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— Bene, bene, calma adesso! — gridò la comandante. — Non distribuisco sigari finché non saremo al sicuro nell’iperspazio. Restate ai vostri posti.

Sedevano esausti alla tavola della mensa trangugiando un caffè dopo l’altro, dopo avere ingurgitato le razioni che Michelle aveva imposto loro a viva forza, costringendoli anche a prendere le medicine che aveva prescritto. Erano in attesa che lei tornasse per sapere in che condizioni fossero Achmed e Lafayette.

— Quella manovra è stata un capolavoro di maestria, comandante — disse Sergei. — Su che tipo di nave avete prestato servizio, durante la guerra?

— Oh, pilotavo un Marauder, e Ham era il mio mitragliere capo.

— Questo spiega tutto.

Aveva ragione. Il piccolo mezzo dotato di armi pesanti e leggere aveva preso parte a quasi tutte le azioni e invasioni planetarie durante il conflitto. Ogni Marauder era indispensabile... e spendibile. E infatti ne erano andati distrutti in quantità enormi e meno del dieci per cento del personale che aveva prestato servizio sui Marauder era sopravvissuto.

Poco dopo entrò Michelle. — Achmed ce la farà. Sta già meglio — disse lei versandosi il caffè. — Lafayette è un po’ malconcio, ma non ha niente di grave.

— Le sue parole furono accolte da un generale sospiro di sollievo. — Bene, questo è tutto — disse la comandante accendendosi un sigaro. — Domande?

Si guardò attorno ma, fatta eccezione per Michelle e i Viver, tutti avevano reclinato la testa sul tavolo e si erano addormentati.

7

Riverniciare la stiva era stato un lavoro noioso e sgradevole. Ma poiché passavano i mesi senza che ci fosse niente da fare, mentre la Space Angel continuava la sua ricerca alla cieca per trovare una soluzione al problema del Guardiano, Ham aveva avuto la brillante idea d’incaricare Kelly e Lafayette di grattare via la vecchia vernice e ridipingere la stiva. Ufficialmente non si trattava di una punizione, ma i due ragazzi sapevano di essere stati la causa di tanti guai nel pianeta-giungla, e che quel lavoro in qualche modo rappresentava una punizione.

Kelly si era lavato e cambiato e si stava godendo un po’ di riposo. Improvvisamente sentì un trapestìo e sulla soglia comparve Omero, con Teddy appollaiato sul guscio. — Qual malinconia allunga le tue ore, Kelly?

— Omero, non potresti piantarla con Shakespeare?

— No, perché trovo che si esprime con un’accuratezza e una grazia che mancano totalmente al vostro attuale modo di parlare.

— Be’, nessuna malinconia allunga le mie ore, ma casomai le abbrevia il sollievo di non dovere grattare la vernice.

— E allora perché sei così pensieroso?

— Perché anch’io, come gli altri, credo... che potremmo trascorrere il resto della vita qui senza riuscire a trovare il modo di distrarre il Guardiano. Cosa potrebbe tenere occupato per un po’ un essere tanto potente?

— Capisco — Omero estrasse una manina da un braccio con sei gomiti, e grattò le orecchie di Teddy. — Dimentico sovente quanto sia importante il tempo per voi umani. Lasciami pensare... Il Guardiano aggredirebbe qualsiasi nave, e forse anche un’intera flotta che si avvicinasse troppo. Ma se si avvicinasse una flotta molto, molto numerosa, in ordine sparso, non credi che potrebbe distrarsi il tempo sufficiente da consentire a Sfera di attuare il suo misterioso proposito?

— Forse, ma non credo proprio che qualcuno possa mandarci una flotta, Omero, specie con la probabilità che venga distrutta.

— Non è detto che non la si possa trovare.

— Eh? Dove vuoi arrivare?

— Ho sentito voci e poesie che parlano di pianeti trasformati in basi per gigantesche flotte, molto, molto tempo fa. Spesso le navi trovate su quelle basi funzionano ancora e sono state utilizzate da razze come i Tchork, incapaci di costruire navi per conto proprio.

— Sai dove potremmo trovare uno di questi pianeti?

