— No, non è vero. Distruggeranno tutta la missione se non potranno prendersela con me. E questo io non posso permetterlo.
— Lei è nostro ospite — gli ricordò Mondschein.
Ma Martell non aveva intenzione di accettare la carità degli eretici. Come Mondschein aveva intuito, si era presentato al loro tempio con l’intenzione di spiarli; ma non ci era riuscito, così come non era riuscito a portare a termine la sua missione su Venere, e adesso non si sarebbe nascosto dietro la veste verde di un armonista. Afferrò l’anziano fratello per un braccio e disse: — Entri dentro. Svelto!
Mondschein scrollò le spalle e scomparve. Martell si girò di scatto per affrontare i venusiani.
— Perché siete qui? — domandò.
Uno sputo lo raggiunse in pieno viso. Senza rivolgersi a lui, uno dei venusiani disse: — Perché non lo infilziamo e poi non lo gettiamo nel Lago Ludlow?
— Picchiamolo! Copriamolo di sputi!
— Diamolo in pasto a una ruota!
Martell disse: — Sono venuto qui in pace. Vi ho portato la vita. Perché non volete ascoltarmi? Di che cosa avete paura? — Si rese conto, con sollievo, che non erano che dei bambinoni, che, consapevoli della loro forza, si divertivano al pensiero di schiacciare una formica. — Sediamoci insieme sotto quell’albero. Lasciatemi parlare. Vi libererò dall’ebbrezza dell’alcool. Se volete darmi la mano…
— Attenti! — ruggì uno dei giganti. — Punge!
Martell si avvicinò a quello più vicino. L’uomo fece un balzo indietro, mostrando un nervosismo assai poco degno dell’arroganza che aveva ostentato fino a quel momento. Un istante dopo, come se volesse fare ammenda per quell’atto di vigliaccheria, estrasse la spada, un anacronismo scintillante grande quasi quanto Martell. Altri due venusiani brandirono le armi. Avanzarono verso di lui con tracotanza: Martell inspirò profondamente e attese l’istante in cui avrebbe versato il suo sangue, non più rosso, per la causa. Ma quando batté le ciglia scoprì di non essere più lì.
— Come c’è arrivato qui? — gli domandò Nat Weiner.
— Vorrei saperlo anch’io — rispose Martell.
La luce intensa dell’ufficio dell’ambasciatore gli ferì gli occhi. Per un istante vide ancora le lame minacciose delle spade che calavano su di lui, poi si sentì cullare da una sensazione di realtà, come se fosse uscito da un sogno per entrare in un altro, in cui, però, la sua mente inseguiva altre visioni.
— Questo è un edificio di massima sicurezza — disse Weiner. — Lei non ha nessun diritto di essere qui.
— Io non ho nemmeno il diritto di essere vivo — rispose recisamente il missionario.
sei
Rimuginando fra sé e sé, Martell prese in considerazione l’idea di ritornare sulla Terra per riferire l’accaduto agli studiosi di Santa Fe. Sarebbe potuto andare al Centro Noel Vorst, dove, meno di un anno prima era entrato in sala operatoria come terrestre e ne era uscito come una creatura aliena. Avrebbe potuto farsi ricevere da Reynolds Kirby e spiegargli che i venusiani possedevano capacità telecinetiche, che erano capaci di deviare il corso di una ruota, di gettare un nemico nelle fauci di un Fungo Malevolo o di trasportare un uomo per otto chilometri facendolo passare illeso attraverso i muri di un palazzo.
I vertici del movimento dovevano essere informati. La situazione si stava mettendo male. Gli armonisti si erano astutamente insediati sul pianeta, pianeta che pullulava di telecinetici: due gravi minacce che avrebbero potuto vanificare il grande progetto di Vorst. Era ben vero che sulla Terra i vorsteriani continuavano a mietere successi, al punto da essere diventati i padroni del pianeta. Nei loro laboratori avevano condotto studi simulati sul prolungamento che dimostravano che era possibile vivere da trecento a quattrocento anni, senza sostituzione di organi, semplicemente grazie a un processo di rigenerazione cellulare interna: in poche parole erano riusciti ad ottenere l’immortalità. Ma l’immortalità era soltanto uno degli obiettivi di Vorst. L’altro era la conquista delle stelle.
