Si sdraiò, solo, in una stanza piuttosto piccola, decorata con buon gusto in vari toni di azzurro. Una parete era completamente occupata da una finestra e si affacciava su di un paesaggio simile a un parco e sul quel Centro Scientifico in equilibrio precario. Il pavimento era un po' ineguale, come molti di quelli che aveva già visto lì, elastico ed evidentemente impermeabile, progettato in modo che fosse facile pulirlo inondando d'acqua la stanza. In un angolo e in altri due punti della stanza il pavimento si sollevava a formare funghi o morbidi macigni che costituivano i sedili: l'oggetto nell'angolo poteva venire modificato, per mezzo della pressione esercitata da un minuscolo pannello, in modo da diventare più ampio, più stretto, più alto e fornito di protuberanze, rigonfiamenti e sporgenze, nel caso che qualcuno desiderasse un sostegno sotto le spalle o sotto le ginocchia.
Tre sbarre dorate e verticali accanto al “letto” controllavano le luci: una leva posta fra le prime due sbarre ne controllava l'intensità, abbassandole o alzandole, e una leva che si poteva alzare e abbassare allo stesso modo tra la seconda e la terza sbarra faceva scorrere l'intero arcobaleno dei colori. Un dispositivo identico era accanto alla porta… o più esattamente, accanto alla parete intatta in cui un segmento si dilatava quando si faceva un dato gesto verso un ghirigoro della vorticosa decorazione stampata sulla superficie. La parete accanto alla quale c'era il letto si piegava verso l'interno, la parte di fronte verso l'esterno, e non c'era neppure un angolo retto.
Apprezzò la premurosa comprensione con cui gli avevano offerto la necessaria intimità perché si potesse riprendere; si sentiva grato, incollerito, comodo, solo, spaventato, incuriosito e indignato, e quel miscuglio di sentimenti doveva raffreddarsi prima che fosse possibile ottenere un precipitato.
In principio fu abbastanza facile fantasticare, in quell'oscurità. Aveva perduto un mondo, e tanti saluti; fra una cosa e l'altra cominciava a sentirsene disgustato, e se avesse supposto che c'era il modo di lasciarlo senza rimetterci la pelle, gli sarebbe piaciuto farlo.
Si chiese che cosa poteva esserne rimasto. Avevamo fatto la guerra? Cosa vive adesso nel Taj Mahal… termiti o particelle alfa? E quel pagliaccio ha vinto le elezioni, poi, Dio ne guardi?
«Mamma, sei morta?»
Il padre di Charlie, che era stato così orgoglioso, quando lui era nato, e aveva piantato una sequoia, proprio in seme. Una sequoia a Westfield, nel New Jersey! Nel mezzo di una specie di bonifica abborracciata, diabolicamente progettata per essere antiquata dieci anni prima che venisse estinta l'ipoteca; l'aveva immaginata alta cento metri, alta sopra le rovine. Ma poi era morto di colpo, imperdonabilmente, lasciando gli affari in disordine e senza aver pagato i premi dell'assicurazione sulla vita, così che la madre di Charlie aveva venduto quel poco di roba che lui era riuscito a mettere insieme, e se n'era andata. E Charlie, quando ebbe diciassette anni, ritornò senza sapere cosa lo spingesse, in una specie di pellegrinaggio; e sebbene non avesse mai conosciuto suo padre, quando trovò la casa ancora là, ridotta alla baracca ignobile che suo padre aveva predetto, e quando trovò l'albero vivo e forte, fece una cosa strana; toccò l'albero e disse: «Va tutto bene, Papà». Perché Mamma non aveva mai avuto preoccupazioni e privazioni, finché lui era vissuto, e non ne avrebbe mai avute se lui avesse continuato a vivere; ma in un certo senso era convinto che suo padre sapesse tutto, ogni guaio, ogni stento, ogni umiliazione che lei subiva, e dentro di sé lei sembrava provare i sentimenti che può provare una donna cui il marito distrugge, poco per volta, l'amore e la sopportazione.
Così, vagamente, Charlie sentiva che doveva andare a dire quelle parole all'albero, come se suo padre vivesse là dentro, come un'amadriade o qualcosa di simile; gli pareva una cosa molto imbarazzante da ricordare, ma ricordava, ricordava.
Perché adesso quell'albero doveva essere colossale. O, se era passato abbastanza tempo, poteva essere morto… Se la rossa del Texas era una vecchia madama dal naso coperto di verruche in qualche città portuale, l'albero doveva essere maledettamente grande, e se Ruth (cosa diavolo era accaduto a Ruth?) era morta e sepolta, l'albero poteva essere la cosa più grande in tutto quel complesso nel North Jersey.
