Per tutta risposta, il ragazzo scrollò le spalle. — Parlami ancora del Fuoco Azzurro — disse.
— Hai letto il libro che ti ho dato? Quello scritto da Vorst. Lì è spiegato tutto quello che c’è da sapere.
— Fratello Christopher me lo ha portato via.
Martell trasalì. — Glielo hai mostrato?
— Voleva sapere perché fossi venuto da te. Io gli ho risposto che tu mi avevi parlato e mi avevi dato un libro. Lui mi ha preso il libro e io sono ritornato qui. Spiegami perché sei qui. Spiegami che cosa insegni.
Martell non aveva immaginato che il suo primo convertito sarebbe stato un bambino. Scegliendo attentamente le parole, disse: — La fede che professiamo in questo tempio è molto simile a quella che predica fratello Christopher. Ma ci sono alcune differenze. Le persone come fratello Christopher raccontano un sacco di storie inventate. Sono storie belle, ma sono solo favole.
— Come quella di Lazzaro, intendi dire?
— Esatto. Leggende, niente di più. Noi, invece non, abbiamo bisogno di quel genere di cose. Noi cerchiamo di entrare in contatto diretto con i fondamenti dell’universo. Noi…
Il ragazzo non lo ascoltava più. Gli tirò la tunica e diede un colpetto a una sedia. Solo l’altare lo affascinava, nient’altro. I suoi occhi accesi vagavano verso il reattore.
— Il cobalto è radioattivo — disse Martell. — È una fonte di raggi beta… di elettroni. Gli elettroni attraversano le pareti della vasca e liberano i fotoni. È così che si sprigiona la luce.
— Io posso fermarla — disse il ragazzo. — Ti arrabbi se la fermo?
Era un sacrilegio bello e buono e Martell lo sapeva. Ma era altrettanto certo che lo avrebbero perdonato. Ogni esperienza di psicocinesi che fosse stato in grado di documentare sarebbe stata utile.
— No, fa pure. — disse.
Il ragazzo non si mosse, ma la luce si affievolì. Era come se una mano invisibile fosse penetrata nel reattore e avesse intercettato le particelle in movimento. Telecinesi a livello subatomico! Martell era eccitato e spaventato al tempo stesso. All’improvviso la luce riacquistò intensità. Sulla fronte rosso-bluastra del ragazzo brillavano stille di sudore.
— È tutto — annunciò Elwhit.
— Come fai?
— La raggiungo. — Rise. — Perché, tu non ci riesci?
— Temo di no — rispose Martell. — Ascolta: se ti do un altro libro da leggere, mi prometti di non mostrarlo a fratello Christopher? Non ne ho molti e non posso correre il rischio che gli armonisti me li requisiscano tutti.
— La prossima volta — disse il ragazzo. — Non ho voglia di leggere adesso. Ritornerò ancora. Me ne parlerai un’altra volta.
Uscì dal tempio danzando e attraversò di corsa la macchia che circondava il tempio, incurante delle insidie nascoste nella foresta immersa nell’ombra. Martell lo seguì con lo sguardo fino a quando lo perse di vista: non riusciva a capire se stesse realmente per conquistare un seguace o se quel ragazzino lo stesse prendendo in giro.
Forse tutte e due le cose, concluse.
Nicholas Martell era arrivato su Venere dieci giorni prima, a bordo di una nave passeggeri proveniente da Marte. Erano in trenta sulla nave, ma nessuno degli altri viaggiatori aveva cercato la sua compagnia. Dieci erano marziani e a loro non interessava respirare la stessa aria di Martell. Adesso che il loro pianeta era stato reso simile alla Terra, preferivano riempirsi i polmoni di una miscela di gas simile all’atmosfera terrestre. Anche Martell, un tempo, respirava quell’aria, perché era nato sulla Terra. Ma adesso era uno dei "convertiti", dotato di branchie alla guisa dei venusiani.
