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— Potremmo farlo con l’aiuto di Vorst? — domandò Lazzaro.

Mondschein si sentì ferito nell’orgoglio. — Che genere di aiuto potrebbe darci? Vi ho già spiegato che noi siamo una generazione avanti rispetto ai loro esperiani.

— Ma bastano i poteri degli esperiani? Forse Vorst potrebbe fornirci ciò che ci manca. Potremmo lanciare una specie di joint venture con i vorsteriani. Non pensa che valga la pena prendere in considerazione anche quest’ipotesi, fratello Christopher?

Mondschein gli rispose con un blando sorriso. — Sì, sì, naturalmente. Certo che ne vale la pena. È una soluzione alla quale non avevamo pensato, lo ammetto, ma voi ci aiutate a vedere i problemi da un nuovo punto di vista. Mi piacerebbe approfondire questo discorso fra qualche tempo, quando vi sarete ambientato sul nostro pianeta.

Lazzaro ascoltò con indulgenza la lunga risposta di Mondschein. Era stato assente per molti anni, ma non così tanti da aver dimenticato come si leggono i significati fra le righe.

Capiva benissimo quando veniva trattato con condiscendenza.

nove

Una volta partita la delegazione di armonisti, la vita a Santa Fe ritornò alla normalità. Lazzaro era risorto e se ne era andato libero per il mondo, i giornalisti della televisione avevano fatto fagotto e gli scienziati avevano ripreso a fare esperimenti e a sondare i misteri ultimi della vita e della mente umana.

— Noel, ma è mai veramente esistito un Davide Lazzaro? — domandò Kirby.

Vorst gli lanciò un’occhiata torva dal bozzolo termoplastico in cui si trovava. Non appena avevano concluso l’intervento su Lazzaro, i chirurghi erano dovuti accorrere al capezzale del Fondatore, colpito da un aneurisma a un’arteria già due volte ricostruita.

Alcuni sensori avevano evidenziato l’area affetta e cucchiai sottocutanei l’avevano esposta: i medici avevano applicato alcuni micronastri e la pericolosa bolla era stata sostituita da una rete di filo e polimeri. Non era la prima volta che Vorst si sottoponeva a una simile operazione.

— Lo hai visto con i tuoi occhi, Kirby — rispose.

— Io ho visto una creatura che è uscita da una tomba, che cammina e parla come un essere raziocinante. Ho anche conversato con lei e l’ho vista trasformata in un venusiano, ma questo non significa che fosse reale. Se tu volessi, potresti crearlo dal nulla un Davide Lazzaro, non è vero, Noel?

— Se volessi. Ma perché dovrei volere una cosa simile?

— È evidente. Per assumere il controllo degli armonisti.

— Se questa fosse stata la mia intenzione — rispose pazientemente Vorst — avrei provveduto cinquanta anni fa, prima che conquistassero Venere. E invece ho lasciato che si espandessero. Quel giovanotto, Mondschein, ne ha fatta di strada.

— Non è un giovanotto. Avrà almeno ottant’anni.

— Un bambino.

— Vuoi rispondere alla mia domanda? Il Lazzaro che è risorto nei nostri laboratori è autentico o no?

Vorst sbatté gli occhi visibilmente irritato. — Sì, Kirby, è autentico. Contento?

— Chi l’ha sepolto in quella cripta?

— I suoi seguaci, suppongo.

— Che poi si sarebbero dimenticati di averlo fatto?

— Be’, allora, forse sono stati i miei uomini. Ma hanno agito senza autorizzazione, a mia insaputa. È accaduto molto tempo fa. — Le mani di Vorst si muovevano in fretta, come se fosse agitato. — Come puoi pretendere che mi ricordi tutto? L’hanno trovato, noi lo abbiamo resuscitato e restituito alla sua gente. Mi stai seccando, Kirby.

Kirby si rese conto di camminare su un campo minato. Vorst era giunto al limite della sopportazione e insistere su quell’argomento avrebbe potuto comportare conseguenze disastrose. Altri uomini, in passato, avevano approfittato troppo della loro intimità con Vorst e, a poco a poco, i loro rapporti con il Fondatore si erano raffreddati.

— Scusami — disse Kirby.

