John Maddox Roberts
Viaggio in fondo alle stelle
PROLOGO
Si sentiva debole. Volava ormai da troppo tempo. Il nemico si stava avvicinando e un’altra battaglia come l’ultima avrebbe segnato la sua fine. Da inseguitore era diventato inseguito. Doveva nascondersi.
Compì un ampio sondaggio di tutte le stelle alla sua portata cominciando dalle più vicine. Quindi, ampliò gradatamente lo scandaglio fino a comprendere un quadrante triangolare della Galassia, tenendo il Centro all’apice.
Il sondaggio rivelò subito che la Stella Nucleo non ospitava esseri intelligenti, cosa del resto prevedibile in un raggruppamento stellare così piccolo. In un futuro,forse i pianeti avrebbero cominciato a svilupparsi dando così origine alle prime forme di vita. Ma ora, era indispensabile trovare un nascondiglio.
Sebbene le stelle fossero poche e molto distanziate fra loro, ne trovò una che faceva al caso suo: una stella fissa di media grandezza, il cui sistema planetario probabilmente non avrebbe mai dato vita a esseri intelligenti.
Raccolse materiale dalla stella e creò un nido. Quando la crosta si fu indurita, assunse la forma più adatta e ci si seppellì, riducendo tutte le sue funzioni all’infuori di quelle necessarie a mantenerlo in vita.
E attese.
1
Il segnatempo di Torwald lo svegliò alle 7 antimeridiane. Per qualche minuto giacque sonnacchioso contemplando il soffitto, quindi rotolò giù dal letto. Era il suo giorno di franchigia. Mentre si radeva, lo specchio rifletteva la semplicità spartana dell’ambiente: cuccetta, tavolo, sedia, un minuscolo bagno, il tutto chiuso fra pareti dipinte con un piacevole colore neutro. La stanza era identica a milioni d’altre degli alberghi per passeggeri sparsi nei porti dei mondi abitati. E raro che uno spaziale desideri qualcosa di più lussuoso.
La borsa era già pronta ai piedi del letto, e, mentre se la caricava in spalla, Torwald controllò un’ ultima volta per verificare se avesse dimenticato qualcosa. Infine, uscì nel corridoio e salì sull’ascensore.
Mentre la piattaforma circolare scendeva velocemente i novantacinque piani fino al pianterreno, si sentì salire lo stomaco in gola. Al pianterreno si ritrovò in un atrio con le pareti decorate da vedute di mondi lontani. Un atrio come tutti gli atrii di tutti gli alberghi che ospitano spaziali.
Fuori, al livello più basso della città, il traffico era molto scarso. I grandi trasporti pubblici sarebbero entrati in servizio solo dopo un’ora. Torwald aspirò una profonda boccata d’aria. Era fresca e pulita, segno che Terraporto doveva avere intrapreso una delle sue periodiche campagne di pulizia. Questo non bastava perché la città gli sembrasse più attraente, tuttavia decise di andare a piedi allo spazioporto. Fra poco si sarebbe trovato rinchiuso nell’angusto ambiente di una nave e finché ne aveva l’opportunità voleva godersi una passeggiata. Non amava molto le città, i porti erano tutti uguali, almeno sui mondi più progrediti. e Terraporto non faceva eccezione, era un grande formicaio sovrappopolato che torreggiava nel cielo.
Verso lo spazioporto, gli edifici di mattoni e cemento cedevano il posto ad altri di una speciale plastica di recente creazione che aveva la proprietà di indurirsi istantaneamente appena versata negli stampi. Torwald trovava orribili quelle costruzioni, ma costavano poco e si poteva costruire una casa in poche ore. Tutti gli edifici in prossimità dello spazioporto erano nuovi perché la zona era stata distrutta dai bombardamenti delle forze del Signore della Guerra durante il conflitto di qualche anno prima.
Il resto di Terraporto stava svegliandosi solo allora, ma lo spazioporto e i servizi annessi funzionavano giorno e notte senza interruzione. Torwald stava cercando un posto dove si mangiava bene. Aveva l’abitudine di risparmiare parte dello stipendio per concedersi un buon pasto prima di ripartire. Su quasi tutte le navi, e specialmente su quelle più piccole, il vitto era monotono.
