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Alla notizia dell’arrivo del marziano, Kirby sentì crescere la tensione. Era stato scelto come cicerone e cane da guardia dell’ospite proveniente dalla colonia di Marte. Era di fondamentale importanza mantenere cordiali rapporti con i marziani, perché il loro pianeta rappresentava un mercato vitale per l’economia terrestre. Inoltre, essi erano esempi di vigore e di spirito di iniziativa, beni di cui al momento c’era grande penuria sulla Terra.

Ma era sempre un grattacapo avere a che fare con loro, perché erano suscettibili, volubili e imprevedibili. Kirby sapeva che gli era stato affidato un compito delicato e difficile. Doveva proteggere il marziano dai pericoli, coccolarlo e vezzeggiarlo, ma senza essere assillante o dargli l’impressione di trattarlo con condiscendenza. Qualsiasi suo errore sarebbe costato caro alla Terra e sarebbe stato fatale per la sua carriera.

Opacizzò nuovamente il vetro e corse in camera per indossare gli abiti da cerimonia. Un’aderente tunica grigia, un foulard verde, stivali di pelle azzurra, guanti di luccicante maglia dorata… in poche parole, quando l’annunciatore scampanellò per informarlo che Nathaniel Weiner era arrivato, Kirby aveva, in tutto e per tutto, l’aspetto di un alto funzionario terrestre.

— Lo faccia accomodare — ordinò Kirby.

La porta si dilatò come un grande iride e il marziano varcò la soglia con passo agile. Era un uomo di circa trent’anni, piccolo e compatto, con le spalle straordinariamente larghe, le labbra sottili, gli zigomi pronunciati e due perle scure al posto degli occhi. Dava l’impressione di essere fisicamente forte, come se fin dalla nascita fosse stato costretto a contrastare la micidiale forza gravitazionale di Giove, anziché filare come una saetta, senza sforzo alcuno, sulla superficie di Marte. Era molto abbronzato e dagli angoli degli occhi si irradiava una sottile rete di rughe. Aveva l’aria aggressiva, pensò Kirby. Arrogante.

— Cittadino libero Kirby, sono lieto di fare la sua conoscenza — esordì il marziano con voce profonda e aspra.

— L’onore è tutto mio, cittadino libero Weiner.

— Mi permetta — Così dicendo, Weiner estrasse la sua pistola laser. Il robot di Kirby si precipitò verso di lui con un cuscino di velluto. Il marziano vi adagiò sopra l’arma con cautela. Il robot scivolò sul pavimento per consegnarla a Kirby.

— Mi chiami Nat — disse il marziano.

Kirby gli rivolse un sorriso sottile. Prese la pistola, resistette alla tentazione di incenerirlo sul posto e la esaminò rapidamente. Quindi la appoggiò di nuovo sul cuscino e, con un battito di mani, ordinò al robot di restituirla al suo proprietario.

— I miei amici mi chiamano Ron — disse Kirby. — Reynolds è un nome orribile.

— Contento di conoscerti, Ron. Che cos’hai da bere?

Kirby era irritato da quell’infrazione all’etichetta, ma, diplomaticamente, non lo diede a vedere. Il marziano era stato molto cerimonioso nel presentargli l’arma, ma tutti gli uomini di frontiera rispettavano scrupolosamente quel rito; questo, però, non significava che le loro buone maniere andassero oltre. Con tono garbato, Kirby rispose: — Quello che preferisci, Nat. Bevande sintetiche, naturali… Non hai che da chiedere. Che ne pensi di un ruhm filtrato?

— Ne ho buttato giù così tanto che se ne bevo ancora un sorso tiro su tutto. Quei buzzurri di San Juan lo tracannano come se fosse acqua. Che ne diresti di un buon wiskey?

— Scegli quello che preferisci — rispose Kirby con un ampio gesto della mano. Il robot prese la console del bar e la portò al marziano. Weiner diede una rapida scorsa ai pulsanti poi ne premette due quasi a caso.

— Ho ordinato un doppio malto per te e un doppio burbon per me — disse.

Kirby lo trovò divertente. Quel rozzo colono non solo sceglieva da bere per sé, ma anche per il suo anfitrione. E un doppio malto, nientemeno! Kirby celò una smorfia e prese il suo drink. Weiner scivolò in una comoda poltrona di telaschiuma. Anche Kirby si sedette.

— Allora, che cosa ne pensi della tua visita sulla Terra? — domandò Kirby.

— Non male. Non male. Certo che c’è da star male a vedervi vivere così fitti.

