— E allora perché ci ostiniamo a crearli qui sulla Terra?
— Per forza di inerzia. Perché in questi cento anni la grande macchina della Confraternita non ha mai rallentato un solo istante. Non voglio precludermi nessuna strada, in questo momento. Neanche quelle che quasi sicuramente sono vicoli ciechi.
Kirby scrollò le spalle. Nonostante tutto il potere che deteneva da anni all’interno dell’organizzazione (e il suo potere era immenso) non aveva mai avuto la sensazione di prendere qualche vera iniziativa. Tutti i progetti riguardanti il movimento erano sempre stati concepiti e decisi da Noel Vorst. Lui e soltanto lui sapeva a quale gioco stesse giocando. E se Vorst fosse morto quel pomeriggio, con la partita ancora aperta? Che cosa ne sarebbe stato del movimento? La grande macchina avrebbe proseguito la sua corsa per forza di inerzia? Ma per finire dove, si domandò Kirby?
Varcarono l’ingresso di un piccolo edificio di schiumavetro irradiato, di colore verde. Li precedevano esclamazioni soffocate di riverente stupore: stava arrivando Vorst! Alcuni uomini, avvolti in tuniche azzurre, gli andarono incontro per salutarlo. Lo condussero alla stanza sul retro in cui era rinchiuso il paziente. Kirby lo seguiva a ruota, incurante degli accoliti pronti ad afferrarlo nel caso avesse inciampato.
Il ragazzo era seduto su una sedia, legato da bende di contenzione. Non era una bella vista. Tredici anni, alto all’incirca un metro, il ragazzo presentava orribili deformità; era gobbo, sciancato, sordo, aveva la cornea opaca e la pelle granulosa e zigrinata. Un mutante, anche se non era stato prodotto in laboratorio. Il poveretto era affetto da gargoilismo, o sindrome di Hurler, una malattia congenita del metabolismo, scoperta due secoli e mezzo prima. Gli sfortunati genitori del ragazzo lo avevano portato in un tempio della Confraternita di Stoccolma, nella speranza che un bagno nel Fuoco Azzurro del reattore al cobalto potesse guarirlo. Naturalmente il ragazzo non era affatto guarito, ma un esperiano, presente in chiesa, aveva percepito in lui alcune doti nascoste e, grazie al suo interessamento, era stato condotto a Santa Fe. Kirby ebbe un moto di repulsione e rabbrividì.
— Qual è la causa di questa malattia? — domandò al medico al suo fianco.
— Un’anomalia genetica, che provoca un disordine metabolico a causa del quale si verifica un accumulo di mucopolisaccaridi nei tessuti dell’organismo.
Kirby annuì gravemente. — E si ipotizza che possa esistere un legame diretto fra questa malattia e i poteri paranormali?
— No, si tratta di una semplice coincidenza — rispose il medico.
Vorst si era avvicinato alla creatura per poter studiarla meglio. I occhi-persiana scattavano ritmicamente, mentre lo scrutava. Il ragazzo aveva una tale gobba ed era così curvo che era praticamente incapace di muoversi. I suoi occhi lattei esprimevano pura sofferenza. Un malato da eutanasia, pensò Kirby. E Vorst che sperava che un simile mostro potesse portarlo sulle stelle!
— Iniziate l’esame — mormorò il Fondatore.
Si fecero avanti due esperiani generici: una giovane donna, piuttosto sexy, con i capelli crespi e un uomo grasso, con la faccia triste. Kirby, che non possedeva il benché minimo potere di percezione extrasensoriale, assistette senza proferir verbo alla loro muta indagine. Che cosa stavano facendo? Quali frecce stavano scagliando contro quel povero disgraziato? Non ne aveva la più pallida idea, ma si consolava pensando che probabilmente non lo sapeva nemmeno Vorst. Neanche lui valeva un gran che come esperiano.
Trascorsero dieci minuti. Poi la ragazza sollevò lo sguardo e disse: — Fondamentalmente un modesto incendiario.
— È capace di far muovere le molecole? — intervenne Vorst. — Allora possiede un minimo di capacità telecinetiche.
— Scarsissime — decretò il secondo esperiano. — Non più di molti altri. Possiede anche modeste capacità di comunicazione. Ci sta chiedendo di sopprimerlo.
— Suggerisco la dissezione — disse la ragazza. — Non dobbiamo preoccuparci per lui. A lui non importa.
