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— Oh, non lo sapevo — mormorò Kelly vergognoso. Si era sempre compassionato perché orfano, e adesso si rendeva conto che la povera Nancy non aveva neanche un pianeta! — Come hai fatto a diventare addetta alle comunicazioni?

— Mi mandarono in un campo profughi su Baldur. Un giorno la Space Angel atterrò sul nostro campo per consegnare una partita di viveri su incarico del governo. Io fui incaricata di riportare i sacchi vuoti nella stiva, e quando gli altri se ne furono andati mi nascosi sotto i sacchi e aspettai. Poi, quando mi parve che la Space Angel si fosse allontanata abbastanza da Baldur senza pericolo che ci tornasse, mi presentai alla comandante. Per mia fortuna ero capitata su una vecchia carretta e non su una di quelle navi di linea ligie al regolamento. Mi misero a lavorare come mozzo, gli stessi lavori che fai tu. Per fortuna Bert è un ex-insegnante e io ho fatto in fretta a imparare le nozioni fondamentali. L’addetto alle comunicazioni che c’era prima mi ha accettato come apprendista, e quando è andato in pensione, un paio di anni fa, ho preso il diploma e ho ottenuto il posto. Credo di essere stata fortunata.

— Nancy, potresti prestarmi il tuo assistente un momento? — chiese Torwald dalla soglia.

— Certamente, Tor. Comunque abbiamo quasi finito.

Dopo poco, Kelly raggiunse il quartiermastro nel magazzino dove Torwald stava prendendo a tutti le misure per una corazza di protezione. Nel fare l’inventario, lui e Kelly avevano trovato fogli di fibra di ceramica e Torwald aveva deciso di servirsene per fare delle corazze di protezione dal momento che prima o poi si sarebbero trovati in ambienti ostili. Lui e K’Stin avevano improvvisato degli stampi in cui versare e modellare la ceramica preriscaldata.

— Pronti per la sfilata di moda — annunciò Torwald. — Questa è la tua, Kelly, provala per vedere se ti va bene. Prima le gambe.

— Le corazze erano fatte in un solo pezzo in modo da adattarsi alla gamba, e venivano applicate e adattate con chiusure a molla. La parte più difficile era la ginocchiera, perché doveva aderire perfettamente in modo da permettere la massima libertà di movimento. Le parti che proteggevano le braccia erano fatte nello stesso modo. Le piastre di copertura della schiena e del torace erano composte di scaglie sovrapposte per maggior mobilità. Quando Kelly ebbe indossato tutti i pezzi, Torwald gli disse di saltare, sdraiarsi, accovacciarsi, e alzarsi finché non fu convinto che tutto fosse perfettamente funzionale. Kelly si ammirò nello specchio della dispensa: sembrava il manifesto per l’arruolamento nella Marina Spaziale.

— Dove hai imparato a fare questa roba? — chiese, contemplando soddisfatto la liscia corazza lucida e nera.

— Durante la guerra sono stato per sei mesi in convalescenza in seguito a una brutta ferita, così mi hanno messo a lavorare nel reparto corazze dell’officina della Flotta. Con casco e il visore abbassato sarai pressoché invulnerabile... Va bene, Kelly, ti sta a pennello. Puoi togliertela.

— Torwald, cosa ne pensi di questa pazzesca avventura?

— Cosa ne penso? Be’, più che altro ti confesso che cerco di non pensarci, perché se lo faccio devo arrivare all’inevitabile conclusione che nessuno sa niente del centro della Galassia. Però è convinzione generale che le tensioni, le radiazioni e anche i processi naturali siano così diversi da quelli della nostra minuscola porzione di Universo, ai confini del Bordo, che l’esplorazione potrebbe risultare impossibile anche se riuscissimo a sviluppare una velocità che ci permettesse di compiere il tragitto in meno di dieci generazioni. Stiamo percorrendo quasi un intero raggio della Galassia e non a bordo di un grande vascello attrezzato per le esplorazioni, ma su una vecchia carretta armata con un paio di cannoncini, guidata da un pallone sapiente, con un equipaggio composto di ragazzi e di rifiuti.

— È proprio così brutto?

