Kelly era un po’ deluso. Aveva creduto che la vita di uno spaziale fosse un seguito di sbarchi sui più svariati pianeti, e non aveva pensato che dovesse trascorrere tanto tempo fra la partenza e l’arrivo. — Mi sembra un’eternità! — disse.
— Non preoccuparti, non ti annoierai. Ti terremo occupato.
Arrivò finalmente il giorno in cui raggiunsero i confini del sistema solare e poterono procedere mediante la propulsione interstellare. Kelly, come del resto anche gli altri, si sentiva un po’ debole a causa del digiuno e dei purganti, ma i compagni gli avevano assicurato che quello era il sistema migliore per rendere meno sgradevole l’esperienza. Quando l’altoparlante trasmise il segnale, Kelly si ritirò nella sua cabina, si legò al gabinetto e legò un sacchetto di plastica alla bocca. Infatti uno dei più comuni effetti della Propulsione Whoopee era che le funzioni corporali si comportavano in modo convulso e intestini, stomaco e vescica tendevano a scaricare con violenza il loro contenuto. Inoltre tutto il corpo si copriva di sudore, gli occhi lacrimavano e il naso colava. In un secondo tempo sopravvenivano le allucinazioni.
La sferzata subsonica percorse tutta la nave e Kelly s’irrigidì, ma inutilmente. Dopo che si furono calmate le conseguenze fisiche, notò con orrore che la cabina si era riempita di minuscole termiti metalliche intente a rosicchiarne le pareti. Atterrito, Kelly pensava che quando avessero finito di rosicchiare la paratia esterna sarebbe stato risucchiato nel vuoto, ma al momento critico sopravvenne la seconda sferzata che, come il canto del gallo, rispedì i fantasmi dello spazio da dove erano venuti.
Dopo essersi ripulito, Kelly si avviò con passo malfermo alla mensa dove trovò gli altri, pallidi e scossi come lui. Michelle insistette perché tutti mangiassero un po’ di minestrina per rimpiazzare i liquidi che avevano perso.
— È sempre così brutto? — chiese con un filo di voce Kelly a Ham.
— Qualche volta è anche peggio. Qui te l’aspettavi e così non è stata poi tanto brutta. Comunque adesso che sai pressappoco com’è, la prossima volta il passaggio non sarà tanto sconvolgente.
— Avresti dovuto vedere cosa succedeva su un trasporto truppe con trentamila uomini a bordo — disse Michelle. — Qualche volta eravamo costretti a superare il passaggio in caduta libera, con solo una rete di protezione.
In quella entrò la comandante, brusca ed efficiente secondo il suo solito, come se niente fosse successo. Correva voce che a qualche spaziale piacesse il passaggio dalla propulsione normale alla Whoopee e forse lei era una di quelli.
— Finn — disse, — sei stato bravo, complimenti al tuo computer. Fra due ore saremo in orbita di parcheggio intorno ad Alfa Tau. — E a Popov: — La pista di atterraggio costruita dalla Flotta durante la guerra è in disuso, ma hanno lasciato un radiofaro. Vi risulta che Strelnikov avesse trovato un posto adatto all’atterraggio vicino alla miniera?
— Diceva che era possibile, ma non è un pilota. E non osava chiederlo ai piloti militari per non destare sospetti.
— Be’, allora atterreremo sulla pista — disse la comandante. — Prima manderemo un mezzo atmosferico per esplorare il posto. Mi auguro di riuscire a trovare un buon ormeggio e che non si debba trasportare il cristallo per tutto il tragitto fino alla base. Bene — concluse, — mangiate tutti abbondantemente perché ci aspetta parecchio lavoro. Tor, procura dei respiratori. Laggiù l’ossigeno è piuttosto scarso. Michelle, dal punto di vista medico bisogna prendere qualche precauzione?
— Il manuale dell’Ammiragliato dice che laggiù non esistono germi patogeni dannosi all’uomo, a meno che non ce li abbiano lasciati i nostri soldati. La stella è del tipo a basse radiazioni, quindi non pericolose. Le forme vegetali più evolute sono le felci giganti e quelle animali sono simili ai nostri insetti, innocue per noi. La forza di gravità è inferiore di circa il dieci per cento a quella terrestre. Badate a non togliervi il respiratore per più di due minuti, e non ci saranno problemi.
