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— Bene — rispose Torwald — ne parlerò al capitano... — ed estrasse fulmineamente la pistola a raggi, notando che il giovinastro stava infilando la mano all’interno della giacca. Il laser colpì il teppista al fianco. Nello stesso tempo Kelly fece un rapido dietrofront, estrasse la pistola e sparò contro il più vicino dei due inseguitori. Tornò a sparare mentre il laser di Torwald perforava il braccio di un altro dei tre. La seconda pallottola di Kelly si conficcò nella spalla dell’altro inseguitore, facendolo ruotare su se stesso. Senza por tempo in mezzo il teppista si allontanò barcollando nel buio. L’ultimo del terzetto se la diede a gambe seguito dal compagno ferito al braccio. Lo scontro era durato in tutto meno di quattro secondi.

Il rumore degli spari e il bagliore del laser attirarono la curiosità degli avventori dei bar vicini, che si accalcarono sulla soglia per guardare. Poco dopo rientrarono. Torwald e Kelly si allontanarono senza fretta, come se niente fosse successo. Alle loro spalle sentirono un aspro diverbio sul possesso della pistola del delinquente ucciso.

— Li conoscevi? — chiese Kelly cercando invano di dominare il tremito della voce.

— Mai visti prima. Erano sicari, e anche da poco prezzo, suppongo. Tipi che ammazzano per un paio di stivali. — Poi, cambiando tono: Ti sei comportato bene, Kelly. Non avrei dovuto lasciarti immischiare, ma non lo dimenticherò. — Kelly era troppo turbato per rispondere.

Tornati allo spazioporto trovarono la nave illuminata dalla luce di lampade installate da ogni lato, mentre una squadra di manovali caricava le armi appena acquistate.

— Vedo che Sturges non perde tempo — commentò Torwald. La comandante, che si trovava in cima al barcarizzo, ebbe modo di guardarli bene in faccia mentre s’imbarcavano, e, notando l’espressione di Kelly, chiese a Torwald: — Cosa gli è successo?

— Lui la mise succintamente al corrente dell’accaduto, poi andò alla mensa dove si trovavano già quasi tutti e Michelle stava distribuendo un ricostituente per il sistema nervoso. Quando Torwald entrò Michelle lo fulminò con un’occhiataccia. Per evitare rimproveri e commenti, Torwald preferì dare subito una spiegazione.

— Colpa mia — ammise — non avrei dovuto portarlo là. Ma non pensavo di avere ancora nemici a Truro.

— Altroché se è stata colpa tua! — esclamò la comandante. — Se il ragazzo si fosse fatto male ti avrei cacciato a calci nel sedere!

— Sto bene! — gridò Kelly, compiaciuto in cuor suo della sollecitudine generale. — Non esagerate. Siamo stati assaliti, ci siamo difesi. Tutto qui.

— Ha ragione — disse Ham. — Sta imparando, come abbiamo fatto noi. Non è successo niente, salvo l’eliminazione di un paio di balordi di cui nessuno sentirà la mancanza, e di un paio d’altri che per un po’ non saranno in circolazione.

— Proprio così — insisté Kelly. — Non prendetevela con Torwald a causa mia.

— E allora perché quella faccia? — gli chiese Nancy.

— Be’... è che non posso fare a meno di pensare. Se non avessi trovato un ingaggio, fra un paio d’anni forse sarei diventato come quei disgraziati. Ce n’erano molti a Terraporto. Prima o poi, se volevo sopravvivere, avrei dovuto aggregarmi a una banda, e probabilmente sarei finito ammazzato in un vicolo. Così ringraziamo la sorte che abbiano vinto i buoni, e piantiamola lì, d’accordo?

— Sì, Kelly — rispose dopo un attimo d’incertezza la comandante. — E adesso va’ nel tuo alloggio e non farti più vedere finché non saremo partiti.

— Torwald, eredi che, i tuoi ex-amici verranno a cercare te o Kelly a bordo?

— No, comandante. Qui nessuno cerca guai nel porto. È territorio neutrale. Se qualcuno tentasse di farlo, lo metterebbero subito a posto.

— Allora sei fortunato — commentò la comandante. — Bene, salperemo fra tre ore, dopo che avrò avuto il tempo di controllare l’armamento appena installato. Torwald, sei riuscito a scoprire le coordinate della nave dei Viver?

— È in orbita di parcheggio intorno a Donar.

— Bene, così non dovremo neanche cambiare rotta. Sfera ci spedirà laggiù in un batter d’occhio. La prossima fermata sarà... come si chiama quella nave, Torwald?

— La K’Tchak del clan Viver.

4

Kelly era di guardia in plancia e, come al solito, stava studiando. In quel periodo studiava quasi sempre o, per lo meno, studiava quando non era stanco morto per, il troppo lavoro. Non avrebbe mai sospettato, prima, che un volo spaziale potesse somigliare alla scuola, ma d’altro canto, non si era mai reso, prima, conto di quanto fosse ignorante. Per quelli come lui, la scuola di stato era poco più che un pretesto per tenerli lontani dalla strada.