— Una delle poesie dà le coordinate... ma bisogna tradurle perché non avrebbero alcun senso per i vostri computer... — Omero cominciò a borbottare fra sé, ma Kelly non lo stava più a sentire. Era già uscito dalla cabina e stava correndo in plancia.

Nessuno riusciva a credere ai propri occhi: uno schermo mostrava mostruosi moli fluttuanti circondati da flotte di navi che si perdevano in lontananza. Su un altro schermo rimase fissa per un po’ l’immagine ravvicinata di una formazione, e poi passò a un’altra. Su tutti gli schermi comparvero ogni minuto almeno dieci di quelle installazioni.

— Il pianeta è tutto così. Solo spazioporti da un polo all’altro. L’equipaggio rimase a guardare ammutolito per un po’, poi Ham disse: — Non credo che tutte le navi che ho visto durante la guerra fossero tante quante sono quelle che fanno parte di una sola di quelle flotte. Stavolta credo proprio che abbiamo fatto centro.

— Credi che riusciremo a metterne in funzione qualcuna? — chiese dubbioso Torwald.

— Meglio sperare di sì — intervenne la comandante. — Almeno tante da riuscire a distrarre il Guardiano. Prima di trovare un’ altra soluzione possibile temo che diventeremmo troppo vecchi. Voglio localizzare la più grande installazione del pianeta perché è il posto più probabile dove trovare il quartier generale. Dopo, reciteremo a soggetto.

— L’abbiamo trovato — annunciò la comandante. — È il più grande che mai potessimo immaginare. Alle sue spalle c’è una montagna e noi atterreremo sulla vetta. E l’unico posto, in un raggio di cento chilometri, che non sia coperto di metallo. Torwald, prepara la squadra di sbarco. Non più di quattro, te compreso. Gli altri intanto provvederanno alle ultime riparazioni.

— Bene. Finn, hai progetti per domani?

— Veramente avevo intenzione di scrivere le mie memorie, ma posso dedicarti un paio d’ore.

— Te ne sono obbligato. Kelly, puoi venire anche tu, e tu, Nancy. Porteremo con noi i Viver, non si sa mai. E tu, Omero?

— L’idea mi attira, tanto più che non sono di grande utilità per i lavori di riparazione. E poi ho voglia di vedere questo pianeta. Un mondo di tal sublime dedizione a una causa deve ispirare molte idee a un poeta.

— Non è questo che cerchiamo — tagliò corto la comandante. — Quello che ci serve è un posto tranquillo dove riparare le avarie e trovare il modo di distrarre il Guardiano. E secondo me, questo pianeta risponde alle nostre esigenze.

— Bene, voi tre — disse Torwald a Finn, Kelly e Nancy — procuratevi tutto l’occorrente e avvertite i Viver. Kelly, prendi anche delle razioni in cambusa e caricale sull’AC.

Kelly e Torwald avevano fabbricato nuove corazze per sostituire quelle che avevano abbandonato fuggendo dal pianeta-giungla. Kelly indossò la sua, aiutò Nancy, e scelsero insieme le attrezzature che dovevano portare. Gli zaini non erano necessari, dal momento che potevano disporre del veicolo.

— Atterraggio fra trenta minuti — annunciò dall’interfono la voce di Ham. — Tutti ai vostri posti. Allacciare le cinture di sicurezza! Kelly si sdraiò sulla sua branda e assicurò le cinghie non senza difficoltà a causa della corazza. Mentre aspettava, fissando il soffitto, si chiedeva se quello sarebbe stato l’ultimo atterraggio su un pianeta prima di fare ritorno sulla Terra. Ora, la Terra gli sembrava stranamente remota: sia nello spazio che nel tempo. La nave era diventata la sua casa, e in fondo non aveva una grande nostalgia del pianeta natale. Ricordò il giorno in cui era cominciata la sua avventura, allo spazioporto. Ormai erano trascorsi quasi due anni da allora, ma non ricordava bene la data... che importanza aveva, dopo tutto? La sirena che annunciava l’atterraggio lo svegliò dalle sue fantasticherie.