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La soffocante umidità li faceva sudare copiosamente nonostante i sofisticati sistemi di circolazione dell’aria delle tute. Dalle gambe il sudore colava negli stivali e dalle braccia nei guanti. Anche la leggera armatura finì col diventare soffocante e gli zaini troppo pesanti. I Viver invece sembravano perfettamente a loro agio e così pure Omero, che zampettava componendo a voce alta versi in diverse lingue. Quando K’Stin ordinò di fermarsi, tutti trassero un sospiro di sollievo.

Si trovavano sulla riva di un lento corso d’acqua largo una ventina di metri. L’acqua era limacciosa, molto poco invitante, e a tratti sulla superficie si formavano catene di increspature a V come se qualche grosso animale nuotasse sotto la superficie. B’Shant spiccò un grosso fiore e lo gettò nell’acqua. Immediatamente la superficie fu sconvolta come se qualcosa fosse scattato ad afferrarlo. L’impressione generale fu che, per un attimo, fosse sbucato un muso coperto di squame. Un secondo, e il fiore scomparve, per ricomparire a brandelli poco dopo come se il rettiloide l’avesse sputato con disgusto.

— Io dichiaro apertamente che non me la sento di attraversare il fiume — confessò Finn.

— Non c’è problema — disse K’Stin. — Preparatevi — e senza aspettare risposta abbaiò un ordine a B’Shant. L’altro Viver raccolse tre grossi fiori e li buttò nell’acqua. Immediatamente comparvero tre teste che li afferrarono, ma i Viver ebbero il tempo di sparare appena comparvero in superficie. I raggi andarono a segno e l’acqua si riempì di sangue blu scuro. Gli animali colpiti si contorsero per il dolore, e in men che non si dica numerosi altri si gettarono a divorarli in un turbinìo d’acqua, lottando fra loro per il possesso della preda.

— Adesso! — gridò K’Stin, e gli altri ubbidirono timorosi, tenendo alte sopra la testa le armi, mentre i Viver restavano a sorvegliare sulla riva coi fucili pronti. Quando tutti gli uomini furono sull’altra sponda passò B’Shant, quindi K’Stin, mentre B’Shant stava di guardia. K’Stin era al centro del fiume quando scomparve improvvisamente sott’acqua per ricomparire poco dopo avvolto nelle spire di un lungo rettile dotato di tentacoli. K’Stin Io afferrò per la testa e gliela tenne sollevata e distante da sé. Non appena ci fu riuscito l’altro Viver gli sparò in un occhio. L’animale lasciò la presa afflosciandosi e K’Stin giunse sano e salvo a riva.

— Omero, non ci hai parlato di quegli animali. Li hai visti quando sei stato qui?

— Forse, ma è probabile che questa sia una zona disabitata, una foresta vergine come dite voi. Comunque per me questi animali non sono pericolosi, quindi non ci ho fatto molto caso. Infine è passato molto tempo e i miei ricordi sono vaghi e sbiaditi.

I Viver ricominciarono ad aprire un varco nel folto, e gli altri li seguirono sudando e sbuffando. Nessuno di loro era in esercizio. Da mesi non avevano fatto una passeggiata e perciò faticavano il doppio.

Dopo un’altra ora di marcia estenuante avvistarono le costruzioni di cui aveva parlato K’Stin. Dapprima ne scorsero solo la sommità che spuntava fra gli alberi, poi poterono vedere anche il resto. Poco oltre si apriva un’ampia radura ed essi rimasero a bocca aperta dallo stupore. Davanti a loro si ergeva un muro di giganteschi blocchi di pietra, alto venti metri e lungo a perdita d’occhio. Oltre il muro spuntavano enormi edifici, torri alte e massicce, a scalinata, strutture piramidali, tutti decorati in modo grottesco.

— Primitivo, eh, Kelly?

— Primitivo? Ma cosa dici, Torwald! Sono espressione di una civiltà molto progredita.

— Basta avere manodopera e materiale per costruire cose come queste, figliolo. Gli autori di queste costruzioni appartenevano all’ Età della Pietra... Ma non è il momento di occuparci di questo. Piuttosto come faremo a scalare il muro?

