— Buona idea. Provo subito.
— Intanto noi andiamo a dare un’occhiata alla nave in arrivo. Passo e chiudo.
— Poi Torwald chiese a Finn: — Quanto dista?
— Venti chilometri, direzione nord. Ci saremo in pochi minuti.
Si diressero a velocità più sostenuta verso il posto dove avevano perduto di vista il punto luminoso, e trovarono un’enorme cavità piena di macchinari. La nave era già atterrata. Era piccola e rotonda, ma non fu questo ad attirare la loro attenzione. La nave posava su un’area di stanziamento di metallo ed era circondata da macchine che si muovevano su ruote, inserendo cavi e tubi nelle fessure dello scafo. Erano macchine veloci, precise, che funzionavano senza produrre il minimo rumore.
— Questo silenzio fa uno strano effetto — mormorò Kelly.
— Devono essere macchine automatiche addette alla manutenzione e alle riparazioni. Probabilmente sono autosufficienti, e hanno la facoltà di rigenerarsi e auto-ripararsi all’infinito. Forse, chi le ha create è morto da secoli.
— Mi pare impossibile che queste macchine possano essere così longeve — osservò con una punta d’invidia K’Stin.
Dopo un po’ di tempo, le macchine si allontanarono dalla nave e sprofondarono in un pozzo. Quando tutte furono scomparse,una lastra di metallo coprì l’apertura del pozzo.
— Manutenzione automatica — disse Torwald, e in quella la voce della comandante ordinò: — Tornate subito a bordo. Ho individuato il centro operativo. Si trova sull’altra faccia del pianeta.
Appena rientrati sulla Space Angel la comandante li mise al corrente: — Questo pianeta è pieno di miniere abbandonate. — Girò un interruttore e sullo schermo principale della plancia comparve l’immagine di una miniera all’aperto.
— Questo è un particolare di una foto presa in orbita. Non ci sono punti di riferimento per valutare esattamente le dimensioni da qui, ma il pozzo dovrebbe avere un’ampiezza di sei chilometri. Non ci sono tracce di attrezzature minerarie e non si tratta di scavi recenti. Osservate le erosioni intorno al bordo. Sergei dice che, stando ai suoi calcoli approssimativi, il pozzo fu scavato almeno ventimila anni fa. E ce ne sono moltissimi altri. Qual è il tuo parere, Omero?
— Credo di avere una spiegazione. Mi è tornato in mente un antico poema.
— Sentiamo — lo sollecitò Ham. — Mi è sempre piaciuta la poesia.
— Temo che qualche sfumatura vi sfuggirebbe. È una lingua a sedici toni, e l’effetto voluto si ottiene soltanto pronunciando le parole a coppie in otto toni diversi ogni coppia.
Ben tossì per soffocare una risata. — Sicuramente deve trattarsi di qualcosa di sublime, ma temo che ce lo dovrai tradurre.
— Ci vorrebbero anni per recitarlo tutto.
— Faccene almeno un riassunto — propose Michelle. — Muoio dalla voglia di sentirlo.
— Molto tempo fa viveva qui una razza grande e potente, padrona di molti sistemi stellari. Per motivi sconosciuti al poeta, convinta di potere vincere costruendo grandi flotte completamente automatizzate, questa razza combatté contro un’altra, molto più numerosa. Pervenne così a un tale grado di maestria che le flotte, oltre che funzionare senza l’aiuto di esseri viventi, si costruivano e riparavano anche da sole.
— Possibile? — disse incredula la comandante.
