— Possiamo infiltrare qualcuno dei nostri — lo rassicurò Kirby. — Posso sistemare la cosa attraverso Nat Weiner. Piazziamo una bomba sulla cripta e consegniamo il signor Lazzaro al riposo eterno.
— No.
— No?
— Ovvio che no — rispose Vorst, abbassando le tapparelle che gli lubrificavano gli occhi. — A quella cripta e all’uomo che c’è dentro non deve succedere niente. Infiltreremo senz’altro alcuni dei nostri uomini, e per questo puoi far leva su Weiner. Ma non per distruggere, bensì per riportare Lazzaro in vita.
— Per… che cosa?!
— Un piccolo regalo ai nostri amici armonisti. Per dimostrare il nostro amore per i nostri fratelli nell’Unità.
— No — disse Kirby. I muscoli del suo volto scarno si contrassero e Vorst capì che stava controllando il suo tasso di adrenalina, nel tentativo di mantenere la calma di fronte a quell’oltraggio al suo senso della logica. — Quell’uomo è il profeta degli eretici — disse il Coordinatore con voce pacata. — So che hai le tue buone ragioni per incoraggiare la loro crescita in certi luoghi, Noel, ma restituirgli addirittura il loro profeta… Non ha senso.
Vorst pigiò un bottoncino sulla sua scrivania. Si aprì uno scomparto, dal quale il Fondatore estrasse il Libro di Lazzaro, il testo sacro degli armonisti. Kirby parve un po’ sorpreso nello scoprire che ne veniva conservata una copia lì, nella roccaforte del movimento.
— L’hai letto, non è vero? — gli domandò Vorst.
— Naturalmente.
— Una storia strappalacrime. Un uomo nobile e buono come Davide Lazzaro braccato e ucciso da monaci vorsteriani senza vergogna. Praticamente, uno degli atti più blasfemi di cui si siano macchiati gli uomini dopo la Crocefissione. Un’onta incancellabile per il nostro movimento. Nella storia di Lazzaro noi facciamo la parte dei cattivi. Ed ecco, invece, che dopo sessant’anni salta fuori su Marte questo Lazzaro in salamoia. Quindi, niente affatto annientato fisicamente, come narra la leggenda. Fantastico! Splendido! A partire da questo momento ci impegneremo con tutte le nostre risorse per riportarlo in vita! Il nostro sarà un grande gesto ecumenico. Come tu sai, io spero di poter riunire, un giorno, i rami separati del nostro movimento.
Gli occhi di Kirby si illuminarono. — Lo sostieni da sessanta o settant’anni, Noel. Da quando gli armonisti hanno fondato la loro organizzazione. Ma lo vuoi veramente?
— Io sono sempre sincero — rispose Vorst sorridendo. — Certo che voglio accoglierli di nuovo in seno alla religione-madre. Alle mie condizioni, si intende, ma per il resto sono i benvenuti. In fondo, pur percorrendo strade diverse, perseguiamo tutti gli stessi obiettivi. Tu hai conosciuto Lazzaro?
— No. Quando è morto non ero un membro importante della Confraternita.
— Già… dimenticavo. Non è facile per me collocare ciascuno di voi nella sua matrice temporale. In ogni caso, stavi cominciando a farti una posizione quando Lazzaro se ne andò. Io rispettavo quell’uomo, Kirby. E ho pianto quando è morto, anche se era in errore e si ostinava a non volerlo riconoscere. È anche per questo che intendo redimere la Confraternita dalla sua grave colpa, riportandolo in vita. Certo che ha proprio il nome giusto, non trovi?
Kirby prese un sfera metallica, una specie di fermacarte, appoggiata sulla scrivania e la rigirò fra le dita. Vorst attese. Teneva lì quella sfera affinché i suoi visitatori potessero servirsene per scaricare la tensione; sapeva che per molti presentarsi al suo cospetto era come salire sul Monte Sinai per ricevere le Tavole della Legge. Lo trovava gratificante e ne godette intimamente anche in quel momento, mentre osservava Reynolds Kirby alle prese con il suo dilemma interiore.
Dopo alcuni minuti, il Coordinatore dell’Emisfero, l’unico uomo sulla faccia della Terra che potesse rivolgersi al Fondatore chiamandolo per nome, sbottò: — Dannazione, Noel, a che gioco stai giocando?
— Quale gioco?
— Mi guardi con il sorriso sulle labbra e mi dici che hai intenzione di far resuscitare Lazzaro. Io capisco benissimo che stai giocando a biliardo con le parole e non ho la più pallida idea di quello che hai in mente. A che cosa miri? Non è mille volte meglio che quell’uomo sia morto e resti tale?