— Noi due ci arrampicheremo fino in cima — disse K’Stin — e poi vi caleremo le corde. — Detto fatto, i Viver si arrampicarono trovando appiglio per i loro artigli nelle crepe e nelle fessure appena visibili agli occhi degli altri rimasti a terra. Quanto a Omero zampettò fino in cima con naturalezza come se si fosse trovato su un piano orizzontale.

Quando i Viver lanciarono le corde, K’Stin disse: — Non arrampicatevi, vi tireremo su noi.

Ham e Torwald furono i primi ad afferrare le funi che avevano dei nodi a intervalli regolari, e i Viver li issarono senza sforzo apparente. Arrivati sulla sommità, i due si accorsero che il muro era in realtà una piattaforma di solida muratura e gli edifici erano stati eretti sopra di essa.

La pietra di quella ciclopica terrazza, levigata dal passare dei secoli, era di un grigioverde striato di giallo. Gli edifici invece erano un caos di colori sgargianti come i fiori della giungla. Facciate di lastre d’alabastro, ornamenti di pòrfido, marmi di tutte le sfumature. Ogni superficie era scolpita con figure, disegni o schemi astratti. Lungo i secoli, i semi portati dal vento o dagli animali alati si erano annidati nelle fessure dove c’era dei terriccio e vi avevano messo radici. Le radici crescendo avevano allargato le crepe, e i resti imputriditi delle piante morte avevano fornito humus grazie al quale erano cresciute piante sempre più grandi, cosicché ora, su molti edifici, crescevano alberi robusti con grosse radici legnose che dividevano i blocchi giganteschi.

— Sergei — chiese Ham quando furono tutti saliti. — Che pietre sono?

— La piattaforma è di calcare piuttosto tenero — rispose il geologo. — Non è difficile da tagliare e levigare. Quanto alle altre, devo osservarle più da vicino.

— Proviamo quella, allora — disse Ham indicando la piramide più alta, la cui sommità era priva di vegetazione. — Di lassù potremo avere idea di dove è stato portato Lafayette.

Si avviarono verso la costruzione, stanchi ma spronati dalla curiosità. Alla base, volsero lo sguardo verso l’alto per osservare le facce di pietra ghignanti, con quattro occhi: maschere diaboliche e tutte dello stesso tipo pur non essendocene due uguali.

— Cosa saranno, Finn? Dèi? Demoni? Spiriti guardiani? Personaggi importanti?

— E inutile cercare di indovinare non disponendo di dati certi. Nessuno vede una porta?

Girarono intorno alla base scoprendo che le orride maschere si susseguivano a intervalli di sei metri. Sotto a una particolarmente orrenda, coi quattro occhi di pietra verde trasparente, scoprirono un’arcata.

— Questo è un vero arco a chiave di volta; dato il tipo di costruzioni mi sarei aspettata dei modiglioni — osservò Nancy.

— Chiunque fossero i costruttori — disse Sergei — disponevano di materiali di altri mondi. Gli occhi di quella maschera sono fatti di una giadeite trasparente che si forma solo su pianeti con alta percentuale di ammoniaca nell’atmosfera. Ho notato anche altre pietre decorative che non possono essere originarie di qui. Naturalmente gli indigeni possono avere rubato il materiale portato da altre civiltà provenienti dallo spazio.

Passarono in fila indiana sotto l’arco, così basso che i Viver dovettero chinarsi. All’interno, la luce delle loro lampade illuminò un ampio locale quadrato con le pareti coperte da geroglifici intarsiati d’oro.

— Potremmo prenderne qualche campione — suggerì Torwald. — Non molto, una dozzina di chili a testa. È una vergogna lasciare tanto oro in balìa della giungla.

— Vergognati tu, Torwald —disse Sergei — di proporci un simile vandalismo. E poi, chi ci dice che i proprietari non siano nei paraggi?

— Muoviamoci — incitò Ham — penseremo dopo ai souvenir. Prima dobbiamo sapere cosa abbiamo trovato. — Andando avanti scoprirono altre sale più piccole, tutte decorate con iscrizioni in oro. Finalmente raggiunsero una rampa e cominciarono a salire, continuando via via a esplorare la piramide, ricca di sale, terrazze, corridoi, tutti scolpiti. Le terrazze sovrastavano la giungla ed erano nude. Non c’erano però, da nessuna parte, sculture o sarcofaghi che indicassero cosa fosse quella piramide. Mancava anche una sala del trono.