— Be’, poteva andare peggio — osservò filosoficamente Torwald. — Se ne sapessero di più della nostra anatomia e psicologia ci avrebbero infilato degli stecchi sotto le unghie, o ci avrebbero schiacciato...
— Non parlare così — lo pregò Nancy rabbrividendo. — È stato già abbastanza brutto così. Credo che mi cadrà qualche dente — e si tastò la mascella con cautela. — Michelle te ne metterà di nuovi quando torneremo a bordo.
— Cosa ti fa pensare che torneremo? — chiese Kelly.
— Ci stiamo scambiando le parti, Kelly — gli disse Torwald. — Di solito, i giovani come te dovrebbero essere sempre ottimisti e i vecchi spaziali incalliti pessimisti. Devo ammettere però che la nostra situazione pencola dalla parte del pessimismo.
Torwald guardò verso il villaggio dove gli indigeni continuavano il loro incessante lavoro. Per la, quinta volta cominciò a piovere ed essi si ripararono con mantelli di erbe intrecciate. Stava calando la sera e una leggera brezza mitigò la soffocante calura. Poco dopo gli indigeni accesero i fuochi.
— Chissà se vogliono cuocerci — disse Nancy.
— Non lasciarti andare a fantasie morbose — l’ammonì Torwald. — Hanno acceso i fuochi anche ieri sera e probabilmente prepareranno quello che per loro è il rancio.
Nessuno diede loro da mangiare, e ignorarono anche Omero che avevano chiuso in una gabbietta di metallo, lontano dagli altri perché non arrivasse a toccarli con le chele. Quasi tutti gli indigeni si accovacciarono sfiniti intorno ai fuochi, mentre la maggior parte dei Tchork sparì in una cupola eretta a ridosso della base della piattaforma. Le sei guardie incaricate della sorveglianza dei prigionieri si raggrupparono intorno al fuoco scambiandosi latrati e grugniti. Ogni tanto uno andava a dare un’occhiata ai prigionieri, poi giocarono tirandosi dei sassi che afferravano con la coda: chi lasciava cadere il sasso veniva preso a calci dagli altri.
Verso mezzanotte, nonostante la fame, il disagio e l’indolenzimento, i prigionieri cominciarono a sonnecchiare mentre i guardiani restarono svegli e continuarono i loro periodici controlli. Poco prima di cedere al sonno, Torwald scorse due nativi col mantello da pioggia che si aggiravano fra due file di capanne con fare furtivo portando un sacco in spalla. Anche i guardiani li videro e si insospettirono. Uno dei Tchork si alzò e gridò qualcosa facendo segno ai due di avvicinarsi. Quelli esitarono un po’, ma poi obbedirono. Tor trovò strana la cosa, e seguì con attenzione la scena. Quando i due furono arrivati davanti al fuoco lasciarono cadere sacchi e mantelli, e i Tchork, invece di trovarsi davanti due indigeni, fissarono stupefatti due Viver.
Mentre quello che si era alzato stava per gridare, K’Stin lo colpì con un manrovescio che lo fece rotolare in mezzo alla radura. Intanto B’Shant colpì l’altro con un calcio nel grugno, sollevandolo, e subito dopo gli squarciò il ventre con uno sperone. K’Stin ne uccise altri due prima che facessero in tempo ad alzarsi e B’Shant ne afferrò un altro per il collo spezzandoglielo, mentre con l’altra mano vibrò all’ultimo Tchork un colpo di machete che lo tagliò in due dalla spalla al petto. Le sei guardie erano morte in meno di venti secondi.
I Viver si affrettavano ad aprire i sacchi che erano pieni di armi, di cui si addobbarono, e poi liberarono i prigionieri. — Voi, creature inette, dovreste essere più prudenti, visto che è tanto facile catturarvi — disse K’Stin tagliando con le unghie affilate le corde che legavano Finn.
— Sapete — osservò Nancy — è la prima volta che vi trovo belli.
— Noi siamo sempre belli, creatura gialla e molliccia. Sappilo. Dov’è la vostra roba?
