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Poi, un giorno del 2090, un gruppo di uomini vestiti d’azzurro si erano presentati al tempio e, dopo aver neutralizzato gli esperiani di guardia, lo avevano portato via con la stessa facilità con cui avrebbero sottratto un pezzo di piombo. Il suo rapimento era l’ultima cosa che ricordava, poi più nulla, fino al giorno in cui si era risvegliato a Santa Fe e aveva appreso che era l’anno 2152 e che i suoi seguaci avevano conquistato Venere.

— Vi sottoporrete all’intervento di adattamento? — gli domandò Mondschein.

— Non ne sono ancora sicuro. Ci sto pensando.

— Sarà difficile per voi operare su Venere nel vostro attuale stato.

— Forse potrei continuare a vivere sulla Terra — suggerì Lazzaro.

— Impossibile. Qui non avete un centro di potere e non credo che Vorst vi dimostrerà oltre la sua generosità. Non penso che tollererà la vostra presenza qui una volta che si sia spento l’entusiasmo per il vostro ritorno.

— Hai ragione — riconobbe Lazzaro con un sospiro. — Allora, mi sottoporrò all’intervento e poi vi seguirò su Venere per vedere che cosa avete costruito.

— Ne rimarrete piacevolmente sorpreso — promise Mondschein.

Sorpreso Lazzaro lo era rimasto già abbastanza per il fatto di essere resuscitato. Mondschein e Neerol se ne andarono. Rimasto solo, Lazzaro studiò le scritture sacre degli armonisti e restò affascinato dal ruolo di martire che gli avevano attribuito. Poi, leggendo un libro di storia armonista, comprese l’importanza che rivestiva la sua figura: laddove l’immaginario dei fedeli vorsteriani si cristallizzava attorno alla persona lontana e inaccessibile di Vorst, gli armonisti potevano venerare serenamente il loro martire buono. Quanti problemi deve aver creato loro la mia resurrezione, pensò Lazzaro.

Vorst non andò mai a fargli visita durante la sua degenza nell’ospedale della Confraternita. Andò invece a trovarlo un uomo di nome Kirby, con il viso pietrificato dalla vecchiaia, che si presentò come Coordinatore dell’Emisfero e come il più stretto collaboratore di Vorst.

— Entrai nella Confraternita prima che voi l’abbandonaste — disse Kirby. — Avete mai sentito parlare di me?

— Non mi sembra.

— Non rivestivo alcuna carica importante allora, perciò non c’era ragione per cui doveste conoscermi. Ma contavo sul fatto che mi avreste riconosciuto se ci fossimo già incontrati. La mia memoria deve fare i conti con i ricordi di decine e decine di anni, la vostra, invece, è ferma a più di mezzo secolo fa.

— La mia memoria funziona benissimo — replicò Lazzaro con voce pacata. — Non mi ricordo di lei.

— Né io di voi.

Lazzaro scrollò le spalle. — Lavoravo al fianco di Vorst e discutevo con lui. Su questo non ci sono dubbi. Alla fine me ne andai e fondai il movimento armonista. Poi, un giorno scomparvi… E adesso eccomi di nuovo qui. Nutre qualche perplessità sulla mia storia?

— No… Forse qualcuno ha manipolato la mia memoria — disse Kirby. — Vorrei ricordarmi di voi.

Lazzaro si distese sul letto e fissò le pareti verdi e gommose. Gli strumenti, che monitoravano i suoi processi vitali, ronzavano e ticchettavano. C’era un odore acre nell’aria: asepsi in corso. Kirby sembrava una creatura irreale. Lazzaro non poté fare a meno di domandarsi quale intrico di pompe e di sostegni tenessero insieme il suo corpo, sotto la stoffa pesante e calda della sua veste azzurra.

— Voi comprenderete che non potete restare sulla Terra — disse Kirby.

— Certo.

— E per vivere su Venere dovrete sottoporvi a un intervento di adattamento. A questo provvederemo noi. I vostri uomini potranno assistere all’operazione. Ne ho già parlato con Mondschein. Che cosa ne pensate?

— Sono d’accordo — rispose Lazzaro. — Operatemi.

