A me occorre un armamento leggero da bordo, e qualche razzo siluro.
— Allora rivolgetevi a Sturges. Adesso non è qui, ma di solito arriva verso quest’ora. Appena arriva ve lo mando. Intanto accomodatevi.
— Bene. A proposito, vorrei sapere se Ortega si trova sempre al solito posto di fronte allo Spaziale Morto.
— Sì, che io sappia — rispose il barista con fare sospettoso.— Ma quella zona non è frequentata da persone perbene.
Torwald gli diede una lauta mancia e portò bottiglia e bicchieri al tavolo.
— Old Rocket Wash garantito di vent’anni — disse versando il liquore. — Almeno così dice l’etichetta. — Kelly ne assaggiò un sorso e subito gli si riempirono gli occhi di lacrime mentre il liquido scendeva bruciando nello stomaco.
— Vacci piano — l’ammonì Ham. Kelly si azzardò a bere un altro sorso e stavolta l’effetto fu diverso. Il liquore andava giù liscio e aveva un buon sapore.
Erano arrivati a metà bottiglia quando un tizio alto e massiccio, con un abito di sgargiante seta di ragno siriano adorno di gioielli, si fermò al loro tavolo. La camicia aderente aveva le maniche rigonfie, gli ampi calzoni finivano in un paio di stivali di rettile, e l’ampio gilè non nascondeva il laser sotto l’ascella sinistra e il pugnale a energia sotto la destra. Fece un breve inchino toccandosi il petto con la punta delle dita e sorridendo sotto i folti baffi, biondi come la barba ricciuta.
— Mi chiamo Omar Sturges e ho sentito che voi signori desiderate parlare d’affari con me.
— Capitano HaLevy della Space Angel — si presentò la comandante tendendo la mano. — Questo è Hamilton Sylvester, il mio secondo, questo Torwald Raffen, il quartiermastro, e il ragazzo, Kelly, è il nostro mozzo.
Quando gli strinse la mano Torwald si accorse che il palmo di quella di Sturges era duro e calloso, e sentì i cappucci di metallo inseriti sotto la pelle delle nocche. Non era uomo da sottovalutare.
La comandante gli offrì da bere e dopo che si fu seduto disse: — Ho sentito che trattate armi di bordo, signor Sturges.
— Infatti, capitano. Ho raggi singoli adatti a piccoli ricognitori, laser a impulsi di incrociatori andati in demolizione e così via, fino agli armamenti pesanti... L’installazione è compresa nel prezzo. A voi cosa serve?
— Qualche arma da difesa adatta a un ricognitore — rispose Ham. — Avete un perforatore a sei raggi a lunga portata col suo affusto? Potremmo montarlo sulla prua della Angel.
— Sì, ne ho parecchi. Serve altro?
— E un depolarizzatore gemello su torretta?
— Nessun problema.
— E quattro siluri subnucleari, classe M?
— Ne ho qualcuno di classe K. Quelli M me li hanno comprati tutti i Cernunnani che sono in guerra con Ganpati. Mentre Ham e la comandante discutevano sul prezzo con Sturges, Torwald si scusò e fece cenno a Kelly di seguirlo.
— Stammi sempre vicino — disse al ragazzo quando furono in strada. — Andremo in un quartiere malfamato e l’uomo che cerco è tremendamente sospettoso. Kelly si guardò attorno allarmato. Il quartiere sembrava davvero poco raccomandabile. Nonostante avesse sempre vissuto nei rioni poveri della sua città, sulla Terra, e nel quartiere notoriamente malfamato di Terraporto, qui si trovava un po’ come un pesce fuor d’acqua, nuovo com’ era in quest’ambiente dove più o meno tutti erano dei fuorilegge. Lo consolava il pensiero che Torwald portasse la pistola laser appesa alla cintura e quella a proiettili all’interno della giacca.
Man mano che procedevano i paraggi si facevano sempre più miseri e malandati. La gente non andava per i fatti suoi, ma formava capannelli davanti ai portoni e agli angoli delle strade. Non si vedevano più mercanti riccamente vestiti, e tutti quelli che incontravano li scrutavano da capo a piedi come per valutarli. Ma la vista dello spaziale armato dissuadeva quegli sfaccendati — per lo più giovani — dall’attuare i propri loschi progetti.
