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Martell tremava per l’eccitazione, che a stento riusciva a contenere. Gli esperiani costituivano ormai un gruppo numeroso sulla Terra, ma possedevano doti essenzialmente telematiche e, fino ad allora, nessuno aveva manifestato poteri telecinetici. Né era possibile in alcun modo indirizzare lo sviluppo delle loro energie metapsichiche, anche se da svariati decenni, essi prendevano parte a un programma di procreazione controllata, mirato proprio a rafforzare il loro patrimonio genetico. Un esperiano particolarmente dotato era in grado di penetrare nella mente delle persone e di manipolarne i contenuti, o sondarne i recessi più remoti. Esistevano anche alcuni individui dotati di poteri di precognizione, ma in genere morivano in età adolescenziale e i loro geni andavano perduti. I telecinetici, ovvero le persone in grado di spostare gli oggetti da un luogo all’altro, erano mosche bianche sulla Terra. E invece, lì, su Venere, ne aveva incontrati quattro soltanto nel cortile del tempio degli armonisti!

Nuove tensioni turbavano il missionario vorsteriano. Era arrivato su Venere da poche ore e aveva già fatto due importanti scoperte: che sul pianeta si erano insediati gli armonisti e che alcuni di loro possedevano energie psicocinetiche. All’improvviso, la sua missione assumeva un’importanza vitale. Non si trattava più soltanto di diffondere la parola di Vorst in un mondo ostile. Il rischio era quello di venire sopravanzati e messi in minoranza da un ordine eretico che tutti sulla Terra credevano in declino.

L’auto che Mondschein gli aveva messo a disposizione lo scaricò di fronte all’Ambasciata Marziana: era una piccola e solida costruzione che si affacciava su un’ampia piazza, in cui sembrava risolversi l’intera città. La disponibilità dei marziani era stata fondamentale per permettere a Martell di approdare su Venere e, come prima cosa, si imponeva una visita all’Ambasciatore.

I marziani respiravano un’aria simile a quella terrestre e non si preoccupavano di adattarsi alle condizioni di vita venusiane. Pertanto, una volta varcata la soglia dell’ambasciata, Martell dovette rassegnarsi a indossare il cappuccio-respiratore che lo avrebbe protetto dall’atmosfera del suo pianeta natale.

L’Ambasciatore, il libero cittadino Nat Weiner, aveva quasi il doppio dell’età di Martell o forse anche di più. Forse era prossimo alla novantina. Ma, a differenza del missionario, piccolo, magro, aveva un fisico possente, con spalle così larghe da sembrare sproporzionate rispetto ai fianchi e alle gambe.

— Dunque ha deciso di venire — esordì Weiner. — Credevo avesse più buon senso.

— Noi siamo persone determinate, libero cittadino Weiner.

— Lo so. Vi osservo da molto tempo. — Gli occhi di Weiner vagarono all’inseguimento di ricordi lontani. — Da più di sessant’anni, per l’esattezza. Conobbi il vostro attuale Coordinatore Kirby prima che si convertisse… Glielo ha mai raccontato?

— No, non lo sapevo — rispose Martell. Rabbrividì. Sessant’anni. Questo significava che Kirby era entrato nell’ordine vent’anni prima della sua nascita. Vivere cento anni non era un fatto insolito a quell’epoca. Vorst stesso doveva ormai aver raggiunto il traguardo dei centoventi o centotrenta anni, ma faceva ugualmente impressione pensare che qualcuno potesse avere una simile età.

Weiner sorrise. — Ero andato sulla Terra per stipulare un trattato commerciale e Kirby era il mio chaperon. Allora era un funzionario delle Nazioni Unite. Gli feci passare dei brutti momenti quella volta. All’epoca bevevo parecchio. Penso che non si dimenticherà mai quella sera! — Il suo sguardo si fissò sugli occhi attenti di Martell. — Desidero che lei sappia, fratello, che se dovesse venire aggredito, io non potrò fare nulla per proteggerla. Io sono responsabile soltanto dei cittadini marziani.

— Capisco.

— Comunque, il mio primo consiglio resta sempre valido: ritorni sulla Terra, fratello Martell, e invecchi serenamente.

— Non posso, libero cittadino Weiner. Io sono venuto qui con una missione da compiere.

— Ah, che dedizione! Meraviglioso! Dove costruirà il suo tempio?