Dopo mangiato, Kelly andò nella cupola osservatorio per dare un’occhiata ad Alpha Tau Pi Rho 4. Anche visto dallo spazio era un pianeta poco invitante, un po’ più piccolo della Terra, ma molto più antico. I mari si erano ridotti a laghi, le nuvole erano scarse e rarefatte, la vegetazione formava anemiche chiazze di un verde sbiadito sullo sfondo di un grigiore uniforme.
Poco dopo entrò nell’osservatorio anche Torwald che, osservando a sua volta il pianeta, disse: — È uno di quei posti dove gli spaziali della Flotta temevano di essere mandati di guarnigione. Be’, pazienza, non siamo venuti qui in vacanza, e se le cose andranno a buon fine, potremo poi permetterci qualsiasi pianeta. Kelly, verrai con me sul ricognitore per esplorare la formazione cristallifera, perciò, appena saremo atterrati, raggiungimi al portello di uscita. Stai attento perché, per facilitare carico e scarico, nella stiva non funziona la gravità artificiale quando si è a terra. Tienti aggrappato ai sostegni e muoviti con cautela.
— In quella suonò la sirena. — Ecco, ci siamo. Allacciati le cinghie.
Il pianeta non era più attraente da vicino che da lontano.
— Mi aspettavo qualcosa di più esotico — disse Kelly mentre, appena sbarcati, si avviava con Hame Torwald verso il veicolo atmosferico, detto AC: Athmosfere Craft.
La superficie ricordava il più desolato deserto terrestre: pietre, sabbia e rada vegetazione stentata. Il logorio atmosferico aveva ridotto le catene di montagne a modeste protuberanze. Nessuna cima superava i mille metri. Dall’ abbondanza di giacimenti carboniferi rilevata durante i sondaggi dell’Ammiragliato risultava che un tempo la vegetazione era stata molto rigogliosa sul pianeta, ma poco a poco il vapore acqueo e l’ossigeno si erano dissolti nello spazio e solo le forme di vita più resistenti erano riuscite a sopravvivere. E, come succede sempre in questi casi, i superstiti erano gli organismi più primitivi, quelli che richiedevano meno sostanze vitali al proprio ambiente. Alpha Tau era in via di totale decadimento.
— Non c’è molto da vedere, eh, Raffen? — osservò Kelly, voltandosi. Dietro di lui c’era Popov con abbigliamento e attrezzatura da geologo e un rotolo sotto il braccio.
— Kelly ha ragione — disse Torwald. Ma non importa, Adesso capisco perché siete costretti a offrire ricompense allettanti perché i minatori accettino di venire qui. Ho lavorato in posti migliori quando ero prigioniero di guerra.
— Salite! — ordinò Ham, e i tre montarono sul veicolo. Il secondo scambiò qualche parola con Popov mentre gli altri due toglievano la copertura di protezione e avvitavano intorno al posto del pilota un basso parabrezza circolare.
— Torwald — disse poi Ham, — prendi tu i comandi, dato che sei il pilota più esperto.
Kelly prese posto dietro a Torwald per potere seguire meglio la manovra, e quando tutti ebbero allacciate le cinture di sicurezza, Torwald fece salire lentamente l’AC per un centinaio di metri, per avere una visuale d’insieme del campo. Dei prefabbricati installati un tempo e smontati alla fine della guerra restavano solo le fondamenta rettangolari. L’unico edificio esistente era la cabina del radiofaro.
— Dove andiamo ? — chiese Torwald.
— Prendendo come punto di partenza il radiofaro — disse Popov, — bisogna seguire per novantasette chilometri una rotta di ottantacinque gradi.
Torwald inserì i dati nel computer di bordo, e poi accelerò. Avrebbe potuto inserire il comando automatico, ma preferì il controllo manuale per farsi la mano.
Sorvolarono velocemente il paesaggio desolato finché Popov non ordinò di fermarsi lasciando l’AC sospeso su un tratto di terreno che sembrava identico a quello che avevano sorvolato fino a quel momento. Quindi, consultando a tratti la mappa, ordinò di dirigersi a velocità ridotta verso un piccolo canyon. Torwald avvistò il punto che cercavano e si diresse verso di esso.