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I due Viver si misero subito sulla difensiva.

— Assurdo! — gridò K’Stin. — Abbandonare le armi a degli stranieri? Vi faccio dei versacci di disprezzo e di insulto! Sono travolto dall’ilarità al solo pensarci!

Cominciano le difficoltà fu il pensiero generale, e Michelle intervenne con diplomazia per calmare le acque. — Ma, signori, come potete pensare che esseri deboli come noi possano costituire una minaccia? Sono certa che, per quanto siamo in undici, armati o no, non potremmo mai competere con un solo membro del glorioso clan K’Tchak, non parliamo poi di due! Dovete capire che ci preoccupa l’idea che restino in giro armi capaci di danneggiare lo scafo. Il minimo calo di ossigeno potrebbe ucciderci, anche se non sarebbe dannoso per voi.

— A noi non ci sono mai capitati incidenti con le armi — disse K’Stin. — Non avete niente da temere.

— È vero, ma sussiste sempre la possibilità di un guasto meccanico. Inoltre il vostro rito ha lo scopo di sottostare alle fatiche ed esporsi ai pericoli. Non potreste imparare a cavarvela senza armi? Finalmente, con malagrazia e riluttanza, i due consegnarono le armi a energia alla comandante. Ma non per questo si potevano dire disarmati. Frugando nelle sacche per estrarne le pistole a raggi e a proiettili avevano messo insieme anche una collezione di spade, masse, lance pieghevoli, archi, fionde, garrote, coltelli e altri aggeggi capaci di uccidere.

— É tutto? — chiese infine la comandante a K’Stin.

— Certamente. Non ci avrebbero mai permesso di portare un carico eccessivo di armi — rispose K’Stin. — Se ce ne occorreranno di più potenti, le fabbricheremo. Nel corso del rito è d’obbligo portare solo le armi indispensabili.

— Accompagnali nel loro alloggio, Kelly — disse la comandante. — Usciremo dall’orbita fra venti minuti. K’Stin, tu e B’Shant ci raggiungerete alla mensa dopo avere sistemato la vostra roba. Vi spiegheremo in cosa consiste la nostra missione. — Quando li vide uscire preceduti dal mozzo, mormorò con un sospiro: — Ah, se l’avessi saputo...

— Sarà meglio che vada anch’io — disse Torwald.

Nel cubicolo destinato ai Viver, lui e Kelly avevano messo insieme con tubi e reti due brande fuori misura e sistemato qualche scaffale ricavato da vecchie lastre inutilizzate. Nell’insieme, il locale pareva la cella di un frate.

— Credete che possa andar bene? — chiese Torwald.

— Proprio non saprei... — rispose K’Stin. — Non ho mai amato il lusso.

— Se restate a lungo con noi diventerete dei raffinati.

— Il tuo compagno parla poco — osservò Kelly.

— Certo. B’Shant è il mio subordinato da quando gli ho strappato via una gamba nel Rito di Lotta degli Adolescenti. Sono stato anche campione al Gran Premio Libero — continuò accalorandosi il Viver. — In quella occasione ho combattuto con mazze e pugnali. Da ragazzo ho sempre ottenuto il migliore punteggio nello smembramento e nel tiro. Nessuno mi ha superato nell’uso delle armi bianche, salvo K’Tchok, che mi ha superato di poco nel lancio dell’arpione.

Quando i Viver ebbero sistemato le loro cose, Torwald li accompagnò alla mensa.

Entrando nel locale, dove la comandante e Ham sedevano al tavolo su cui troneggiava la sfera, K’Stin chiese per prima cosa: — Quando passeremo all’ipervelocità?

— Il passaggio è già avvenuto.

— Assurdo! Impossibile! Gli effetti del balzo interstellare provocano disturbi anche in creature magnifiche come noi. Perché ci avete mentito?

— Quell’oggetto — rispose la comandante indicando la sfera — è un’entità vivente dotata d’incredibile potenza. Conosce il segreto di una propulsione più veloce della luce e senza gli sgradevoli effetti collaterali della Whoopee. Ci sta portando al centro della Galassia.