— Più o meno. Be’, la Golden Hind di Drake era un piccolo guscio di centoventi tonnellate eppure fece la circumnavigazione della Terra e, per dirne solo una, catturò una nave spagnola che portava un tesoro. Forse, e sottolineo forse, anche noi saremo altrettanto fortunati.

Un colpo al portello annunciò due visitatori: Bert e Finn.

— Le cose ci hanno preso un po’ la mano — disse Bert, — e c’è un certo nervosismo in giro. Credete che quel coso voglia veramente portarci dove dice? E in caso affermativo, riusciremo a sopravvivere? Io, per esempio, non ambisco a diventare membro del Vascello Fantasma della Galassia Interna.

— Prova a pensarla così — disse Finn. — È come se si fosse nella Flotta. Dobbiamo andare dove ci mandano perché così ha deciso qualcuno che ha il potere di comandare. Non siamo liberi di scegliere.

— Dobbiamo fidarci della sfera, Finn — disse Kelly. — Bert dice che i suoi poteri sono quasi pari a quelli di un dio. Forse ci proteggerà.

— Ho cambiato opinione, Kelly. Forse sarà stata simile a un dio, una volta, ma adesso non più. Ha bisogno di una nave per spostarsi, no? Se è ridotta al punto di doversi affidare a un mezzo meccanico per muoversi, forse anche gli altri suoi poteri si sono indeboliti...

— E — continuò Finn — ci stima come noi stimiamo le amebe. Quando deciderà che non le siamo più utili, ci abbandonerà al nostro destino.

— Non parlate così quando i Viver vi possono sentire — li ammonì Torwald.

— Discorsi di questo genere acuiscono il loro istinto di sopravvivenza. Potrebbero cercare di sbatterci fuori dal compartimento stagno e impadronirsi della nave, anche, se non servirebbe a niente perché non sarebbero in grado di tornare indietro.

— Credi che sia stata una bella idea imbarcare quei due? — chiese Finn. — Sono maleducati, permalosi e imprevedibili. E se anche, confronto a noi, sono degli specialisti in materia di sopravvivenza, le loro probabilità di fronte a quello che potremmo trovare nel Centro sono risibili.

— È vero, non sono immortali — ammise Torwald, — ma ci possono essere utili. Aspettate di vederli alla prova. La voce dell’altoparlante interruppe la discussione.

— Kelly, caffè in plancia. — Kelly si precipitò in cambusa, prese una caraffa di caffè dal distributore e andò di corsa in plancia. Entrando vide la comandante nel suo solito sedile, Bert in quello del secondo, accanto a lei e HOK’Stin in piedi in mezzo a loro. Un occhio del Viver ruotò per sbirciare attraverso una fessura sulla nuca per vedere chi era entrato. Contemporaneamente gli speroni alle caviglie scattarono in previsione di una eventuale autodifesa. Era una spiacevole abitudine dei Viver che Kelly aveva già notato altre volte.

— Sono solo io, K’Stin. Ecco il caffè, comandante. Cosa dicono gli strumenti?

— Niente di sensato. Stavo solo spiegando la funzione dei comandi a K’Stin.

— Sì. Dato che probabilmente voi verrete uccisi, io e B’Shant dobbiamo sapere come si guida questa nave, per poter comare a casa.

Kelly si chinò per leggere il pannello davanti alla comandante. Ormai si era fatto una certa esperienza, ma non aveva mai visto funzionare a quel modo schermi e quadranti.

Due schermi erano spenti, e i tre accesi esibivano Un fantastico groviglio di colori.

— In qualunque iperspazio ci si trovi in questo momento, non è comunque quello dove potrebbe portarci la Whoopee — disse la comandante. — Gli strumenti non funzionano a questo modo durante un balzo normale. Sono due ore che Sfera sta risucchiando i dati dai banchi delle memorie del computer. Fra poco saprà tutto degli uomini e della nostra scienza. — Tacque sbuffando, poi si accese un sigaro e disse a Kelly: — Quando torni da Torwald, digli di escogitare un sistema di addestramento alla sopravvivenza. Abbiamo un sacco di tempo e quasi niente da fare. Voi ragazzi non siete mai stati sottoposti a esercitazioni del genere, e noi anziani siamo piuttosto arrugginiti in materia. Così sarete occupati e forse sarete un po’ più preparati ad affrontare quello che ci aspetta.