D'accordo; adesso era chiara una delle cose che doveva accettare.
Quanto era lontano? Quanto tempo era passato? (Non che potesse fare molta differenza. Erano passati vent'anni, e il mondo era cambiato e ostile ma forse era ancora troppo eguale, come quello di Rip van Winkle? O, se erano passati cento anni, o mille, che differenza avrebbe fatto, per lui?) Comunque: la prima cosa che doveva scoprirle: Quanto lontano?
E la seconda cosa che doveva capire riguardava direttamente lui, Charlie Johns. A giudicare da quello che era riuscito a scoprire fino a quel momento, non c'era nulla di simile a lui, lì, c'erano solo quei ledom, qualsiasi cosa fossero. E che cos'erano?
Ricordò qualcosa che aveva letto da qualche parte: era Ruth Benedict? Qualcosa a proposito del fatto che nessun concetto del linguaggio umano, come religione o organizzazione sociale, esisteva nella cellula germinale. In altre parole, prendi un bambino, di qualsiasi colore, di qualsiasi paese e trapiantalo altrove, e quel bambino crescerà simile alla gente della sua nuova patria. E poi c'era quell'articolo che aveva letto, e che esponeva la stessa idea, ma l'estendeva a tutta la portata della storia umana; prendi un bambino egizio dei tempi di Cheope, e trapiantalo nella moderna Oslo, e diventerà un norvegese, capace di imparare l'alfabeto Morse e magari di avere qualche pregiudizio contro gli svedesi.
Tutto ciò significava che il più attento studio della storia umana non era valso a dissotterrare un solo esempio di evoluzione umana. Il fatto che l'umanità fosse uscita dalle caverne e avesse finalmente creato tutta una complessa serie di civiltà non c'entrava; mettiamo che le siano occorsi trentamila anni per farlo, si può scommettere che se un gruppo di bambini moderni, abbastanza grandi per essere in grado di procurarsi il cibo, venisse abbandonato in un mondo selvaggio, impiegherebbe all'incirca lo stesso tempo per ricostruire tutto.
A meno che non intervenisse qualche balzo rivoluzionario immenso, come quello che aveva prodotto l'Homo sapiens. Ora, Charlie non sapeva ancora nulla sul conto dei ledom; nulla di cui valesse la pena di parlare; eppure era chiaro a) che erano umani e b) che erano drasticamente diversi da tutti gli umani del suo tempo. La differenza era ben più di una differenza sociale o culturale… molto superiore alla differenza, diciamo, tra un aborigeno australiano e un dirigente americano. I ledom erano fisicamente diversi in molti modi, alcuni sottili, altri spiccatissimi. Così, diciamo che si sono evoluti dall'umanità; e questa era una traccia per una risposta alla Prima Domanda: Quanto tempo? Ebbene, quanto tempo richiede una mutazione?
Non lo sapeva, ma poteva guardare alla finestra (standosene a tre rispettosi passi di distanza) e vedere una quantità di punti colorati che si muovevano nel parco sottostante; erano, o sembravano, adulti, e se le loro generazioni erano di una trentina d'anni, come erano di solito le generazioni, e se non deponevano le uova come i salmoni per poi lasciarle schiudere, allora, ecco, dovevano esistere da parecchio tempo. Per non parlare della loro tecnologia: quanto tempo occorreva per togliere quei difetti da un progetto architettonico come quello del Centro Scientifico?… Questa era una domanda cui era molto difficile rispondere.
Ricordò di aver letto una pubblicità, in una rivista, che elencava dieci cose di uso comunissimo, la carta di alluminio, un antibiotico, il latte in pacchetti, e così via, e rilevava che niente di tutto questo sarebbe stato possibile vent'anni prima. Se vivevi in una tecnologia come quella del ventunesimo secolo, eri destinato e vedere la valvola termoionica soppiantata dal transistor e questo dal diodo a tunnel, mentre nel giro di dieci anni, il satellite artificiale passava dal regno delle fantasie ridicole alla realtà di un mucchio di metallo che trasmetteva segnali dall'altra parte del sole. Forse lui era buffo quanto la vecchia indiana sulla scala mobile, ma non poteva trascurare il fatto che quella scala mobile, per quanto fosse estranea a quella donna, non era certo un prodotto del futuro.