— Scendiamo — ordinò Kirby.
Il robopilota virò in direzione di un’area di atterraggio. Era impossibile sfidare i forti venti che spiravano nei canyon, perciò sarebbero dovuti atterrare sul tetto di un palazzo attrezzato a eliporto. L’atterraggio fu morbido. Kirby e Vanna uscirono dall’abitacolo e si allontanarono di corsa dalle pale rotanti. Per tutta la durata del viaggio Vanna gli aveva illustrato la parola di Vorst e adesso lui non sapeva più se giudicare quella religione un cumulo di baggianate, un sinistro attentato alla stabilità e al benessere del paese o un credo realmente profondo, mirato alla elevazione spirituale degli uomini: o forse un insieme di tutte e tre le cose.
In ogni caso, si era fatto un’idea generale del movimento vorsteriano. Vorst aveva dato vita a una religione assolutamente eclettica, condendo assieme alla meglio elementi di diverse fedi: la confessionalità del cattolicesimo, un certo ateismo proprio del buddismo e il principio della reincarnazione caro all’induismo. E poi aveva lardellato il tutto con trappole supermoderne, reattori nucleari su ogni altare e un’abbondanza di chiacchiere sul sacro elettrone. Ma la sua filosofia contemplava anche lo sfruttamento dei poteri degli esperiani per conquistare nuovi pianeti, la comunione delle menti, anche quelle non esperiane, e, fatto ancora più sconcertante e sicuramente di maggior impatto emotivo sulle persone, la prospettiva dell’immortalità: non la reincarnazione, non la speranza del Nirvana, ma la vita eterna in spoglie umane, in carne e ossa. Considerando i problemi di sovrappopolazione della Terra, nessun uomo sano di mente poneva l’immortalità in cima alla lista delle priorità. Non l’immortalità degli altri, quanto meno: a chi non piaceva pensare di poter vivere per sempre? Vorst predicava la vita eterna del corpo e la gente accorreva da lui. Nell’arco di otto anni, il numero degli adepti era passato da cinquanta unità a svariati milioni e il numero delle chiese si era centuplicato. Le vecchie religioni erano fallite: Vorst, invece, elargiva monete d’oro e, se anziché d’oro erano fatte di ferro dorato, ai suoi seguaci sarebbe occorso molto tempo per accorrersene.
— Andiamo — disse Kirby. — Non c’è tempo da perdere.
Smontò di corsa dall’elicottero, poi si voltò a porgere la mano a Vanna per aiutarla a scendere gli ultimi gradini. Attraversarono correndo l’area di atterraggio, entrarono in un pozzo di gravità e, dopo una discesa mozzafiato di cinque secondi, raggiunsero il livello stradale. Una pattuglia della polizia municipale lo stava aspettando. Avevano tre lacrime.
— In questo momento si trova a un isolato dalla chiesa dei Vorsteriani, libero cittadino Kirby — lo informò uno dei poliziotti. — L’esperiana lo sta intrattenendo da mezz’ora, ma lui è più deciso che mai a raggiungere il tempio.
— Per quale motivo? — domandò Kirby.
— Vuole il reattore. Sostiene di volerlo portare su Marte per poterlo sfruttare.
Vanna sgranò gli occhi scandalizzata di fronte a quella bestemmia. Kirby scrollò le spalle, si sedette e guardò fuori dal finestrino. Dopo una rapida corsa, la lacrima si fermò. Sul lato opposto della strada, Kirby riconobbe Nat Weiner.
La ragazza che era insieme a lui era ben tornita e terribilmente sexy. Camminavano a braccetto. Lei gli si strusciava contro e gli stava mormorando qualcosa all’orecchio. Weiner scoppiò in una risata sguaiata, poi si voltò e l’attirò a sé. Ma dopo un istante la allontanò. Lei gli strinse di nuovo al fianco. Stavano per litigare, pensò Kirby. La strada era stata sgomberata. Alcuni poliziotti e un paio degli uomini di Ridblom seguivano la scena da lontano, cupi in volto.
Kirby avanzò e fece un cenno alla ragazza. Lei percepì immediatamente chi fosse, sciolse il proprio braccio da quello del marziano e fece un passo indietro. Nat Weiner si voltò di scatto.
— E così mi hai trovato?
— Non volevo che commettessi qualcosa di cui poi ti saresti pentito.