Si fermò davanti a un’insegna: L’autentica cucina ateniese. Decise di provare. Gli piacevano i cibi greci, e in tutti i porti abbondavano i ristoranti greci. Nel locale ristagnava odore di agnello arrosto e pane fresco. Torwald prese posto a un tavolo e ordinò un lauto pasto al citofono inserito nel ripiano del tavolo. Dopo qualche minuto arrivò un servobot, scivolando silenziosamente su ruote ben lubrificate, e depose sul tavolo piatti con sottili fette di agnello su riso pilaf, polpette avvolte in foglie d’uva, e pane croccante. Torwald divorò tutto con gusto. I cibi erano ottimi e genuini... anche se, probabilmente, l’agnello era stato clonizzato in laboratorio, e il grano per il pane proveniva da una stazione spaziale agricola. Infatti a quei tempi sulla Terra era rimasto pochissimo terreno adibito a pascolo o alle coltivazioni.
Torwald concluse il pasto con acquavite e caffè, e con un delizioso dolce di noci e miele. Prima di uscire scrisse il nome del ristorante sul suo taccuino e lo contrassegnò con quattro stelle.
All’ingresso dello spazioporto lo colpì il familiare sentore di prodotti chimici.
Inspirò profondamente. Era l’odore del suo lavoro, un odore rassicurante. Un estraneo lo avrebbe definito puzza: un misto di solventi, gas di scarico, carburante per i lanci, lubrificanti. Pochi minuti dopo, si fermò al cancello il trattore robot che trainava una fila di vagoncini su cui avevano preso posto gli operai dell’ultimo turno diretti a casa. Quando furono scesi, Torwald salì su un vagoncino. Era l’unico passeggero.
Lo spazioporto copriva un’area di quattro chilometri perfettamente spianata, occupata per la maggior parte da rimesse, officine per le riparazioni, magazzini, che Torwald attraversò durante il tragitto verso il terminal. Più avanti, sui campi di lancio si distinguevano le sagome massicce di tre Transgalattiche, navi delle linee a lungo percorso che coprivano il 97% dei traffici di tutto l’intersistema. Più oltre ancora c’erano le “carrette”, più piccole, meno sfarzose. Quelle erano le navi su cui Torwald prestava servizio. Su quelle di lusso l’unico modo per fare carriera era l’adulazione. Ma a Torwald ripugnava fare il leccapiedi, e, a causa del suo carattere orgoglioso, in tutti gli anni di servizio nella Flotta aveva raggiunto al massimo il grado di sottufficiale; ma, ancora adesso, a volte doveva accontentarsi di fare parte della truppa.
Finalmente il trattore si fermò davanti a una gigantesca cupola, l’edificio più grande di tutti gli spazioporti creati dall’uomo. In molte delle nuove colonie se ne stavano costruendo di simili. Torwald entrò nel terminal e si ritrovò in un’immensa caverna rotonda, lungo il cui perimetro si allineavano biglietterie, sale d’attesa, negozi, bar, uffici di carico e scarico, uffici della dogana e dell’immigrazione, e centinaia di altri.
Al centro erano sistemate vetrine con modelli e plastici che illustravano la storia delle esplorazioni spaziali. Torwald girellò fra le vetrine in attesa che si aprisse l’Ufficio Assunzioni Personale di Bordo. Quel museo gli piaceva molto. Ne aveva letto quando, da ragazzo, viveva sul fiordo a Trondheim e sognava il giorno in cui avrebbe volato nello spazio. Ma la sua iniziazione era stata brutale: lo avevano reclutato a sedici anni, nella Flotta Spaziale, quando il Triumvirato aveva assalito la Repubblica. Molti degli oggetti in mostra illustravano le navi del Triumvirato e gli armamenti di quel crudele impero, che per fortuna aveva avuto vita breve.
Quando si accese la luce sopra la porta, Torwald si diresse verso l’ufficio. L’uomo seduto alla scrivania era un esemplare caratteristico degli impiegati portuali o delle compagnie spaziali: uniforme impeccabile, espressione annoiata. Torwald sfilò il bracciale d’oro da spaziale e lo porse al funzionario che lo inserì nel quadro comandi del computer. Sul braccialetto erano registrati i dati relativi alle sue prestazioni nella flotta spaziale e in quella mercantile: i dati ufficiali almeno. Dopo avere letto sullo schermo, il funzionario inarcò le sopracciglia e disse: — Ci sono due Prima Classe della Linea Satsuma in partenza, a la Starvoyager della Compagnia Quattro Pianeti. Con le vostre qualifiche potreste ottenere una sistemazione su quella che preferite.