— No. Come morto rappresenta un simbolo. Come vivo può essere manipolato. Questo è tutto ciò che ho intenzione di dirti sull’argomento. — Gli occhi fiammeggianti del Fondatore incontrarono quelli perplessi di Kirby e li inchiodarono. — Pensi forse che io sia rimbambito? Che abbia rimuginato tutti questi anni sul mio progetto fino ad uscir di cervello? So quello che faccio. Ho bisogno di Lazzaro vivo… Altrimenti non mi sarei imbarcato in questa storia. Mettiti in contatto con Nat Weiner e impadronisciti di quella cripta. Come non mi interessa. Lavoreremo sul corpo di Lazzaro a Santa Fe.
— D’accordo, Noel. Come vuoi tu.
— Fidati di me.
— Che cos’altro posso fare?
Kirby uscì rapidamente dalla stanza. Vorst, rilassandosi, si iniettò una dose di ormoni e chiuse gli occhi. Il mondo vacillò. Per un attimo si sentì trasportare dal flusso dei ricordi e all’improvviso fu di nuovo il 2071, l’anno in cui aveva cominciato a costruire reattori al cobalto in un sordido scantinato e ad affittare stanze nei palazzoni di New York da adibire a templi. Rifuggì da quel ricordo e fu scagliato in avanti, verso il confine del presente e anche un po’ oltre. Vorst possedeva facoltà esperiane molto modeste, ma, di tanto in tanto, la sua mente era capace di strane cose. Quella volta lo condusse sull’orlo del futuro e lui vi si ancorò disperatamente.
Con un colpo deciso delle dita, il Fondatore accese il comunicatore e, senza presentarsi, parlò brevemente con un internista del reparto ospedaliero riservato agli esperiani. Sì, gli rispose il medico, c’era un’esperiana in preda a una crisi così intensa che le sue probabilità di sopravvivenza erano pressoché nulle.
— Preparatela — disse Vorst. — Il Fondatore verrà a visitarla.
Vorst fu immediatamente circondato dai suoi assistenti, che lo prepararono per il viaggio. Il vecchio uomo si rifiutava di accettare l’immobilità e si ostinava a condurre una vita il più possibile attiva. Un pozzo di gravità lo condusse al pian terreno. Quindi, protetto da un corteo di lacché che lo accompagnavano ovunque, attraversò la piazza principale della cittadella di Santa Fe ed entrò nell’ospedale.
Cinque o sei esperiani, segregati in stanze circondate da possenti mura e protetti da membri della loro specie, versavano in fin di vita. C’era sempre chi veniva sopraffatto e distrutto dai propri poteri. Era di questi esperiani che, fin dall’inizio, Vorst si era occupato maggiormente, facendo ogni possibile tentativo per strapparli alla morte; perché era soprattutto di loro che aveva bisogno. Negli ultimi tempi il loro tasso di sopravvivenza era decisamente aumentato, ma non abbastanza.
Vorst sapeva perché alcuni esperiani si esaurivano come pile. Capitava a quelli che non riuscivano a restare saldamente ancorati nel tempo: incapaci di controllare i propri movimenti, oscillavano senza sosta fra passato e presente, sviluppando una tale carica di forza temporale che finiva per annientare la loro mente. Era una sorta di stordimento temporale, una vertigine mentale. Anche a lui erano capitati fenomeni di quel genere. Per un decennio, quasi un secolo prima, aveva pensato di essere impazzito, fino a quando aveva capito. Aveva raggiunto i confini del tempo, aveva avuto una visione del futuro che lo aveva annientato e poi ricreato: ma quello che era accaduto a lui non era che un’infima parte di ciò che sperimentavano i veri esperiani.
Il caso di esaurimento per il quale Vorst si era precipitato all’ospedale riguardava un soggetto di sesso femminile, giovane e di origine orientale: una combinazione fatale, a quanto sembrava. Nell’ottanta per cento dei casi il fenomeno colpiva esperiane di razza mongola, generalmente ragazze adolescenti. Era raro che riuscissero a raggiungere l’età adulta. Questa, in particolare, doveva avere all’incirca sedici anni, anche se era difficile a dirsi: avrebbe potuto avere una età qualsiasi, compresa fra i dodici e i venticinque anni. Quando Vorst arrivò al suo capezzale, si stava contorcendo sul letto, il corpo quasi nudo, le unghie affondate nelle coperte. Sulla sua fronte marroncina luccicava un velo di sudore. A un tratto, inarcò la schiena e contrasse il viso in una smorfia. Poi ricadde sul materasso. I suoi seni, che si intravvedevano attraverso la veste discinta, erano quelli di una bambina.