Ma adesso Kelly stava recuperando il tempo perduto. Quando aveva un momento libero studiava chimica o navigazione con Finn, ingegneria con Achmed, computisteria e contabilità con Torwald, mentre Bert era idoneo all’insegnamento di un po’ di tutto. Quanto a Nancy gli insegnava; l’uso dei mezzi di comunicazione. Era molto riservata e, per quanti tentativi facesse Kelly, parlava solo della materia di studio.

Al presente, Kelly stava leggendo un libro sui Viver. La biblioteca di bordo non aveva molto materiale sull’argomento, così lui aveva chiesto a Torwald e agli altri e aveva rimediato una monografia microfilmata, scritta nientemeno che da un certo Torwald Raffen, contenente molte più informazioni di qualsiasi documentazione ufficiale su quella poco conosciuta sottospecie.

Kelly poté così apprendere che nell’ultimo secolo, pochi decenni dopo l’invenzione del primo motore interstellare, un gruppo di genetisti aveva deciso che l’umanità poteva essere migliorata. Avevano intenzione di creare l’ Uomo del Futuro. Secondo la loro teoria, l’uomo serviva in massima parte alla sopravvivenza della specie, mentre la nuova umanità avrebbe dovuto essere migliore per venire incontro alle esigenze ancora sconosciute dei nuovi mondi. Convennero che la forma bipede, eretta, con mani dotate di dita, non fosse suscettibile di particolari miglioramenti in quanto già sufficientemente compiuta nelle proprie potenzialità generali. Certo, si poteva aggiungere qualche miglioria qua e là per dotare il Viver di una serie di optional opportunamente studiati per l’autodifesa e stimolati da una facoltà mentale — indotta — la cui maggiore preoccupazione, in forma addirittura ossessiva, era la sopravvivenza. Il risultato fu il Viver, che però non era proprio come l’avevano progettato. La paura che esso incuteva nei normali esseri umani fu sufficiente a far bandire per sempre l’ingegneria genetica applicata all’uomo.

Kelly rimuginò su questo punto, grattando le orecchie di Teddy. Lo pseudo-orso era il suo migliore amico, in quanto era l’unico che non gli desse ordini, a bordo, che lo rimproverasse o che esigesse da lui i lavori più pesanti e sgradevoli.

“Il Viver tipico” lesse “è alto fra il metro e ottanta e i due metri e dieci, è coperto da scaglie articolate chitinose che seguono all’ incirca la disposizione della muscolatura umana, ha le mani come gli uomini normali, ma molto più grandi e con le nocche coperte da una fascia ossea appuntita. I polpastrelli sono dotati di artigli retrattili lunghi più di due centimetri, che permettono l’uso normale delle mani quando sono ritratti. Gomiti e ginocchia sono sporgenti e dotati di grossi aculei. I piedi sono privi di dita, al cui posto c’è uno zoccolo d’osso e chitina. Nella parte posteriore delle gambe, sopra il tallone, c’è una protuberanza che nasconde uno sperone lungo quindici centimetri e tagliente come un rasoio, e che forse è la più micidiale delle armi naturali del Viver. La testa, posata su un collo lungo e flessibile, è la cosa meno umana di tutte. Gli occhi, enormi, occupano la maggior parte dell’interno del cranio, sono coperti da una piastra trasparente e possono muoversi indipendentemente l’uno dall’altro. Intorno al cranio, ci sono delle fessure attraverso le quali gli occhi possono sbirciare. Al posto dei denti, il Viver ha due lamelle ossee chitinose. Questo per quanto riguarda il corpo esterno. Analizzando, poi, l’anatomia interna, si rileva che il cervello è distribuito in tutto il corpo sotto forma di piccoli noduli; che il cuore è decentralizzato allo stesso modo sotto forma di piccole pompe distribuite lungo il sistema circolatorio. Praticamente, per uccidere un Viver bisogna farlo a pezzetti. Tutte le componenti, compreso il tessuto cerebrale, hanno la proprietà di rigenerarsi. I genetisti, infine, hanno previsto anche l’eventualità che il Viver venga tagliato in due per il lungo: in questo caso, lo sfortunato aggressore si troverebbe davanti due Viver completi e piuttosto irritati. Che si sappia, fino a oggi nessuno ha avuto il coraggio di tentare questo esperimento. Psicologicamente, nel Viver, tutto è subordinato all’imperativo della sopravvivenza. Ogni Viver è ossessionato dall’idea della sopravvivenza della propria razza, del proprio clan, della propria famiglia, oltre che della propria. Non esistono lealtà politiche, ma solo biologiche. Sono contrabbandieri perché non rispettano alcuna legge umana. Sarebbero dei soldati invincibili, ma considerano la guerra come una minaccia alla propria sopravvivenza e ignorano volutamente i conflitti che dilaniano i normali esseri umani.”