— È la condizione umana.

— No, su Marte non è così. E nemmeno su Venere.

— Dà tempo al tempo — replicò Kirby.

— No, non credo, Ron. Noi lassù sappiamo come regolare la crescita demografica.

— Anche noi. Soltanto che ci è voluto un po’ per farlo capire a tutti e nel frattempo eravamo già diventati dieci miliardi. Adesso speriamo di tenere basso il tasso di incremento.

— Sai che cosa? — interloquì Weiner. — Dovreste usare un decimo della popolazione per alimentare i convertitori. Insomma trasformare tutta quella carne in energia. Nel giro di quindici giorni sareste un miliardo di meno. — Ridacchiò. — Scherzo, naturalmente. Non sarebbe moralmente accettabile. Era solo una battuta.

— Disciplina: è questa la risposta ai tutti i problemi umani. Disciplina e più auto-disciplina. Negazione. Programmazione. Questo wiskey è proprio buono, Ron. Che ne diresti di fare un altro giro?

— Serviti pure.

Weiner si servì. Generosamente.

— Proprio buono — mormorò. — Noi non beviamo roba così su Marte. Devo ammetterlo, Ron. Per quanto questo pianeta sia affollato e puzzolente, ha i suoi comfort. Io qui non ci vivrei, sia ben chiaro, ma sono contento di esserci venuto. Che donne Mmm! Che bevande! Che emozioni!

— Sei arrivato da due giorni, vero? — domandò Kirby.

— Esatto. La prima sera sono stato a New York, cerimonia di benvenuto, banchetto, tutte quelle stupidaggini promosse dall’Associazione delle Colonie. Poi sono andato a Washington a conoscere il Presidente. Un tipo simpatico. Ma ha un po’ di pancetta. Dovrebbe fare ginnastica. Poi quell’idiozia lì a San Juan, la giornata dell’ospitalità, l’incontro con i compagni portoricani e tutte quelle altre baggianate. E adesso qui. Che cosa c’è da fare qui, Ron?

— Be’, per cominciare potremo andare giù a fare una nuotata…

— Posso nuotare quanto voglio su Marte. L’acqua non mi interessa. Voglio vedere come vive la gente qui. — Weiner aveva lo sguardo acceso. All’improvviso Kirby si rese conto che il marziano era ubriaco quando era arrivato e che quei due bicchieri di wiskey gli avevano dato il colpo di grazia. — Lo sai che cosa voglio fare, Kirby? Voglio uscire di qui e mescolarmi fra la gente. Voglio andare in una fumeria d’oppio. Voglio vedere gli esperiani in estasi. Voglio assistere a un incontro di preghiera dei vorsteriani. Voglio vivere la vita dei terrestri, Ron. In tutto e per tutto.

due

La chiesa dei vorsteriani aveva sede in uno stabile vecchio e cadente nel cuore di Manhattan, praticamente a uno sputo dal palazzo dell’O.N.U. Kirby fu colto da un moto di nausea nel varcare la soglia dell’edificio; non era mai riuscito a vincere la ripugnanza per i bassifondi, anche se ormai tutto il mondo non era che un grande bassofondo brulicante di persone. Ma Nat Weiner glielo aveva praticamente imposto e a lui non era restata altra scelta che accontentarlo. Kirby lo aveva portato lì perché era l’unico tempio vorsteriano in cui avesse messo piede in vita sua, così, almeno, non si sarebbe sentito troppo fuori luogo fra i fedeli.

Sulla porta, un cartello scritto a caratteri fosforescenti, ma pieno di macchie, recitava:

CONFRATERNITA DELLA RADIANZA IMMANENTE
INGRESSO APERTO A TUTTI
FUNZIONI QUOTIDIANE
GUARITE IL VOSTRO CUORE
ARMONIZZATEVI CON IL TUTTO

Weiner lesse il cartello e sghignazzò. — Hai letto? Guarite il vostro cuore! Come sta il tuo cuore Kirby?

— Bucato in diversi punti. Vuoi entrare?

— Puoi giurarci!

Weiner era ubriaco fradicio. Però l’alcol lo reggeva bene, dovette riconoscere Kirby. Lui si era ben guardato di tenere compagnia al suo ospite ogni volta che si rabboccava il bicchiere, ciononostante si sentiva vagamente stordito e accaldato. Gli pizzicava la punta del naso e non vedeva l’ora di scaricare il marziano e rintanarsi nella Camera del Nulla per disintossicarsi.