Kirby rabbrividì. Quei due blandi esperiani avevano sondato la mente di quel disgraziato e questo da solo sarebbe dovuto bastare a far inaridire la loro anima. Provare, nell’immedesimazione di pochi istanti, quello che significava avere tredici anni ed essere distrofico e vedere il mondo con quegli occhi opachi…! Ma quei due pensavano soltanto all’aspetto scientifico della faccenda. Del resto non era la prima volta che si confrontavano con una creatura così mostruosa.
Vorst fece un segno di diniego con la mano. — Risparmiatelo per altri studi. Forse, un giorno, ci potrà essere utile. Se ha davvero abitudini incendiarie, prendete le solite precauzioni.
Detto ciò, il Fondatore ruotò su se stesso e si avviò verso l’uscita del reparto. In quello stesso momento stava arrivando di corsa un accolito con un messaggio. Alla vista inattesa di Vorst, che avanzava nella sua direzione, in rotta di collisione, si paralizzò. Sorridendo paternamente, Vorst manovrò la sedia in modo da evitarlo.
— Un messaggio per lei, coordinatore Kirby — disse l’accolito, visibilmente sollevato.
Kirby prese la lettera e premette il pollice contro il sigillo. La busta si aprì.
Il messaggio era di Mondschein e recava un importante annuncio: — LAZZARO È PRONTO A INCONTRARE VORST.
tre
— Ero come impazzito, sai. Ed è durato qualcosa come dieci anni. Poi scoprii di che cosa si trattava. La mia mente fluttuava nel tempo.
La giovane esperiana lo fissava con gli occhi sgranati. Erano da soli, nei quartieri privati del Fondatore. Era una ragazza magra e flessuosa; ciocche di capelli leggeri le pendevano come ciuffi di paglia dipinta lungo le guance. Delphine, così si chiamava l’esperiana, aveva trent’anni ed era al servizio di Vorst da alcuni mesi. Ciononostante non si era ancora abituata ai suoi modi franchi. Del resto, non ne aveva nemmeno avuto la possibilità: quando lasciava il suo ufficio, dopo ogni seduta, altri esperiani provvedevano a cancellare dalla sua memoria ogni ricordo della sua visita.
— Desiderate che mi metta al lavoro?
— Non ancora, Delphine. ti è mai capitato di pensare di essere pazza? Nei momenti più difficili, quando la tua mente comincia a fluttuare nel tempo e temi di non riuscire più ad ancorarti al presente?
— Sì, a volte c’è da avere paura.
— Ma alla fine ci riesci. È questa la cosa miracolosa. Lo sai quanti esperiani ho visto morire sotto i miei occhi? — le domandò Vorst. — Centinaia. Anch’io sarei già morto a quest’ora se non fosse che sono uno schifoso preveggente. Però una volta non riuscivo a controllarmi e continuavo a fluttuare nel tempo. Ho visto la Confraternita crescere sotto la mia guida. Chiamala una visione, chiamalo un sogno. Tutto sfocato ai margini.
— Come avete raccontato nel vostro libro?
— Più o meno — rispose il Fondatore. — Gli anni fra il 2055 e il 2063 furono gli anni in cui ebbi le visioni più brutte. Avevo trentacinque anni quando iniziarono a manifestarsi. Ero un tecnico qualsiasi, non ero nessuno. Poi, un giorno ebbi quella che può essere definita un’ispirazione divina, anche se, in realtà, fu una fugace visione del mio futuro. Credevo di impazzire. Più tardi capii.
L’esperiana lo ascoltava in silenzio. Vorst chiuse gli occhi. I ricordi ardevano nella sua mente; dopo anni di confusione interiore era uscito purificato dalla prova di fuoco della pazzia, purificato e consapevole del futuro che l’attendeva. Si rese conto di come avrebbe potuto cambiare il mondo. Anzi, di come aveva cambiato il mondo. Dopodiché, fu solo questione di mettersi all’opera, di aprire i primi templi, di concepire i rituali del culto, di circondarsi dei talenti scientifici di cui aveva bisogno per realizzare i suoi obbiettivi. Che fosse un po’ paranoico? Che in lui ci fosse un pizzico di Hitler, una punta di Napoleone, un tocco di Gengis Khan? Forse. Vorst si considerava un fanatico e anche un megalomane, e in fondo se ne compiaceva. Ma un megalomane freddo, razionale, e vincente. Non si era mai fermato di fronte a nulla pur di raggiungere i suoi scopi e, grazie ai suoi, seppur modesti, poteri di preveggenza, sapeva che ci sarebbe riuscito.