Poteva finalmente ritornare a casa.
In un’ora e mezzo sarebbe arrivato a Tortola. Una veloce e solitaria nuotata nell’acqua tiepida dell’oceano e l’indomani una seduta di mezz’ora nella Camera del Nulla. No, di un’ora, decise Kirby. Avrebbe avuto bisogno di almeno un’ora di trattamento per recuperare la fatica e lo stress di quella sera. Un’ora di dissociazione dalla realtà, un’ora in cui crogiolarsi nel liquido amniotico, caldo, protetto, lontano dalle tensioni, un’ora di fuga codarda ma meravigliosa, dal mondo. Bello. Stupendo.
— Le va di entrare? — gli domandò Vanna.
— Nel tempio?
— Sì, la prego.
— Adesso è tardi. La riporto subito a New York. Pagheremo noi i costi di ricostruzione… del suo viso. L’elicottero ci sta aspettando.
— L’elicottero può aspettare — replicò Vanna. — Entri insieme a me.
— Voglio ritornare a casa.
— Anche quello può aspettare. Mi dedichi due ore del suo tempo, Ron. Entri e ascolti quello che hanno da dirle lì dentro. Si accosti all’altare con me. Non dovrà fare niente, soltanto ascoltare. Vedrà, si rilasserà, glielo prometto.
Kirby fissò il suo volto artificiale deturpato dallo schiaffo di Weiner. Sotto quelle palpebre grottesche c’erano occhi veri, occhi pieni di luce, che lo fissavano con espressione implorante. Perché tutto quell’entusiasmo? Gli adepti venivano pagati per ogni anima smarrita che riuscivano a trascinare al cospetto del Fuoco Azzurro? O era possibile che Vanna credesse veramente in quella religione, che fosse coinvolta anima e corpo in quel movimento, che fosse sinceramente convinta che i seguaci di Vorst sarebbero vissuti in eterno e che avrebbero visto gli uomini attraversare lo spazio e conquistare nuove stelle?
Si sentiva così stanco.
Si domandò come avrebbero reagito al dipartimento per la sicurezza della Segreteria Generale, se un funzionario di alto grado come lui avesse mostrato simpatia per il credo vorsteriano.
Si domandò anche se avesse ancora una carriera da salvare dopo il clamoroso fallimento di quella sera con il marziano. Che cos’aveva da perdere? In più ne avrebbe approfittato per riposarsi un po’. Gli scoppiava la testa. Magari in quella chiesa avrebbe incontrato un’esperiana disposta a massaggiargli i lobi frontali. Gli esperiani erano molto attratti dalle chiese vorsteriane, ora che ci pensava.
Quel luogo esercitava uno strano fascino anche su di lui. Aveva fatto del lavoro la sua religione, ma ne valeva veramente la pena? Forse era giunto il momento di rilassarsi, di gettare quella maschera di indifferenza e cercare di capire che cosa spingesse tutte quelle persone ad affollare i templi dei vorsteriani. O, forse, era soltanto giunto il momento di cedere le armi e di lasciarsi travolgere dall’onda di quel nuovo credo.
Il cartello appeso alla porta recitava:
— Allora? — domandò Vanna.
— D’accordo — borbottò Kirby. — Sono pronto. Andiamo ad armonizzarci con il Tutto.
Lei lo prese per mano. Entrarono nella sala adibita al culto. C’erano una decine di fedeli inginocchiati nei banchi. Sull’altare, un uomo robusto e dai modi risoluti stava facendo uscire lentamente le barre del moderatore da un piccolo reattore, e un primo riflesso azzurrognolo cominciava a diffondersi nella stanza. Vanna condusse Kirby verso l’ultima fila di banchi. Kirby guardò in direzione dell’altare. La luce diventava sempre più intensa e gettava uno strano riflesso sull’uomo. Ora era bianca-verdastra, ora rossa, ora il Fuoco Azzurro dei vorsteriani.
L’oppio delle masse, pensò Kirby, ma all’improvviso quella frase fatta gli apparve stupidamente cinica. Dopo tutto, che cos’era la Camera del Nulla se non l’oppio di pochi privilegiati? E i palazzi degli sniffatori? Per lo meno lì la gente veniva a cercare il benessere della mente e dell’anima, non i piaceri del corpo. Valeva comunque la pena investire un’ora del suo tempo per ascoltare.