Finalmente i due arrivarono a un bar sulla cui insegna era dipinto uno spaziale con l’elmetto fracassato, alla deriva su uno sfondo di stelle. Non c’era dubbio, era lo Spaziale Morto. Attraversarono la strada ed entrarono in un magazzino cadente. L’interno era in penombra come al Gun Runner. Da dietro una pila di casse emerse un ometto bruno, con la faccia segnata da cicatrici e gli occhi artificiali lucidi e inespressivi. Guardò i due che erano appena entrati senza paura. Fra le casse si scorgevano delle figure indistinte. Infine l’ometto, dopo avere attentamente scrutato, disse: — È un pezzo che non ci si vede, Raffen. Stai benone. Hai fatto fortuna, eh?
— Non quanto te, Ortega — rispose Torwald girandosi per osservare i mucchi di mercanzie che riempivano il magazzino. — A quanto pare hai cambiato gli occhi dall’ultima volta che ti ho visto.
— Ne vendono di ottimi i contrabbandieri di Quetzalcoatl. Cosa ti serve? Vuoi tornare al tuo vecchio mestiere? Conosco qualche capitano che sarebbe contento di avere un esperto come te.
— Grazie, Ortega, ma stavolta mi occorre solo qualche informazione. Pagherò, naturalmente, come al solito. Ho bisogno di sapere dove si trova la K’Tchak.
— È fidato? — ribatté Ortega indicando Kelly.
— È il mio tirapiedi.
— La K’Tchak è in orbita intorno a Donar fino alla fine del ciclo — rispose Ortega. — Così hai un sacco di tempo. Poi andrà sul loro pianeta. — Nessuno, all’infuori degli interessati, sapeva quale fosse il pianeta dei Viver. Torwald porse a Ortega alcune piastre di metallo.
— Grazie. Avrei voglia di parlare dei vecchi tempi, ma devo tornare a bordo. Stiamo per partire. Sarà per il prossimo viaggio.
— Torwald — lo richiamò Ortega mentre lui e Kelly stavano per uscire — ti avverto che hai molti nemici, qui. Qualcuno si ricorda ancora della Jonah. Non abbassare la guardia finché non ti sarai imbarcato.
— Grazie, Ortega. Torwald si voltò e trasse dalla tasca interna la pistola a proiettili. — La sai usare? — chiese a Kelly.
— No.
— Ricordami di insegnartelo, una volta o l’altra. Per adesso non ti preoccupare. Se dovremo sparare in queste strade sarà a distanza ravvicinata. Basta che miri alla pancia di qualcuno e prema il grilletto. Hai trenta colpi, ma un paio dovrebbero bastare. Infilala nella cintura, sulla schiena, dove puoi estrarla con la destra o con la sinistra.
— Ma io non sono mancino. — E se prima di fare in tempo a sparare qualcuno ti colpisse al braccio destro?
Kelly ubbidì.
Quando uscirono dal magazzino stava facendosi buio. Truro era situata poco a nord dell’equatore, vicino al mare, e il passaggio dal giorno alla notte era rapido. Le strade erano in penombra e l’ombra delle case formava delle larghe chiazze scure. Si diressero verso lo spazioporto, Torwald davanti e Kelly a qualche passo di distanza, tendendo le orecchie per sentire se qualcuno li seguiva. Non aspettarono a lungo.
— Tor — sussurrò Kelly. — Due uomini ci stanno seguendo.
— E ce ne sono tre che ci vengono incontro. Cercherò di parlare con loro, ma servirà a poco. Comunque, tu non sparare finché non sparo io. I tre che camminavano verso di loro furono illuminati dalla luce di un androne. Erano tre teppisti simili a tanti altri, con abiti sgargianti e una smorfia arrogante sulle facce da viziosi. Erano stupidi, imprevedibili e pericolosi.
— Fermatevi — ordinò il più alto dei tre, un giovane con ornamenti d’oro sulla giacca.
— Cosa volete? — chiese Torwald. I due che li seguivano si erano fermati.
— Solo chiedervi della vostra nave rispose l’altro. — Forse avete bisogno di qualche paio di braccia in più. Qui manca il lavoro.