— Sì. Tuttavia il loro stratagemma fu inutile. Infatti, questa razza adottò una particolare strategia di guerra che consisteva nell’atterrare su pianeti disabitati e nel localizzare i depositi di minerali che poi le loro macchine raccoglievano. Quindi costruivano fabbriche che producevano navi da guerra e le attrezzature necessarie al loro funzionamento e mantenimento: naturalmente, questi macchinari erano adibiti anche alla costruzione di altre navi. Quando tutto era pronto, le macchine venivano trasportate su un altro mondo, lasciandosi dietro un pianeta trasformato in una gigantesca base militare pronta a entrare in funzione. Il poeta dice che le macchine continuarono a scavare e costruire anche quando la guerra terminò, anche quando le due razze scomparvero. Si racconta che il Centro è pieno di queste reliquie guerresche, ma in tutta la mia lunghissima vita questa è la prima volta che posso constatare come quel poema si basasse su fatti reali.
— Dopo migliaia d’anni, funziona ancora! — esclamò la comandante.
Il centro operativo fu una delusione, a causa della sua esiguità. Si erano fatti l’idea che, per controllare un intero pianeta coperto di spazioporti, nonché le flotte in orbita, ci dovessero essere installazioni imponenti. Invece trovarono una cupoletta la cui circonferenza non superava i trenta metri, e Torwald, che era il più alto del gruppo, poteva vedere al di sopra della sommità.
Posatemi sulla cupola.
K’Stin era l’unico con le braccia abbastanza lunghe, e depose Sfera sulla cima della cupola. Si aspettavano che rotolasse giù, invece vi rimase saldamente fissa, come se fosse stata incollata. Passò molto tempo.
Sono pronto. Riportatemi alla nave.
Istintivamente tutti sussultarono. Sfera aveva parlato così poco negli ultimi mesi che si erano disabituati a sentire di punto in bianco qualche sua comunicazione mentale.
— Forse ci siamo, Tor.
— Lo spero, comandante. Comincio ad avere nostalgia delle comodità del mondo civile.
K’Stin tornò con la sfera e la depose sul tavolo della mensa. Tutti erano in ansiosa attesa perché il loro ritorno sulla Terra dipendeva dalla sfera. Senza il suo aiuto avrebbero vagato alla deriva nello spazio come i relitti in cui si erano imbattuti. Se finalmente Sfera aveva trovato il modo di compiere la sua missione, forse potevano tornarsene a casa con le ricchezze che avevano raccolto.
Credo di avere scoperto lo stratagemma più opportuno per distrarre il Guardiano.
Tutti si lasciarono sfuggire un sospirone di sollievo.
Le navi che si trovano su questo pianeta sono tutte perfettamente funzionanti, e così pure quelle in orbita, e anche altre in orbita intorno a pianeti e satelliti di questo sistema.
— Quante sono? — chiese Torwald.
Sette milioni ottocentoquarantaduemila. La cifra comprende navi da guerra, da carico, portaerei e navi appoggio.
— Sei capace di farle partire tutte? — volle sapere la comandante.
Ho già dato inizio alla sequenza di lancio. Gli strumenti del centro operativo sono stati rimessi a zero. Ho cancellato gli ordini immagazzinati e ho riprogrammato il centro con il mio progetto. Quando le flotte si troveranno nello spazio convertirò i motori al sistema di propulsione che fa funzionare attualmente questa nave. E, infine, raggiungeremo la Stella Nucleo.
Kelly, Torwald, Nancy e Michelle stavano bevendo il caffè nella cupola osservatorio. Omero, appollaiato sull’affusto di un cannone, sorseggiava una miscela di acido prussico e trementina, che lo rendeva piuttosto euforico.
— Questo è davvero divertente! Come un antico poema epico. In tutta la mia lunga vita nessuna razza ha mai tentato un’azione tanto eroica come tuffarsi nella Stella Nucleo con quasi otto milioni di navi, per misurarsi col Guardiano.
Gli altri non sembravano altrettanto entusiasti. Fu Michelle a esprimere l’opinione comune: — A quanto ne so, mai nessuno si è tuffato in una qualsiasi stella, anche perché non sarebbe sopravvissuto per raccontarlo.
— Speriamo che Sfera possa sopperire a questo inconveniente — disse Omero.
— Già, speriamo — ribatté Torwald. — Ma per mio conto ho paura che quel pallone non sia in grado d’impedirci d’andare arrosto.