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Gli eretici? Ma che cosa stava…

— Indossala, Mondschein.

— Non posso. Se mi vedono…

— Non ti vedrà nessuno. Indossala. La tua tunica la conserveremo noi fino al tuo ritorno.

Si sentiva un burattino. Si tolse la veste e la appese a un gancio; poi indossò l’uniforme degli eretici. La misura era giusta, c’era qualcosa appeso al pannello interno: una maschera termoplastica, scoprì Mondschein. Trasse un sospiro di sollievo e formulò un pensiero di gratitudine. La spiegò, la calcò sul viso e la tenne premuta fino a quando aderì perfettamente alla sua pelle. La maschera avrebbe camuffato i suoi tratti quel tanto che bastava per non dover temere di venire riconosciuto.

Quindi piegò con cura la propria veste, l’avvolse nell’involucro e fermò le fibbie.

— Lasciala sul water — disse la voce.

— Non mi fido. Se me la perdete, poi io come lo spiego ai miei superiori?

— Stai tranquillo, Mondschein. Non la perderemo. Adesso, muoviti, perché la barcacelere sta per salpare.

Mondschein uscì dal bagno di malavoglia. Si guardò allo specchio. Il suo viso paffuto adesso sembrava grasso: guance piene, la pappagorgia irsuta, labbra carnose e umide. Ombre scure gli circondavano gli occhi, come se avesse fatto bisboccia per un’intera settimana. Anche la veste verde gli faceva uno strano effetto. Indossando i panni degli eretici si sentiva vicino come non mai al suo movimento.

Quando varcò la soglia della sala d’aspetto, la donna magra gli andò incontro. Aveva gli zigomi affilati come lame d’ascia e, al posto delle palpebre aveva tapparelle fatte di una sottile lamina di platino. Era una moda della generazione passata; Mondschein ricordava quando sua madre era ritornata dallo studio del chirurgo plastico con il viso ridotto a una maschera grottesca. Adesso non si usava più. Quella donna doveva avere almeno quarant’anni, anche se sembrava molto più giovane.

— Armonia eterna a te, fratello — disse con voce rauca.

Mondschein cercò di ricordare quale fosse la risposta giusta a quel saluto, ma non la trovò e, improvvisando, disse: Che l’Unità pessa sorriderti.

— Ti ringrazio della tua benedizione. Il tuo biglietto è a posto. Vuoi seguirmi, fratello?

Era lei la sua guida, dunque. Quando si era spogliato si era liberato anche dell’Orecchio oltre che della veste. Con un vago senso di disagio, si augurò di rivedere presto l’abito dal quale si era separato. Seguì la donna sulla banchina di imbarco. Potevano portarlo ovunque, Chicago, Honululu, Montreal…

La barcacelere, aggraziata ed elegante nel suo rivestimento verde-bluastro scintillava nella stazione inondata di luce. Mentre salivano a bordo, Mondschein si voltò verso la donna e domandò: — Dove stiamo andando?

— A Roma — fu la risposta.

tre

Mondschein sgranò gli occhi quando gli sfrecciarono davanti i monumenti dell’antichità. Il Foro romano, il Colosseo, il teatro di Marcello, il pacchiano monumento a Vittorio Emanuele… Il percorso che stavano seguendo attraversava proprio il cuore dell’antica città. Quando divorarono Via dei Fori Imperiali, vide anche l’alone azzurro di un tempio vorsteriano, ma la sua presenza gli parve stridente nella città santa di una antica religione. Invece, la Confraternita aveva preso piede a Roma. Quando Gregorio XVIII appariva alla finestra del suo studio, in Vaticano, riusciva ad attirare ancora centinaia di migliaia di romani festanti, ma, dopo aver visto il Papa, molti di quegli stessi romani andavano a raccogliersi in preghiera nel tempio vorsteriano più vicino.

Evidentemente anche gli Armonisti stavano riscuotendo successo da quelle parti, pensò Mondschein, ma non disse nulla. La macchina lasciò la città e proseguì verso nord.

— Questa è la via Flaminia — lo informò la sua guida. — La nuova strada elettronica è stata installata sulla vecchia carreggiata. Qui le persone hanno un profondo senso della tradizione.

