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— Probabilmente si tratta di cibi sintetizzati automaticamente per mezzo di serbatoi chimici — spiegò Nancy. — Noi cerchiamo da tempo di risolvere questo problema. Disponendo di riserve molecolari, si inserisce nel computer la formula adatta ed ecco che ne esce un’aragosta.

— Se riuscissimo a trovare queste formule e a portarle sulla Terra — disse la comandante — varrebbero di più dei cristalli di diamanti.

— I cibi sono commestibili, all’infuori della gelatina verde che per noi sarebbe un potente lassativo — disse Michelle dopo avere analizzato il contenuto di alcuni piatti.

— Mentre aspettiamo che analizzi gli altri potremmo continuare il nostro giro — disse la comandante. — Torwald, tu e Kelly guardate a sinistra. Finn e Nancy daranno un’occhiata verso destra. Achmed, tu e Ben salite quella scala di fronte a voi e andate a vedere cosa c’è di sopra. Prendete tutto quello che vi sembra più strano e di piccole dimensioni. Sergei, aiutate Michelle a fare le analisi.

La stanza che Torwald e Kelly esplorarono pareva vuota, a parte alcuni cuscini sparsi sul pavimento. Le pareti erano nude e mancavano le onnipresenti sculture.

— Cosa credi che... — La domanda di Torwald venne bruscamente troncata quando una figura apparve senza preavviso davanti a loro. L’alieno era alto poco più di due metri e indossava un abito aderente di colore azzurro argenteo. La pelle era giallo chiaro e gli occhi verdi e trasparenti senza sclerotica, iride e pupilla, Fece un gesto simile a un inchino, e mosse la bocca come se stesse parlando, mentre non ne uscì alcun suono. Kelly e Torwald fecero per estrarre le pistole, ma vi rinunciarono vedendo che l’alieno non compiva alcun gesto minaccioso.

— Non è possibile, Tor! Nave, arredi, forse anche il cibo, passi... ma non un alieno vivo!

— No, non credo che sia vivo — commentò Torwald senza scomporsi. Allungò la mano puntando le dita sul petto dell’alieno e le affondò senza incontrare resistenza. La figura continuò la sua pantomima come se niente fosse.

— É una specie di proiezione olografica. Dobbiamo averla attivata entrando nella stanza. — La figura scomparve e le luci si spensero.

Subito dopo le pareti si illuminarono. Cerchi e linee di luce multicolore sfrecciavano attraverso la stanza, mentre una musica aliena si diffondeva, dolce e affascinante. Torwald e Kelly si misero a sedere sui cuscini per godersi lo spettacolo. A tratti punti e linee si riunivano per formare strane creature che danzavano al suono della musica, per poi tornare a dissolversi.

Kelly era talmente affascinato che perse la nozione del tempo, finché Torwald non gli diede un colpetto sulla schiena e lo trascinò via riluttante. Tornati nella sala dei banchetti trovarono gli altri seduti sui cuscini.

— Stavamo per venirvi a cercare.

— Avete perso lo spettacolo più bello della città, comandante. Io e Kelly abbiamo scoperto una specie di teatro, con tanto di spettacolo olografico.

— Stavamo per cominciare a mangiare. Michelle ha messo su quel tavolo là in fondo i cibi che potrebbero esserci dannosi. Torwald e Kelly presero posto accanto ai loro compagni, e ognuno aspettava che fosse un altro ad assaggiare per primo le vivande.

— Andiamo, è roba buona! — disse la comandante. — Comincia tu, Kelly.

Non senza esitazione, il mozzo si decise a prendere una specie di polpetta e l’assaggiò: sapeva di carne e verdura ed era molto speziata. L’inghiottì e aspettò di vedere l’effetto. Constatato che non succedeva niente, disse: — È gustosa — e gli altri si affrettarono a imitarlo.

— Questa salsa sa di colla — commentò Nancy.

— La macedonia di frutta non è male — annunciò Torwald. Assaggiarono un po’ di tutto e trovarono alcuni piatti deliziosi, altri discreti, altri ancora disgustosi. I sapori erano quasi tutti diversi da quelli dei cibi della Terra e degli altri pianeti abitati, ma la cosa più strana di tutte era che si rendevano conto di partecipare a un banchetto allestito per alieni scomparsi da migliaia di anni.