— Molto leale da parte tua, Kirby. Be’, visto che adesso sei qui, puoi diventare mio complice. Sto andando alla chiesa vorsteriana. Sprecano prezioso materiale fissile facendo funzionare quei reattori per niente. Così, mentre tu distrai il prete io afferro il reattore, dopodiché vivremo tutti felici e contenti. Bada però che non ti colpisca. Non è una cosa piacevole.
— Nat…
— Sei dalla mia parte o no, amico? — Weiner gli indicò il palazzone squallido quasi quanto quello di Manhattan, che ospitava il tempio. L’edificio sorgeva a metà circa dell’isolato successivo, dalla parte opposta della strada.
Weiner attraversò. Kirby lanciò a Vanna un’occhiata titubante. Poi seguì il marziano. Si accorse che anche la ragazza, profondamente turbata, li stava seguendo.
Quando Weiner fu sul punto di varcare la soglia della chiesa, Vanna scattò in avanti e gli si parò dinnanzi.
— Aspetti — gli disse. — Non entri lì dentro a combinare guai.
— Levati di torno, brutta sgualdrina con la faccia finta!
— La prego — lo implorò lei con dolcezza. — Lei è un uomo pieno di problemi. Non vive in armonia con se stesso e men che meno con il mondo che la circonda. Entri insieme a me e io le insegnerò a pregare. C’è un tesoro che l’aspetta lì dentro. Se solo fosse disposto ad aprire il suo cuore e la sua mente, anziché continuare a crogiolarsi nel suo odio, nel suo caparbio rifiuto di vedere…
Weiner la colpì.
Un manrovescio in pieno viso. Le protesi chirurgiche sono fragili: non sono fatte per venire prese a schiaffi. Vanna cadde in ginocchio, piangendo e premendosi le mani sul volto. Ma, anche in quella posizione, continuava a sbarrare la strada al marziano. Weiner piegò una gamba come se stesse per sferrarle un calcio ma, in quel momento, Reynolds Kirby scordò che lo pagavano per fare il diplomatico.
Avanzando con decisione, afferrò Weiner per il gomito e lo costrinse a voltarsi. Il marziano perse l’equilibrio e cercò di aggrapparsi al braccio di Kirby. Ma lui gli allontanò la mano con uno schiaffo, poi serrò il pugno e lo affondò nel suo addome muscoloso. Weiner boccheggiò e barcollò. Erano trent’anni che Kirby non colpiva un uomo in un eccesso di rabbia e fino a quel momento non si era mai reso conto del piacere selvaggio che procurava un gesto così primordiale. Il suo corpo fu percorso da una scarica di adrenalina. Colpì Weiner di nuovo, appena sotto il cuore. Il marziano, gli occhi sgranati per lo stupore, crollò e finì lungo disteso in mezzo alla strada.
— Alzati — urlò Kirby, quasi stordito dalla rabbia.
Ma Vanna gli tirò la manica della tunica. — Si fermi, adesso. Basta — mormorò. Aveva le labbra metalliche completamente deformate e le guance luccicanti di lacrime. — La prego, non gli faccia del male.
Weiner, ancora a terra, scuoteva debolmente la testa. Il trio fu raggiunto da un quarto individuo: un uomo basso con il viso coriaceo. Il console marziano. Kirby si sentì serrare la bocca dello stomaco.
Il console disse: — Sono terribilmente spiacente, libero cittadino Kirby. Immagino che il libero cittadino Weiner abbia perso la testa e si sia comportato da vero sciocco. Da questo momento ce ne occuperemo noi. Quello di cui ha bisogno adesso è che qualcuno della sua razza gli spieghi quali stupidaggini ha commesso.
— No, la responsabilità è soltanto mia — balbettò Kirby. — L’ho perso di vista e non doveva succedere. La colpa non è sua. Lui…
— Comprendiamo benissimo, libero cittadino Kirby. — Il console gli rivolse un sorriso benevolo, poi fece un cenno ai suoi tre assistenti, che si avvicinarono e sollevarono Weiner fra le braccia.
In men che non si dica, la strada si svuotò. Kirby rimase solo con Vanna davanti all’ingresso del tempio, esausto e stordito. Tutti gli altri se ne erano andati e Weiner era svanito come l’orco di un brutto sogno. Non era stata una serata molto felice, pensò Kirby. Ma adesso era tutto finito.