I supervisori si guardarono l’un l’altro. Mondschein aveva la veste bagnata di sudore e ne percepiva l’odore acre. Un muscolo gli pulsava sulla guancia e la fronte gli prudeva in maniera insopportabile, ma non si mosse.
— La ragazza può andare — decretò Magnus.
Quando l’esperiana uscì, la tensione all’interno della stanza si allentò un poco, ma Mondschein non si rilassò. Con orrore e disperazione sentiva di essere stato processato e condannato in anticipo per un crimine di cui non conosceva nemmeno la natura. Ripensò ad alcune delle storie, forse apocrife, che gli erano state raccontate sullo spirito di vendetta della Confraternita: quella dell’uomo al quale erano stati rimossi i centri del dolore, quella dell’esperiano esposto a un insopportabile bombardamento di percezioni, quella del biologo lobotomizzato e quella del Supervisore rinnegato che era stato rinchiuso nella Camera del Nulla per novantasei ore consecutive. Presto, forse, l’avrebbe scoperto sulla sua pelle se quelle storie erano apocrife oppure no.
— Per tua informazione, Mondschiein — disse Magnus — qualcuno ha fatto irruzione nel laboratorio della longevità e ha fotografato tutto quello che ha trovato con una macchina olografa. Un lavoro molto accurato. Peccato, però, che nel laboratorio fosse installato un sistema d’allarme, sul quale sei incappato.
— Ma, signore, glielo giuro, io non ho messo piede…
— Risparmia il fiato, Mondschein. Il mattino seguente abbiamo effettuato un’analisi di attivazione neutronica, un’indagine di routine, e abbiamo rilevato tracce di tungsteno e molibdeno che hai lasciato mentre scattavi gli ologrammi. Quelle tracce corrispondono alla composizione della tua pelle. Ci è voluto un po’ di tempo perché riuscissimo a risalire a te, ma non ci sono dubbi: identici rilevamenti neutronici sulla macchina fotografica, sull’attrezzatura del laboratorio e sulla tua mano. Che tu lo sappia o meno, tu sei stato inviato qui come spia.
Un altro supervisore disse: — È arrivato Kirby.
— Sono proprio curioso di sapere che cos’ha da dirci in proposito — borbottò cupo Magnus.
Mondschein vide la figura magra e allampanata di Kirby entrare nella sala. Aveva le labbra serrate. Sembrava invecchiato di almeno dieci anni da quando Mondschein l’aveva incontrato nell’ufficio di Langholt.
Magnus girò rapidamente su se stesso e, con tono palesemente irritato, disse: — Ecco qui il suo uomo, Kirby. Che cosa pensa di lui, adesso?
— Non è il mio uomo — replicò l’altro.
— Però ha approvato il suo trasferimento al Centro — ribatté Magnus. — Forse dovremmo chiamare un esperiano e far esaminare anche lei, eh? Qualcuno ha messo una bomba a orologeria nel nostro centro di ricerca e la bomba è scoppiata. Questo tizio qui ha passato a chissà chi tutti i segreti del nostro laboratorio.
— Forse no — obiettò Kirby. — Forse ha ancora le fotografie addosso.
— Il giorno dopo essere penetrato nel laboratorio, è uscito dal centro. Lui e un altro accolito sono andati a visitare alcuni antichi siti indiani e può scommetterci che ha approfittato di quell’occasione per liberarsi degli ologrammi.
— Avete rintracciato il corriere? — domandò Kirby.
— Non è questo il punto — disse Magnus. — Il fatto è che quest’uomo è arrivato al centro dietro sua raccomandazione. L’ha pescato dal nulla e ce l’ha spedito qui. Quello che noi tutti vorremmo sapere è dove l’ha trovato e perché l’ha trasferito qui. Dunque?
Per alcuni istanti le mascelle scarnificate di Kirby masticarono parole che rimasero mute. Lanciò a Mondschein un’occhiata torva, poi fissò Magnus con ostilità ancora più grande.