L’intervento ebbe luogo il giorno seguente. A Lazzaro seccava che all’evento fosse data risonanza pubblica; del resto, dal momento stesso in cui era riemerso dal suo sonno decennale, non possedeva più una vita privata, e così sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni. Era inutile illudersi del contrario. Ci sarebbero volute alcune settimane per completare la sua trasformazione. Una volta erano necessari mesi. Lo avrebbero dotato di branchie, messo in condizione di respirare quel miscuglio di gas velenosi che era l’atmosfera di Venere e poi lo avrebbero lasciato andare. Lazzaro accettò. I chirurghi lo sezionarono, lo ricucirono e lo prepararono per il viaggio.

Vorst venne a salutarlo. Nonostante la voce fioca e il corpo rinsecchito era ancora una figura imponente e autorevole. — Devi sapere che io non ebbi nulla a che vedere con il tuo rapimento. Fu opera di alcuni fanatici… che agirono a mia insaputa.

— Naturalmente.

— Io apprezzo il fatto che altri abbiano idee diverse dalle mie. Non è detto che la strada che io percorro sia l’unica giusta. Da molti anni sento la mancanza di un rapporto dialettico con Venere. Una volta che sarai ritornato in mezzo ai tuoi, confido molto nella tua disponibilità al dialogo.

— La mia porta resterà sempre aperta, Vorst — rispose Lazzaro. — Tu mi hai dato la vita. Ascolterò con piacere ciò che avrai da dirmi. Non c’è ragione per cui non possiamo collaborare, fino a quando ciascuno rispetterà la sfera degli interessi dell’altro.

— Proprio così! Dopo tutto, noi perseguiamo gli stessi obiettivi. Potremmo unire le nostre forze.

— Non precorriamo i tempi — ammonì Lazzaro.

— D’accordo. Senza fretta, ma anche con il cuore. — Vorst sorrise e se ne andò.

I chirurghi completarono la loro opera. Lazzaro, non più terrestre ora, partì alla volta di Venere con Mondschein e il resto del seguito armonista. Il suo fu un trionfale ritorno a casa, ammesso che di ritorno a casa si potesse parlare per una persona che arrivava in un luogo mai visto prima.

Confratelli dalla carnagione azzurrognola e dalla veste verde lo accolsero calorosamente. Lazzaro visitò i templi e vide le icone sacre al suo ordine. Avevano sviluppato la dimensione spirituale del movimento più di quanto avesse previsto, in pratica facendo di lui un dio, ma non aveva intenzione di modificare nulla. Sapeva quanto fosse precaria la sua posizione. C’erano uomini di consolidato potere all’interno dell’organizzazione che non vedevano di buon occhio il ritorno del profeta, e che, con ogni probabilità, sarebbero stati pronti a martirizzarlo per la seconda, e ultima, volta se avesse osato sovvertire gli equilibri. Lazzaro decise di agire con prudenza.

— Abbiamo fatto grandi progressi con gli esperiani — lo informò Mondschein. — Per quanto ne sappiamo, siamo molto più avanti di Vorst in questo campo.

— Avete già sviluppato la telecinesi?

— Da vent’anni. E la stiamo perfezionando. La prossima generazione…

— Mi piacerebbe vederne un saggio.

— Avevamo già previsto una breve dimostrazione illustrativa.

Gli mostrarono di che cosa fossero capaci: di penetrare all’interno di un ceppo di legno e di farne danzare le molecole fino ad incendiarsi; di spostare un masso sollevandolo in aria; di passare rapidamente da un luogo all’altro. Sì, era davvero impressionante, una vera sfida all’intelligenza umana. E, senza dubbio, in questo superavano di gran lunga i vorsteriani.

Gli esperiani si esibirono davanti a Lazzaro per ore e ore. Mondschein, sereno e affabile, era visibilmente compiaciuto e parlava di soglie, di levitazione, di impeto telecinetico, di fulcri di unità e di altri argomenti che lasciarono Lazzaro perplesso ed entusiasta al tempo stesso.

Colui che era ritornato dai morti indicò la coltre di nuvole grigie che nascondevano il cielo.

— Fra quanto? — domandò.

— Non siamo ancora pronti per il trasporto interstellare — rispose Mondschein. — È nemmeno per quello interplanetario, anche se, in teoria, l’uno non dovrebbe porre problemi maggiori dell’altro. Ci stiamo lavorando. Dateci un po’ di tempo. Ci riusciremo.