Il malumore di Vorst svanì. — Tu mi credi molto più ambiguo di quanto non sia, Ron. Smettila di preoccuparti del passato di Lazzaro. Pensa al futuro. L’ho restituito agli armonisti. È un dono prezioso quello che ho fatto ai suoi seguaci, che se ne rendano conto oppure no. E adesso loro sono in debito verso di me. È come se mi avessero firmato una cambiale in bianco. Non pensi che ci sarà utile? A tempo debito mi presenterò per incassare ciò che mi devono.

Kirby non fece commenti. Intuiva che Vorst era riuscito ad alterare gli equilibri di potere fra i due movimenti, a mettere in ginocchio gli armonisti che, dopo la conquista di Venere, con la sua ricca vena di esperiani, si erano sensibilmente rafforzati. Non gli era chiaro, però, come ci fosse riuscito, ma fare ulteriori tentativi per capire non gli interessava.

Vorst stava parlando attraverso il comunicatore. Sollevò lo sguardo sul suo braccio destro.

— C’è un altro esperiano in fase terminale — disse. — Voglio andare al suo capezzale. Vieni con me, sì?

— Certamente — rispose Kirby.

Accompagnò il Fondatore attraverso il labirinto di corridoi che conducevano al reparto esperiani dell’ospedale del Centro. Si trattava di un ragazzo, questa volta. Il corpo del giovane, forse un hawaiano, si muoveva a scatti sul letto, come se fosse legato da corde che lo strattonavano ora da una parte ora dall’altra.

— È un peccato che tu non possieda poteri di percezione extra-sensoriale, Kirby — disse Vorst. — Potresti avere qualche visione del futuro.

— Sono troppo vecchio per rimpiangerlo adesso — replicò il Coordinatore.

Vorst si avvicinò al letto sulla sua sedia a rotelle e fece cenno a un esperiano di raggiungerlo. Allacciarono le mani, stabilendo il contatto. Kirby osservò la scena. Che cosa stava provando Vorst in quel momento? Ogni volta il corpo del ragazzo si contraeva, le sue labbra si raggrinzavano, si storcevano, quasi, in una smorfia di scherno, scoprendo le gengive. Si diceva che durante quelle crisi, che precedevano la morte, gli esperiani viaggiassero nel tempo. Per Kirby non significava niente. In quel momento Vorst stava viaggiando insieme al ragazzo, e questo gli permetteva di catturare un’immagine confusa del mondo oltre i confini del tempo.

Presente… presente… passato… futuro.

Per un istante Kirby ebbe la sensazione di essere entrato anche lui in contatto con l’esperiano e di essersi unito come terzo passeggero al suo viaggio nel tempo. Che cos’era quella confusione che adombrava il passato? E quella luce dorata che illuminava il futuro? Maledetto farabutto, che cosa mi hai fatto?… Lazzaro che si impone al di sopra di tutto, Lazzaro che non era nemmeno reale, ma un androide costruito in un laboratorio sotterraneo per ordine di Vorst, una marionetta nelle sue mani… Lazzaro che si era impadronito del futuro e lo sottraeva…

Il contatto si interruppe. Il ragazzo era morto.

— Ne abbiamo perso un altro — borbottò Vorst. Poi guardò Kirby. — Ti senti male? — domandò.

— No, sono solo stanco.

— Risposati, allora. Sei bobine di storia e poi una bella siesta nella vasca del rilassamento. Possiamo distenderci adesso. Lazzaro è un problema risolto.

Kirby annuì. Un addetto coprì il corpo del ragazzo con un lenzuolo. Nel giro di un’ora i neuroni del giovane esperiano sarebbero stai messi a congelare in una cella frigorifera nel palazzo vicino. Camminando lentamente, come se non cento, ma ottocento primavere gravassero sulle sue spalle, Kirby seguì Vorst fuori dalla stanza. Era calata la sera e, come sempre, nel cielo del Nuovo Messico le stelle brillavano di una luce particolarmente intensa; bassa, sopra le montagne, all’orizzonte, Venere splendeva più di tutte. Gli eretici avevano il loro Lazzaro lassù. Avevano perso un martire e avevano guadagnato un profeta. Ma, senza accorgersene — lui stesso cominciava a rendersene conto soltanto adesso — erano già finiti tutti quanti nel sacco di Vorst. Quel vecchiaccio era odioso. Kirby si raggomitolò sotto la spessa veste azzurra e, faticando un po’ nel tenere il passo, seguì il Fondatore, che faceva ritorno nel suo ufficio. Quel breve, inspiegabile contatto con l’esperiano gli aveva procurato il mal di testa. Ma dopo dieci minuti, Ron Kirby si sentiva già meglio.