Il bagliore del Fuoco Azzurro era il segnale convenuto. Adesso toccava ai ragazzi venusiani far appello ai loro poteri telecinetici e scagliare la capsula nello spazio cosmico, per permettere all’uomo di conquistare un nuovo mondo fra le stelle.
— Che cosa stiamo aspettando? — domandò Magnus con voce lagnosa.
— Magari non succede niente — disse Capodimonte.
Kirby non parlò. Pochi istanti più tardi la nave si sollevò da terra.
nove
Kirby non sapeva esattamente che cosa aspettarsi. Pensando a quella scena, aveva immaginato i ragazzi venusiani che, tenendosi per mano, danzavano e saltellavano attorno al velivolo, la fronte rigonfia per lo sforzo di sollevarlo e scagliarlo nel cosmo. Ma dei venusiani non c’era traccia. Gli artefici dell’indispensabile spinta propulsiva si trovavano all’interno dell’edificio costruito per loro, a un centinaio di metri di distanza, e Kirby sospettava che non si stessero affatto tenendo per mano e che non mostrassero nemmeno segni esteriori di fatica.
Nelle sue fantasie aveva anche immaginato che la nave sarebbe partita come un razzo, dapprima sollevandosi di qualche metro da terra, oscillando per alcuni istanti per poi sollevarsi ancora di qualche decina di metri e sfrecciare a velocità vertiginosa fino a scomparire nell’azzurro del cielo. Ma non accadde così.
Kirby attese. Passò un lungo istante.
Pensò a Vorst che sarebbe atterrato su un altro pianeta. Un pianeta abitato, magari. Quale sarebbe stata la sua influenza su quel mondo vergine? Vorst aveva una forza irresistibile, terrificante e unica. Ovunque andava aveva il potere di trasformare le cose attorno a sé. Kirby compativa i dieci sventurati pionieri che lo accompagnavano in quella spedizione. Si domandò che razza di colonia avrebbero fondato.
Ma di una cosa era sicuro: la loro missione avrebbe avuto esito positivo. Vorst era un uomo votato al successo. Era schifosamente vecchio, ma possedeva ancora una vitalità strabiliante. Sembrava che non vedesse l’ora di affrontare una nuova sfida, di ricominciare daccapo. Kirby gli augurò ogni bene.
— Sono partiti — disse Capodimonte in un sussurro.
Era vero. La capsula era ancora a terra, ma attorno a essa l’aria aveva cominciato tremare, come se fosse percorsa da ondate di calore che si innalzavano dal terreno sabbioso e arso.
Un attimo dopo la capsula scomparve.
Era tutto finito. Kirby fissò il vuoto lasciato dal velivolo interstellare. Vorst era salito in cielo e, da qualche parte, si era aperta una porta.
— Esiste un’Unità da cui ha origine tutta la vita — intonò una voce gentile alle sue spalle. — Dobbiamo l’infinita varietà dell’universo al moto degli elettroni.
— Uomo e donna, stella e pietra, albero e uccello… — intonò un’altra voce.
— Nel nome dello spettro, del quanto e del santo angstrom… — attaccò un terzo fratello.
Kirby non ascoltò le preghiere che conosceva a memoria, né si unì al coro. Diede di nuovo una rapida occhiata al deserto scabro, poi levò gli occhi verso il cielo freddo che la sera, ormai prossima, tingeva di scuro. Era tutto finito. Vorst era partito; il suo progetto, per quanto riguardava la Terra, si era compiuto. Adesso era il turno degli uomini minori. La strada era aperta. L’umanità si sarebbe potuta riversare nei cieli. Forse. Forse.
Solo, in mezzo alla grande folla dei fedeli, Kirby voltò le spalle al luogo sacro dal quale Vorst era asceso in cielo. Poi, mentre gli ultimi raggi di sole proiettavano un’ombra gigantesca del suo corpo alto e magro, si allontanò dal luogo in cui Noel Vorst era stato e si avviò verso il luogo in cui Davide Lazzaro lo stava aspettando.