— Quella di cambiare il mondo è una grande responsabilità che un uomo si assume — riprese il Fondatore. Un uomo dev’essere un po’ pazzo per gettarsi in un’impresa simile e anche solo per pensarci. Ma è di grande aiuto sapere in anticipo quale dovrà essere il risultato finale. Uno non si sente così idiota, sapendo che sta miniando l’inevitabile.
— In questo modo, però, la vita si appiattisce, perde mordente.
— Ah, Delphine, tu hai messo il dito nella piaga! Ma, ovviamente tu lo sai meglio di me. Come è triste recitare la commedia che tu stesso hai scritto e di cui conosci già la trama. Per lo meno io ho sempre avuto un piccolo margine di incertezza riguardo alle piccole cose. Io, da solo, non sono in grado di vedere: ho bisogno di farmi rimorchiare da voi, che viaggiate nel tempo e, nonostante ciò, non sempre le mie visioni sono chiare. Tu, invece, vedi tutto con chiarezza, vero Delphine? Tu hai visto i confini del tuo mondo. Hai visto anche la tua morte?
Le guance dell’esperiana si imporporarono. La ragazza abbassò gli occhi e non rispose.
— Scusami — disse Vorst. — Non avevo alcun diritto di chiedertelo. Ritiro tutto. Mettiti al lavoro per me, Delphine. Inizia il tuo viaggio e portami con te. Ho parlato anche troppo per oggi.
La ragazza si apprestò timidamente a sostenere la grande fatica alla quale il suo signore la chiamava. Era una delle esperiane dotate di maggiore autocontrollo. Mentre quasi tutti i preveggenti finivano per perdere contatto con il presente e andare alla deriva, lei era sempre rimasta saldamente attaccata alla propria matrice temporale, riuscendo a sopravvivere fino a un’età molto avanzata, rispetto alla inedia dei suoi simili. Un giorno, però, anche lei sarebbe morta. Ma fino ad allora, Delphine era stata di importanza incalcolabile per Vorst, la sua sfera di cristallo, la bussola che più di qualsiasi altra lo aveva aiutato a mantenere la rotta. E, se solo avesse resistito ancora un poco, fino a quando, superati gli ultimi ostacoli, lui avesse condotto la sua nave in porto, il loro lungo viaggio sarebbe finito e si sarebbero potuti riposare entrambi.
Delphine allentò la presa sul presente e iniziò a vagare in quel regno in cui tutti i momenti sono adesso.
Vorst la osservò e attese immobile fino a quando sentì che la ragazza lo stava trasportando con sé nel suo viaggio. Non poteva iniziare il viaggio da solo, ma poteva seguirla. Era immerso nella nebbia e, come gli era capitato tante volte prima di allora, si sentì trascinare da un moto vorticoso… Si vide, qui, lì, là e vide altre persone, figure-ombra, figure di sogno, appostate furtivamente dietro le tende del tempo.
Lazzaro? Sì, c’era anche Lazzaro. E anche Kirby, Mondschein, tutti, tutte le pedine schierate sulla scacchiera. Vorst ebbe una visione fugace di un mondo sconosciuto: il suo sguardo si posò su un paesaggio che non apparteneva alla Terra, né a Marte, né a Venere. Tremò. Sollevò gli occhi su un albero alto tre chilometri, con una corona di foglie azzurre che si stagliavano contro il cielo nebuloso. Poi, all’improvviso, fu strappato da quel luogo e scagliato in mezzo a una strada di città, caotica, puzzolente e battuta dalla pioggia, di fronte a uno dei primi templi della Confraternita. Il palazzo stava bruciando sotto la pioggia e l’odore del legno arso e bagnato gli ferì le narici. Poi si vide mentre sorrideva alla faccia annerita di Kirby, che lo fissava sbalordito. E poi…
A un tratto la sensazione del moto cessò. Vorst scivolò di nuovo nella propria matrice temporale e regolò prontamente il tasso di adrenalina nel sangue, per compensare lo sforzo. Delphine giaceva riversa sulla sedia, stordita, il volto imperlato di sudore. Vorst chiamò un accolito.