Alla fine sbottò: — Non posso assumermi la responsabilità di aver inviato qui quest’uomo. I fatti si sono svolti così: in febbraio l’accolito Mondschein mi ha scritto chiedendo di venir esonerato dal servizio nel tempio di Nyack e di venire trasferito al centro di Santa Fe. Agendo in questo modo, aveva scavalcato i suoi superiori, così io scrissi al rettore del tempio, raccomandandogli di redarguirlo a dovere. Dopo poche settimane, ho ricevuto l’ordine di trasferirlo qui. Io stesso sono rimasto a dir poco sorpreso, ma non mi sono potuto opporre. Questo è tutto quello che so di Christopher Mondschein.
Magnus tese l’indice e, agitandolo in segno di ammonimento, disse: — Un momento, Kirby. Lei è un supervisore: si può sapere chi può darle degli ordini? Chi può prendersi la libertà di fare pressioni su di lei in merito al trasferimento di chicchessia?
— Si tratta di un ordine venuto dall’alto.
— Mi è difficile crederlo — replicò Magnus.
Mondschein se ne stava impalato come un baccalà sulla sedia, incantato, nonostante la disgraziata situazione in cui si trovava, da quella battaglia fra supervisori. Non era mai riuscito a spiegarsi come fosse riuscito ad ottenere quel trasferimento, ma adesso sembrava che nemmeno i suoi superiori ci capissero qualcosa.
— L’ordine mi è stato impartito da una fonte che preferirei non rivelare — disse Kirby.
— È forse un trucco per coprire i suoi errori?
— Lei sta mettendo a dura prova la mia pazienza, Supervisore Magnus — ribatté seccamente Kirby.
— Io voglio solo sapere chi ha piazzato una spia in mezzo a noi.
Kirby trasse un profondo sospiro. — D’accordo — disse. — Glielo dirò. Tutti voi qui presenti siete miei testimoni. L’ordine mi è stato impartito da Vorst. Noel Vorst mi ha chiamato e mi ha detto che voleva che quest’uomo venisse trasferito qui. È stato Vorst a mandarvelo. Vorst in persona! Che cosa mi risponde adesso?
nove
Non avevano ancora finito di interrogare Mondschein. Schiere di esperiani scandagliarono la sua mente, nel vano tentativo di penetrare sotto la cancellatura operata sul suo cervello. Fecero ricorso anche a sistemi di indagine organica: lo sottoposero a tutta la gamma di sieri della verità esistenti, vecchi e nuovi, dal pentothal in poi, e intere batterie di confratelli dal volto arcigno lo sottoposero a strìngenti interrogatori. Mondschein lasciò che gli mettessero a nudo l’anima, cosicché ogni traccia di cattiveria, ogni barlume di egoismo, tutto ciò che faceva di lui un essere umano, venisse a galla. Ma non riuscirono a venire a capo di nulla. Né servì rinchiuderlo per quattro ore nella Camera del Nulla. Quando ne uscì Mondschein era così svuotato e apatico che non fu in condizioni di rispondere a nessuna domanda per tre giorni interi.
Il povero accolito era sconcertato almeno quanto i suoi confratelli. Sarebbe stato felice di confessare i più turpi peccati; anzi, durante quegli estenuanti interrogatori ci provò più di una volta, spinto dal desiderio di farla finita, ma ogni volta gli esperiani capivano il suo gioco e lo deridevano. In un modo o nell’altro, Mondschein si rese conto di essere caduto nelle mani dei nemici della Confraternita e di aver concluso un patto con loro: patto che, evidentemente, aveva mantenuto. Ma di tutto ciò lui non aveva coscienza. Interi segmenti della sua memoria erano stati cancellati e questo fatto lo gettava nel terrore e nello sconforto.
Mondschein sapeva di essere finito. Perché, naturalmente, non gli avrebbero mai permesso di restare a Santa Fe. E così, il suo antico sogno di trovarsi lì quando gli scienziati avrebbero scoperto il segreto dell’immortalità era svanito per sempre. L’avrebbero cacciato con spade fiammeggianti e lui sarebbe invecchiato maledicendo quella meravigliosa occasione perduta. Tutto questo, ammesso che non lo uccidessero sui due piedi o che gli inducessero subdolamente una forma di lenta autodistruzione.
Era dicembre e stava cadendo una leggera neve il giorno di in cui Kirby andò a comunicargli la sentenza.