E in questo settore gli armonisti avevano importantissime carte da giocare. Disponevano già di telecinetici capaci di fare miracoli. Ancora qualche decennio di esperimenti genetici e sarebbero stati in grado di inviare spedizioni su altri sistemi solari. Il fatto che fossero capaci di far percorrere a un uomo uno spazio di otto chilometri in totale sicurezza significava che per raggiungere Procione dovevano soltanto compiere un salto quantitativo, non qualitativo. Martell doveva assolutamente comunicare quelle informazioni ai suoi superiori. Santa Fe lo chiamava… quell’enorme distesa di edifici dove gli scienziati sminuzzavano i geni per poi ricomporli in condizioni ottimali, dove le famiglie di esperiani si sottoponevano a infinite serie di esami, dove gli uomini bionici facevano cose inimmaginabili.
Ma Martell non andò. Non gli sembrava necessario fare rapporto di persona. Un cubomessaggio sarebbe stato sufficiente. Ormai la terra era un mondo alieno per lui e non lo allettava per nulla l’idea di farvi ritorno. E poi rifiutava l’idea di affrontare di nuovo quel viaggio.
Grazie ai buoni uffici di Nat Weiner, Martell registrò un cubo e lo inviò a Kirby, presso il centro di ricerche di Santa Fe. In attesa di una sua risposta rimase all’ambasciata marziana. Aveva illustrato la situazione così come lui la percepiva, esprimendo la sua grande preoccupazione per i traguardi già raggiunti dagli armonisti e il suo timore che potessero conquistare le stelle prima di loro. Dopo un po’ ricevette la risposta di Kirby. Ringraziava Martell per le sue preziosissime informazioni e concludeva con un’osservazione rasserenante: gli armonisti, diceva, erano uomini. Nel caso fossero stati loro a raggiungere per primi le stelle, si sarebbe trattato comunque di una conquista fatta dagli uomini. Non vanto degli uni o degli altri, ma di tutti, perché avrebbe aperto una nuova, importantissima strada per tutta l’umanità. Fratello Martell riusciva a cogliere l’essenza di quel ragionamento, domandava Kirby?
Il vorsteriano si sentì mancare la terra sotto i piedi. Che cosa mai diceva Kirby? Così mezzi e fini si confondevano. Gli obiettivi perseguiti dalla Confraternita sarebbero stati considerati raggiunti anche se fossero stati gli eretici a conquistare l’universo? Profondamente turbato, indugiò di fronte all’altare improvvisato, che aveva allestito nella stanza che Weiner gli aveva messo a disposizione, cercando risposte a domande improponibili.
Alcuni giorni più tardi, Martell si presentò di nuovo al tempio degli armonisti.
sette
Martell e Christopher Mondschein stavano passeggiando lungo la sponda di un lago scintillante. Attraverso le nuvole filtravano i deboli raggi di un sole nascosto, che trasmettevano un pallido bagliore all’acqua-che-non-era-acqua. Tuttavia, non era quel rivolo di luce a far risplendere l’acqua, ma i celenterati luminosi che pullulavano sul fondale basso del lago: i loro tentacoli, mossi dalle correnti, emettevano una tenue radiazione verdastra.
Anche altre creature popolavano il bacino. Martell le vedeva scivolare sotto la superficie tremolante, costolate e scheletriche, dotate di pinne metalliche e di possenti mascelle. Di tanto in tanto, emergeva il grugno di una creatura scarna e di aspetto orribile, che sfrecciava sopra il pelo dell’acqua per una ventina di metri prima immergersi di nuovo. Dal cuore profondo del bacino spuntavano i sottili tentacoli di mostri che Martell non desiderava affatto a conoscere da vicino.
Mondschein disse: — Pensavo che non l’avrei mai più rivista.
— Quando sono uscito ad affrontare i venusiani?
— No. Dopo, quando si è nascosto all’ambasciata marziana. Credevo che avesse deciso di ritornare sulla Terra. Immagino che ormai abbia capito che quella di aprire un tempio vorsteriano su questo pianeta è un’impresa impossibile.