I due Viver scattarono impugnando un coltello.

— È impossibile, pazzesco! — urlò B’Shant, facendo sentire per la prima volta la sua voce.

K’Stin gli mollò un manrovescio perché aveva osato parlare. Il colpo avrebbe fracassato le ossa a un uomo normale. — Silenzio! So io cosa è pazzesco, e io solo posso dirlo!

È vero.

I Viver si irrigidirono, poi K’Stin pronunciò una frase in una lingua sconosciuta agli esseri umani normali. Kelly provò una fitta alle orecchie. Evidentemente qualche parola era stata pronunciata in ultrasuoni. La sfera rispose nella stessa lingua. I Viver si rimisero a sedere, mogi mogi.

— Conosce la lingua segreta — disse K’Stin. — Solo noi la conosciamo e quella cosa non è un Viver. Quanti anni ha? — Questa era una domanda tipica dei Viver.

La mia età è tale che la vostra matematica non può esprimerla. Ero già vecchio quando la vostra Galassia era una nube di polvere e di gas.

— Credo che esageri — disse K’Stin ad alta voce. —Tuttavia le sue cognizioni stanno a indicare una notevole longevità. Però debbo rifiutare questa missione. Il rito richiede di affrontare gravi pericoli, non di suicidarsi.

— In primo luogo — replicò Ham — non possiamo tornare indietro. La sfera ha il completo controllo della propulsione di questa nave, e non permette che si segua una rotta che non sia diretta al centro della Galassia. Ma pensaci un momento: se compiremo questa missione, di qualsiasi missione si tratti, e la fortuna ci assiste consentendoci di tornare, pensa a quello che avremo imparato. Pensa ai segreti che scopriremo, K’Stin. Vuoi che noi umili e comuni esseri umani si conquisti il monopolio di queste conoscenze? — Ham aveva imparato presto il modo migliore di parlare ai Viver.

— Conoscenza è forza — mugugnò K’Stin annuendo. — Non si è mai abbastanza forti. E inoltre chissà che al centro della Galassia non si scoprano pericoli che un giorno possano minacciare i Viver. Ma vorrei saperne di più su questa sfera. Potrebbero essercene altre simili, e mi sembra che sia in grado di vivere per moltissimo tempo. Bene, ti seguiremo volentieri. Sfera, qual è la tua missione?

Non è cosa che vi riguarda. Vi basti sapere che il vostro ritorno a casa dipende dal fatto che mi portiate a destinazione.

— Nancy, quanta parte della Galassia è stata esplorata da noi? — chiese Kelly mentre aiutava l’addetta alle comunicazioni a programmare il computer. Era una domanda che assillava tutti, adesso che avevano il tempo di riflettere. L’avventura che stavano vivendo diventava reale via via che passavano le settimane in iperspazio, un periodo molto più lungo di quello che ognuno di loro aveva mai passato al di fuori dello spazio reale.

— Non molto — rispose Nancy. — Ho letto che in una gigantografia della Galassia grande quanto uno stadio sportivo, la parte attraversata dagli esseri umani sarebbe grande quanto una nocciolina.

— E noi stiamo per allontanarci milioni di volte dalla Terra, più di quanto non abbia fatto nessuno. Chissà dove siamo adesso!

— Nell’iperspazio non lo si può sapere con esattezza. Finn non ti ha dato lezioni di navigazione e di geometria iperspaziale?

— Sì, però non è che io ci abbia capito molto. Mi mancano le basi. Le scuole statali che ho frequentato lasciavano molto a desiderare quanto a istruzione — dichiarò con amarezza Kelly.

— Pensa che io ho imparato a leggere solo a tredici anni — gli disse Nancy.

— Mi sembra incredibile.

— I miei genitori erano coltivatori di riso su Li Po, dove il Signore della Guerra trattava i dipendenti come servi della gleba. Quando i Commandos tentarono, senza riuscirci, di catturare il Signore della Guerra, fui fatta sfollare con altri bambini su una nave di profughi. Fummo fortunati perché evitammo l’invasione.