— Non ne dubito — rispose Mondschein con aria stanca. Era quasi notte, adesso, e in tutta la giornata non aveva mangiato che una merendina sulla barcacelere. A Roma era arrivato poche ore prima dell’alba, dopo novanta minuti di viaggio. Sulla città gravava una nebbia invernale; la primavera tardava ad arrivare quell’anno. A Mondschein prudeva terribilmente la faccia sotto la maschera. La paura gli gelava le dita.

Si fermarono di fronte a un tetro palazzo con i mattoni a vista a una quindicina di chilometri da Roma. Rabbrividendo, Mondschein si affrettò a entrare. La donna con le palpebre di platino salì le scale davanti a lui e lo precedette in una stanza calda e ben illuminata. Lì li attendevano tre uomini, che vestivano la tunica verde degli armonisti. Adesso ne aveva la conferma, pensò Mondschein: questo è un covo di eretici.

I tre religiosi non si presentarono. Il primo era basso e tozzo, con il viso giallastro e il naso a patata. Il secondo era alto e di una magrezza spettrale, con braccia e gambe che ricordavano le zampe di un ragno. Il terzo non era degno di nota; aveva la carnagione chiara e gli occhi sottili e scialbi. L’uomo tarchiato era il più vecchio e sembrava il capo.

Senza preamboli gli disse: — A quanto pare la tua richiesta è stata respinta.

— Come fate a…

— Non preoccuparti del come. Ti abbiamo osservato, Mondschein e speravamo che ce la facessi. Noi vogliamo un uomo a Santa Fe almeno quanto tu desideri andarci.

— Ma voi siete Armonisti?

— Sì. Gradisci un po’ di vino, Mondschein?

L’accolito scrollò le spalle. L’eretico alto e magro fece un gesto e la donna, che era rimasta nella stanza, si avvicinò con un fiasco di vino dorato. Mondschein accettò di berne un bicchiere, convinto in cuor suo che fosse quasi sicuramente drogato. Il vino era fresco e leggermente dolce, come un Graves demi-sec. Anche gli altri gli tennero compagnia.

— Che cosa volete da me?

— Il tuo aiuto — rispose l’uomo tozzo. — C’è una guerra in corso e vogliamo che tu passi dalla nostra parte.

— A me non risulta che ci sia nessuna guerra.

— Una guerra fra le tenebre e la luce — intervenne con tono garbato l’eretico alto e magro. — Noi siamo i guerrieri della luce. Non devi pensare che siamo dei fanatici, Mondschein. Al contrario, noi siamo persone molto ragionevoli.

— Forse sai già — intervenne il terzo armonista — che la nostra fede è figlia di quella in cui credi tu. Noi rispettiamo gli insegnamenti di Vorst e seguiamo quasi tutte le strade che ha tracciato. Anzi, noi riteniamo di essere più fedeli alla sua dottrina di quanto non lo sia l’attuale gerarchia della Confraternita. Noi rappresentiamo un movimento purificatore. Ogni religione ha bisogno dei suoi riformatori.

Mondschein sorseggiò il vino. Poi, con un luccichio malizioso negli occhi, osservò: — In genere i movimenti di riforma cominciano ad apparire dopo mille anni. Noi siamo nel 2095 e la Confraternita non ha neanche trent’anni di vita.

L’armonista tarchiato annuì. — Oggi tutto accade molto più in fretta di un tempo. Ai cristiani furono necessari trecento anni per assumere il controllo politico di Roma, dall’impero di Augusto a quello di Costantino. Ai vorsteriani è bastato molto meno. Tu conosci la storia: in tutti gli organismi legislativi del mondo siedono uomini della Confraternita. In alcuni paesi hanno addirittura creato un vero e proprio partito politico. Immagino che non ci sia bisogno che io ricordi anche l’enorme potere economico-finanziario che l’organizzazione ha acquisito in pochi anni…

— E voi purificatori caldeggiate il ritorno allo stato di cose di trent’anni fa? — domandò Mondschein. — Ai palazzi fatiscenti, alle persecuzioni e tutto il resto? È questo che volete?

— Certo che no. Noi apprezziamo i vantaggi del potere. Però siamo convinti che il movimento stia disperdendo le proprie energie in cose che non lo riguardano. Una volta concepivate il potere in funzione di più grandi obiettivi da raggiungere, adesso, invece, lo perseguite solo per se stesso.