— Portala in reparto — ordinò. — E di’ ai medici di prendersi cura di lei fino a quando non avrà riacquistato le forze.
L’accolito annuì con il capo e prese in braccio la ragazza. Vorst rimase immobile fino a quando non furono usciti. Era soddisfatto di quella seduta. Aveva avuto la conferma che la strada che aveva, intuitivamente, imboccato era giusta, e questo era sempre confortante. Accese il comunicatore. — Mandatemi Capodimonte — disse.
Pochi minuti dopo si stagliò sulla soglia della stanza la figura traccagnotta del monaco. Quando Vorst era a Santa Fe, nessuno perdeva tempo quando veniva convocato nei suoi quartieri. Capodimonte era il Supervisore del Distretto di Santa Fe e, in assenza di Vorst o di Kirby, dirigeva lui il centro di ricerca. Era un uomo flemmatico, leale ed efficiente. Vorst si fidava di lui al punto di assegnargli incarichi molto delicati. Si scambiarono, rapide, distratte benedizioni.
Poi Vorst disse: — Capo, quanto tempo pensi che ti occorra per selezionare il personale per una spedizione interstellare?
— Una spedizione inter…
— Con partenza, diciamo, fra tre o quattro mesi. Va in archivio, scegli alcuni specialisti, poi forma alcuni equipaggi.
Capodimonte aveva subito riacquistato la padronanza di sé. — Equipaggi di quanti uomini?
— Variabili. Da due a una dozzina. Comincia con una coppia uomo-donna e arriva fino a, diciamo, sei coppie. Che siano perfettamente assortite per salute, capacità di adattamento, compatibilita di carattere, capacità tecniche e fertilità.
— Esperiani?
— Sì, ma con cautela. Eventualmente includi una coppia di empatici e una di guaritori. Ma nessuno straniero. E ricorda che queste persone saranno destinate a fare i pionieri. Quindi dovranno essere flessibili. Per questo viaggio possiamo fare a meno di geni. È tutto chiaro?
— Una volta compilati gli elenchi desiderate che faccia rapporto a voi o a Kirby?
— A me, Capo. Anzi, non voglio che tu faccia parola di questa faccenda a nessuno, nemmeno a Kirby. Non so che genere di spedizione sarà, perciò voglio avere a disposizione equipaggi perfettamente autosufficienti di qualsiasi livello: di due, quattro, sei persone, a seconda delle necessità. Prenditi due o tre giorni di tempo. Quando avrai finito incarica cinque o sei dei tuoi uomini migliori di studiare gli aspetti logistici della missione. Parti dal presupposto che utilizziremo una nave ad alimentazione esperiana ed esamina i progetti che sono già stati studiati in passato. Sono decenni che lavoriamo attorno a questa idea, perciò dovremmo avere un intero arsenale pieno di piani. Studiali tutti. Questa sarà la tua creatura, Capo.
— Signore? Posso farvi una domanda sovversiva?
— Prego.
— Si tratta di una semplice esercitazione o di organizzare una spedizione vera e propria?
— Non lo so — rispose Vorst.
quattro
Il viso azzurro di un venusiano si affacciò allo schermo. Era alieno e ostile, ma la forma del cranio, la foggia delle labbra e il profilo del mento, tradivano le sue origini terrestri. Il viso era quello di Davide Lazzaro, l’ispiratore e attuale massima autorità del movimento religioso dell’Armonia Trascendente. Vorst aveva conferito più volte con lui, da quando era risorto, dodici anni prima. E, in ogni circostanza, i due profeti si erano concessi il lusso di un completo contatto visivo. Il costo della trasmissione non solo delle voci, ma anche delle immagini, fra i due pianeti era elevatissimo, ma nessuno dei due si faceva scrupoli al riguardo. Vorst insisteva. Gli piaceva vedere il viso alterato di Lazzaro mentre parlavano. Gli offriva qualcosa su cui concentrarsi durante le lunghe pause di silenzio durante la trasmissione dei messaggi. Nonostante viaggiassero alla velocità della luce, era necessario parecchio tempo per convogliare le frasi da un pianeta all’altro. Un semplice scambio di opinioni li impegnava per più di un’ora.