— Ho visto che la portavano là — rispose Kelly indicando una capanna poco distante. — Ce l’hanno messa alcuni Tchork che poi non sono più usciti. Probabilmente la sorvegliano. Credo che in quella capanna ci sia anche Lafayette. Ho visto un Tchork che buttava via un pacchetto di razioni vuoto. Probabilmente stanno mangiando i nostri viveri.
— Allora dobbiamo ammazzarne ancora qualcuno — commentò K’Stin con un ghigno che voleva essere una risata. — Bene! — Seguito da B’Shant si avviò verso la capanna. I due Viver camminavano senza fare rumore, tenendosi nell’ombra. Senza curarsi della scala, si arrampicarono sulle palafitte e si precipitarono nell’interno. Per qualche attimo si sentirono rumori soffocati, poi silenzio. I Viver uscirono poco dopo portando due fagotti in spalla. Scesero lasciandosi scivolare lungo le palafitte e gettarono a terra i fagotti. Da uno si sentì provenire un lamento.
— È tornato il figliol prodigo — annunciò Torwald. Tutti si affrettarono a prendere le loro armi e le attrezzature. — Lasciate la corazza. Ne fabbricheremo altre a bordo. Qui è un ingombro che ci impedisce di muoverci in fretta.
Stavano per andarsene quando da un vicolo fra le capanne comparvero alcuni Tchork guidati da quello che sembrava un ufficiale.
— È il cambio della guardia! — gridò Torwald. — Sparate! — Puntò il fucile e fece fuoco, imitato dagli altri. Prima di cadere i Tchork riuscirono a loro volta a sparare qualche sventagliata di raggi verdi, che per fortuna andarono a vuoto. Ma il rumore richiamò l’attenzione dei compagni che erano nella baracca.
— Scappiamo! — gridò Torwald, mentre i Viver lanciavano alcune bombe contro la baracca. Mentre arrancavano ai margini della giungla, giunse fino a loro l’eco delle esplosioni. Pochi minuti dopo furono raggiunti dai Viver che si portarono a grandi balzi all’avanguardia. B’Shant portava in spalla Lafayette.
— Seguiteci! — gridò K’Stin. Dopo una corsa estenuante sbucarono in una radura dove li aspettava la sorpresa più bella della loro vita: l’AC, il veicolo terrestre, mimetizzato alla meglio con foglie e rami. Si affrettarono ad imbarcarsi tutti, compreso Omero che salì a bordo con un incredibile balzo.
— Andiamocene subito! — urlò Torwald. — Stanno per raggiungerci.
Achmed era ai comandi, e Ham manovrava un pesante mitragliatore a raggi montato su un treppiede nella sezione di coda.
— Tutti qui! — ordinò Ham. — Ventre a terra e mirate nella direzione da dove siamo venuti. Dimentichi dei disagi e della stanchezza, tutti si affrettarono a ubbidire. Mentre il veicolo si sollevava sbucò dagli alberi un gruppo di Tchork. Ham mise in funzione la mitragliera e luminosi raggi viola cominciarono a falciare i Tchork. Una ventina di alberi presero fuoco. I Tchork cominciarono a sparare a loro volta, circondati dalle fiamme. Ormai il veicolo si era innalzato e i colpi dei Tchork non lo raggiungevano. Qualcuno tirò un sospiro di sollievo e fece per alzarsi, ma Ham glielo impedì gridando: — Non muovetevi, non è ancora finita. Finché non raggiungeremo la Space Angel,o meglio ancora l’iperspazio, non saremo al sicuro. — A conferma delle sue parole una grossa sagoma scura si stagliò nel cielo a mezzo chilometro da loro: il velivolo dei Tchork.
— Visto?... Lasciamolo avvicinare un po’, se ci riesce. È troppo buio per potere mirare bene. Voi Viver avete dei razzi?
— Naturalmente, anche razzi agli infrarossi. Se non riescono a distinguere bene a questa distanza, i razzi li illumineranno accecandoli, e io e B’Shant potremo vederli.
— Buona idea, ma non è detto che anche loro non riescano a vedere nell’infrarosso. E poi noi abbiamo bisogno della luce normale per vedere il bersaglio.
— Lo scafo di quel velivolo respinge o assorbe i laser e i raggi a energia — ricordò Torwald. — Lo abbiamo scoperto quando ci hanno catturato. Forse la mitragliera avrà più effetto.