— Sulla strada che conduce in città. Forse più vicino alla città di quello degli armonisti.

— E dove vivrà fino a quando avranno finito di costruirlo?

— Dormirò all’aperto.

— Qui su Venere c’è un uccello, chiamato laniere. È grande come un cane, le sue ali assomigliano a vecchie penne e ha il becco a forma di lancia. Una volta l’ho visto lanciarsi in picchiata da un’altezza di centocinquanta metri e trafiggere con il becco un uomo che stava facendo un sonnellino in un prato.

Senza scomporsi, Martell replicò: — Oggi sono sopravvissuto a un incontro ravvicinato con una ruota. Forse, riuscirò a evitare anche i lanieri. In ogni caso non ho intenzione di lasciarmi intimorire.

Weiner annuì. — Le auguro buona fortuna — concluse.

Quell’augurio era tutto ciò che Martell avrebbe ricevuto dall’Ambasciatore, ma gli era ugualmente grato. I marziani erano piuttosto freddi nei confronti della Terra e di tutto ciò che la riguardava, comprese le religioni professate dai suoi abitanti. Non che odiassero propriamente i terrestri, come dimostravano di fare i venusiani di entrambe le caste; anzi, i marziani conservavano una certa affinità con gli abitanti della Terra, e il loro legame con il pianeta-madre non era esile come quello delle creature aliene che popolavano Venere. Ciò nondimeno, i marziani erano uomini di frontiera, duri e aggressivi, e, come tali, pensavano essenzialmente a se stessi. Fungevano da intermediari fra la Terra e Venere soltanto perché potevano trarne profitto. Davano ospitalità ai missionari terrestri perché questo non comportava alcun rischio. A modo loro erano tolleranti, ma distaccati.

Martell uscì dall’Ambasciata e si mise all’opera. Aveva denaro, energia e intraprendenza. Non poteva assumere operai indigeni direttamente, perché per un venusiano, anche di bassa casta, sarebbe stato inconcepibile lavorare per un terrestre, ma avrebbe potuto contattarli tramite Weiner. Naturalmente, i marziani avrebbero percepito un compenso per la mediazione.

Così assunse alcuni operai e fece erigere un piccolo tempio. Quando i lavori furono terminati, Martell installò sull’altare un reattore formato tascabile che aveva portato con sé dalla Terra e lo accese. Da solo, nel tempio, osservò in silenzio il Fuoco Azzurro che, tremolando, prendeva vita.

Martell non aveva perso il senso dello stupore. Era un uomo mondano, non un mistico; eppure, ogni volta che vedeva la radiazione azzurra emanata dal reattore, ne restava profondamente affascinato. Il missionario cadde in ginocchio e si toccò la fronte in atto di sottomissione. Il suo sentimento religioso non rasentava mai l’idolatria, come accadeva agli armonisti, ma questo non significava che non percepisse la forza e il potere del movimento al quale aveva dedicato la vita.

Il primo giorno, Martell si limitò a celebrare il rito della consacrazione. Il secondo, terzo e quarto giorno attese speranzoso che qualche venusiano di casta inferiore, incuriosito, varcasse la soglia della chiesa. Ma non si presentò nessuno.

Per il momento a Martell non interessava andare alla ricerca di anime da convertire. Preferiva che le conversioni fossero spontanee, se possibile. Il tempio rimase vuoto. Finalmente, il quinto giorno qualcuno entrò… una creatura simil-rana, lunga una trentina di centimetri, munita di piccole corna minacciose sulla fronte e di sottili spine d’aspetto velenoso sulle spalle. Possibile che su quel pianeta non ci fosse una sola creatura priva di corazza o di armi, si domandò Martell? La cacciò fuori dal tempio, ma la rana ringhiò e allungò le corna verso il suo piede. Martell lo ritrasse appena in tempo, frapponendo una sedia fra sé e l’animale. Il corno sinistro dell’orribile creatura si conficcò nella gamba della sedia, affondando per diversi centimetri nel legno; quando la rana lo ritrasse, un fluido iridescente colò lungo la gamba della sedia, corrodendo il legno. Martell non era stato mai aggredito da una rana prima di quel giorno. Fortunatamente, al secondo tentativo riuscì a cacciare via l’animale senza riportare ferite. Bel pianeta, pensò.