Non erano branchie vere e proprie, in quanto sott’acqua non sarebbero servite a nulla. Erano filtri ad alta densità, la cui funzione era quella di selezionare le molecole di ossigeno contenute nell’atmosfera venusiana. Martell si era adattato benissimo alla sua nuova condizione. Il suo organismo non sapeva che farsene dell’elio e degli altri gas inerti, ma sfruttava il nitrogeno e non aveva particolari problemi ad alimentarsi con CO2, per brevi periodi. I chirurghi del centro di Santa Fe avevano lavorato sul suo corpo per sei mesi. Erano in ritardo di quarant’anni per intervenire su Martell-ovocita o Martell-feto, come prevedeva adesso la prassi per adattare gli esseri umani alla vita su Venere; così, gli scienziati avevano realizzato le modifiche necessarie su Martell uomo. Adesso il suo sangue non era più rosso e la sua pelle aveva una bella colorazione cianotica. Era in tutto e per tutto simile a un venusiano vero.
Sulla nave c’erano anche diciannove venusiani autentici, ma nessuno di loro aveva fraternizzato con lui; anzi avevano preteso che venisse allontanato dalla cabina. Così, scusandosi, i membri dell’equipaggio lo avevano fatto alloggiare in una delle stive: — Fratello, lei sa come sono questi arroganti di venusiani. Basta guardarli nel modo sbagliato che loro sguainano subito la spada. Lei viaggerà qui. Sarà più al sicuro. — Una risatina. — Comunque, per essere ancora più sicuro farebbe meglio a ritornare a casa senza nemmeno mettere piede su Venere.
Martell aveva replicato con un sorriso. Sapeva ciò che lo attendeva su quel pianeta ed era pronto ad affrontarlo.
Negli ultimi quarant’anni, svariate decine di membri della sua Confraternita avevano conosciuto il martirio in quella colonia. Lui era un vorsteriano, o più formalmente, un membro della Confraternita della Radianza Immanente, che aveva scelto la strada delle missioni. A differenza dei suoi predecessori, però, Martell aveva subito un intervento di adattamento alle condizioni di vita sul pianeta. Gli altri missionari erano stati costretti a imbacuccarsi in tute munite di respiratori e, forse, questo aveva compromesso l’efficacia del loro operato. In oltre quarant’anni, i vorsteriani non erano riusciti ad affermarsi su Venere, nonostante, da più di una generazione, rappresentassero il principale movimento religioso della Terra. Martell, solo e con il corpo modificato, si era assunto il compito, a lungo rimandato, di fondare un ordine venusiano della Confraternita.
Venere gli aveva riservato un benvenuto da brivido. Quando, durante la manovra di avvicinamento, la nave si era abbassata di colpo fra le nubi, incappando in una turbolenza, Martell era sbiancato. Poi, a poco a poco, si era ripreso e, quando la nave era atterrata, era rimasto seduto ad attendere pazientemente di sbarcare. Il primo scorcio di Venere l’aveva colto attraverso il portello: un campo piatto e apparentemente fangoso, che si estendeva per quasi un chilometro, circondato da alberi orribili, con il tronco grosso e un ammasso di foglie bluastre che rilucevano di un bagliore sinistro. Il cielo era grigio e cumuli di nubi basse facevano mulinello, formando arabeschi spiraliformi contro lo sfondo scuro. Robotecnici addetti alla manutenzione uscirono da un edificio squadrato e basso, di architettura aliena, e si affrettarono verso la nave. Nuovi passeggeri si apprestavano a salire a bordo.
Nella stazione di atterraggio un venusiano di bassa casta fissò il missionario con assoluta indifferenza, poi prese il passaporto che questi gli porgeva e, con tono freddo, domandò: — Religioso?
— Esatto.
— Come ha ottenuto il permesso di ingresso?
— Trattato del 2128 — rispose Martell. — Un limitato contingente di osservatori terrestri per scopi scientifici, etici o…
— Mi risparmi il resto. — L’impiegato premette il pollice su una pagina del passaporto e vi apparve il luccicante contrassegno del visto di entrata. — Nicholas Martell. Lei qui è destinato a morire, Martell. Perché non se ne ritorna da dove è venuto? Sulla Terra gli uomini vivono in eterno, non è vero?
— Vivono molti anni. Ma io ho un lavoro da svolgere qui.
— Stupido!
— Può essere — convenne Martell con voce pacata. — Posso andare?