di viette scure e di casette silenziose; un miscuglio di case vittoriane in mattoni e ariose case in legno, non diverse da quelle del centro. Laura, canticchiando fra sé, svoltò a ovest, verso l’oceano, e parcheggiò su un tratto di ghiaia accanto a una casa di legno a tre piani. — Noi abbiamo gli ultimi due piani — disse, scendendo dalla macchina.

Karen uscì all’aria fresca della notte, e si sentì improvvisamente sola in quel nuovo mondo, ricordando a se stessa che si trattava veramente di un nuovo mondo. Gavin esisteva in quel luogo? Se chiamava il loro vecchio numero di Toronto, avrebbe risposto?

E il Canada esisteva, o erano stati ridisegnati tutti i confini?

Strano. L’idea la faceva rabbrividire. Ascoltò il dolce sciaquio del mare sul bagnasciuga, prosaico e reale. E le stelle, pensò. Le stelle erano sempre le stesse.

Laura le si parò davanti con due valigie in mano. — Dammene pure una — disse lesta Karen. Ma un uomo barbuto la precedette, uscendo dalla porta di legno dell’ingresso e prendendo in mano una valigia. — Tu devi essere Karen — disse.

— Questo è Emmett — disse Laura. — Emmett vive al piano di sotto, ed è molto servizievole. — Emmett sorrise un po’ timidamente.

La sta corteggiando, pensò Karen. C’era sempre qualcuno che la corteggiava. Laura aveva sempre esercitato un certo fascino sugli uomini. Laura ci sapeva fare.

Al contrario, Karen aveva sposato il primo uomo che aveva mostrato un certo interesse per lei… e che l’aveva lasciata per andare a vivere con la sua amante sul lago. — Salve, Emmett — disse.

Michael apparve da dietro la macchina con la sua pesante valigia. Saggiamente, Emmett non si offrì di aiutarlo. — Lascia che ti mostri le scale — disse invece. — Mike… giusto?

Michael lo seguì all’interno della casa.

— È simpatico — disse Karen.

— Allora? Approvi?

— La mia prima impressione è positiva.

Laura sorrise. — Emmett e io siamo tipi abbastanza solitari. Ma qualcosina c’è stato. Ci sono… — fece ondeggiare la mano un paio di volte. — delle possibilità.

— Hai il caffè? — chiese Karen con aria speranzosa.

— Del Costa Rica, e appena macinato.

— Io ne voglio una grande tazza. E poi una doccia. — E poi un letto, pensò fra sé. Qualcosa di morbido con lenzuola pulite.

— Si può fare. Te l’avevo detto che si stava bene qui.

E Karen capì che stavano iniziando nuovamente ad essere sorelle. Dopo tutti quegli anni. In quello strano luogo.