— Fratelli — esordì l’officiante con voce pacata e uniforme come la nebbia — siamo qui per celebrare l’Unità di tutte le cose. Uomo e donna, stella e pietra, albero e uccello, sono tutti fatti di atomi e ogni atomo contiene particelle che si muovono a una velocità portentosa. Queste particelle, fratelli, sono gli elettroni. E gli elettroni ci mostrano la via della pace, come adesso vi spiegherò. Queste minuscole entità…
Reynolds Kifby chinò la testa. D’un tratto, era come se non potesse più sostenere la vista di quel reattore. Qualcosa palpitava nel suo cervello. Accanto a lui Vanna era una presenza sfocata, eppure sorridente, calda, vicina.
Sto ascoltando, pensò Kirby. Va avanti. Parla! Dimmi tutto! Voglio sentire. Dio e onnipotente elettrone aiutatemi… Io voglio sentire!
DUE
2095
I Guerrieri della Luce
uno
Se l’Accolito di Terzo Livello Christopher Mondschein aveva una debolezza, era quella di bramare una vita eterna. Il desiderio di vivere per sempre è abbastanza diffuso fra gli uomini, e non è di per sé realmente riprovevole. Ma l’Accolito Mondschein esagerava un po’.
— Dopo tutto — fu costretto a ricordargli un giorno uno dei suoi superiori — il tuo compito all’interno della Confraternita è quello di preoccuparti del bene degli altri. Non quello di pensare al tuo tornaconto. Sono stato chiaro?
— Perfettamente chiaro, fratello — rispose Mondschein, teso. Era sul punto di esplodere per la vergogna, il rimorso e la rabbia. — Vedo il mio errore e chiedo perdono.
— Non è una questione di chiedere perdono, Accolito Mondschein — rispose l’anziano uomo. — L’importante è che tu capisca. Di perdonarti non mi importa un accidente. Quali sono i tuoi ideali, Mondschein? Qual è lo scopo della tua vita?
L’accolito esitò prima di rispondere, in primo luogo perché era buona norma soppesare le parole prima di esprimersi di fronte a un superiore e, in secondo luogo, perché sapeva di camminare sul filo del rasoio. Tirò nervosamente le pieghe della veste e lasciò vagare lo sguardo per il tempio, imponente nella sua magnificenza gotica.
Si trovavano nel matroneo, sopra la navata centrale. Non vi era nessuna funzione in corso in quel momento, ma i primi banchi erano occupati da alcuni fedeli che pregavano, inginocchiati di fronte alla luce azzurra emanata da un piccolo reattore al cobalto, collocato sull’altare. Era il tempio di Nyack della Confraternita della Radianza Immanente, la terza chiesa, in ordine di grandezza, dell’area newyorchese. Mondschein era entrato a farne parte sei mesi prima, il giorno del suo ventiduesimo compleanno. Allora aveva sperato che fosse un autentico sentimento religioso a indurlo a devolvere tutti i suoi averi alla chiesa vorsteriana. Ma adesso non ne era più così sicuro.
Si aggrappò alla balaustra del matroneo e, a bassa voce, disse: — Voglio aiutare le persone, fratello. Persone in generale e persone in particolare. Voglio aiutarli a trovare la via. Voglio che l’umanità sia consapevole dei grandi ideali che deve perseguire. Come predica Vorst…
— Risparmiami le scritture di Vorst, Mondschein.
— Cercavo soltanto di spiegarle…
— Lo so. Ascolta, non capisci che una scala si sale gradino dopo gradino? Non puoi scavalcare i tuoi superiori, come se giocassi alla cavallina, anche se sei impaziente di arrivare in cima. Vieni un attimo nel mio ufficio.
— Sì, fratello Langholt. Come vuole lei.
Mondschein seguì l’anziano confratello verso gli uffici amministrativi del tempio. L’edificio era di recente costruzione e incredibilmente bello, neanche lontanamente paragonabile ai palazzi vecchi e squallidi che, un quarto di secolo prima, avevano ospitato le prime sale adibite al culto. Con la mano ossuta, Langholt toccò lo stipite della porta, che si dilatò immediatamente. I due uomini entrarono.