Quando si sentirono sazi, ripresero le ricerche passando attraverso sale piene di meraviglie, e infine arrivarono in un enorme locale che era in parte biblioteca e in parte sala comando. Al centro troneggiava un insieme di apparecchi dotati di schermi, leve, pannelli e altri aggeggi sconosciuti. Le pareti erano coperte da scaffali di libri, rotoli, e oggetti che forse erano custodie di registrazioni. I libri erano scritti e a volte incisi in svariati caratteri.

— Ma quello cos’è? — chiese a un tratto la comandante indicando un’altra strana creatura che dava l’impressione di camminare verso di loro. Se volevano paragonarla a qualcosa che conoscevano ricordava un granchio, con la corazza del diametro di un metro e fra quella e il carapace un certo numero di arti, alcuni dotati di chele, altri di una specie di uncini come quelli delle mantidi religiose. Alle estremità di alcuni arti, c’erano occhi che osservavano gli intrusi senza paura né minaccia.

— Chissà come riuscivano a produrre queste immagini in modo così realistico — osservò Kelly allungando la mano convinto che attraversasse la figura come era successo a Torwald nel teatro. Invece con suo grande spavento le sue dita toccarono una corazza solida, mentre i suoi compagni indietreggiavano sfoderando le armi. Rimasero indecisi, finché il silenzio carico di tensione non fu rotto da una risata. Era Ham che li osservava dal teleschermo della Space Angel.

— Be’, Ham, cosa c’è di tanto divertente?

— Se vi vedeste, Gertie — rispose lui continuando a ridere. — Che spettacolo!... Undici persone e due Viver che guardano terrorizzati un granchio un po’ cresciuto puntandogli addosso le armi!

— Non mi pare che ci sia tanto da ridere — borbottò la comandante. — Ne parleremo poi. — Ma, nonostante tutto, il piccolo incidente allentò la tensione e tutti rinfoderarono le armi, meno i Viver.

— Non sembra che abbia cattive intenzioni — disse Michelle.

È intelligente. Molto più di voi. Non ha intenzioni cattive. Posatemi su un quadro comandi.

Era la prima volta che Sfera diceva qualcosa da quando erano saliti a bordo della seconda nave. Negli ultimi tempi aveva parlato pochissimo e anche ora non volle dire niente sulla strana creatura.

Quando Achmed e la comandante tornarono sulla Space Angel per essere sostituiti da Ham e Lafayette, il, “granchio” li seguì. Gli altri, intanto, continuarono a sfogliare i libri della biblioteca, senza più sforzarsi di trovare una spiegazione a tutte le stranezze nelle quali si erano imbattuti.

Ham e Lafayette arrivarono qualche ora dopo contenti e soddisfatti. — Grazie per la buona roba che ci avete mandato — disse Lafayette. — Ci siamo abbuffati ben bene.

— Già, voi ve la siete goduta tranquillamente, mentre noi non abbiamo potuto gustare in pieno quelle leccornie perché ci è toccato assaggiarle per primi.

— Ma cosa ne è stato del “granchio”? — s’intromise Finn. — Avete visto come ha seguito la comandante... Be’, pare incredibile ma ha superato tranquillamente il tratto di spazio fra le due navi come se si trovasse nell’acqua o all’aria aperta. O riesce a trattenere il respiro molto a lungo o può vivere anche nel vuoto.

— La mia stima per quella piccola creatura è molto aumentata — disse K’Stin con una punta d’invidia. — Certamente possiede una eccezionale facoltà di adattamento. — E, tanto per non smentirsi, lanciò l’ultima frecciata. — Vale molto più di voi.

— Cosa sta facendo adesso il “granchio” — chiese Torwald, ignorando l’osservazione del Viver.

— Quando l’ho lasciato stava divertendosi col computer. La comandante ha inserito i comandi manuali, per quel che possono servire con Sfera a bordo, ma pare che al “granchio” non interessino le operazioni meccaniche. Ha esaminato tutti i dati forniti dal computer e poi ha punzonato un codice per avere istruzioni sulla nostra lingua. Sono convinto che fra non molto sarà in grado di comprenderci. Col computer farà molto più presto che non imparando da noi. Oltre alle sue particolarissime doti atte alla sopravvivenza nello spazio, ha già dimostrato di essere un ottimo matematico.