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William Katz

Visioni di terrore

Topeka, Kansas, 3 aprile. Una bambina dell’apparente età di dieci anni è saltata o è stata spinta giù da un traliccio della ferrovia ed è morta dopo qualche attimo sotto le ruote di un treno che sopraggiungeva. La vittima non è stata identificata.

Alcuni testimoni affermano d’aver visto un uomo allontanarsi di corsa dal traliccio subito dopo l’accaduto, ma non sanno dire se lui…

1

Tarrytown, New York, 3 Aprile

A Vera parve che il sangue le abbandonasse braccia e gambe, rendendola inerte. Non poteva essere, pensò, implorò. Non poteva perdere anche Annie. Non con Harry che se n’era andato.

Sedeva rigida su una sedia di legno in una piccola sala d’aspetto del pronto soccorso. Il tanfo della formaldeide, dello iodio, del sangue umano rappreso impregnava l’atmosfera e le rivoltava lo stomaco. Udì gli strilli di Annie mentre i dottori cercavano di alleviare il dolore che le tormentava il corpicino così minuto e le straziava gli occhi.

Non doveva morire, non poteva morire. Era solo un brutto sogno.

Ma la temperatura di Annie era stata di oltre 41° quando Vera, alle due di mattina, si era precipitata al Roselawn con lei che gridava istericamente di non vederci più. Da piccola Vera aveva visto una sua cuginetta entrare in crisi e morire di colpo, mentre poche ore prima era stata del tutto normale. Vera aveva anche sentito di cose del genere capitate ad altri bambini, ma non riusciva a credere che qualcosa potesse accadere alla sua piccola.

E Annie continuava a gridare. Ondate di sofferenza che sconvolgevano Vera, attraversandola come colpi di coltello.

Vera McKay strinse i pugni e pregò per la sua bambina di sette anni. Sembrava più giovane dei suoi trentasette anni, con il viso minuto e pulito che mostrava solo qualche leggera ruga. I corti capelli castani, solitamente ben pettinati, erano tutti in disordine e le ricadevano scomposti sulla fronte. Si era infilata in fretta un semplice abito verde di cotone. Aveva esattamente l’aspetto della donna che era, una donna con pochi grilli per la testa, ma che, sopra ogni cosa, aveva il culto della semplice vita familiare.

Alzò per un attimo gli occhi proprio mentre le passava davanti, in fretta, un’infermiera con un vassoio pieno di medicine. Vera si alzò di scatto per chiedere di Annie, ma l’infermiera era già sparita prima che lei potesse raggiungere la porta. Si lasciò allora ricadere sulla sedia.

«Mamma!» udì Annie che gridava. Vera ebbe l’impulso irrefrenabile di correre nel locale del pronto soccorso, al di là del banco dell’accettazione. Ci aveva già provato una volta, solo per esserne respinta dagli inservienti.

Così rimase seduta, alzando ogni tanto gli occhi per vedere pazienti arrivare in barella, alcuni coperti da lenzuola macchiate di sangue. Fu assalita da un senso lancinante di solitudine, dal bisogno di piangere, senza avere qualcuno con cui piangere. Tra un grido e l’altro di Annie era ossessionata dalle ininterrotte chiamate che la voce dell’altoparlante, continuamente percorsa da una vibrazione elettronica, rivolgeva ai medici.

Inevitabilmente le tornò il ricordo dell’anno prima, solo per acuire la sua sensazione di vuoto desolato. Se fosse successo allora certamente Harry le sarebbe stato vicino, tenendola per mano, tranquillizzandola. Era stato un marito così completo e pareva che la vita con lui non dovesse mai finire.

L’immagine di Harry, solido, muscoloso, socievole, era lì, davanti a lei, quando all’improvviso scomparve per l’apparizione sulla porta di un giovane interno tutto sudato.

«Mrs. McKay?»

Vera alzò gli occhi, puntandoli sullo stetoscopio che gli spuntava dalla tasca del camice verde, poi sulla cartella clinica che teneva in mano.

«Sono il dottor Marsh.»

«Come sta mia figlia?» chiese ansiosamente Vera.

«La stiamo sottoponendo a degli esami.»

«E questo che cosa significa?»

«Speriamo per il meglio. Si tratta probabilmente di un’infezione virale che in particolare colpisce gli occhi. Non sappiamo ancora che cosa sia. Abbiamo chiamato gli specialisti.»

«E la vista?»

«Lasci che prima si normalizzi… se possiamo.»

«C’è il dottor Laval?»

«È arrivato qualche minuto fa con la cartella clinica di Annie. È un eccellente pediatra. Lei è fortunata ad averlo.»

«Sì. Sì, lo so. Mio marito voleva sempre che interpellassimo lui.»

Marsh si accorse che Vera era in uno stato di semichoc, conscia solo in parte di quanto stava succedendo. «Mrs. McKay», le disse con dolcezza, «devo sapere qualcosa di più di ciò che è scritto sulla cartella del dottor Laval. Se la sente di rispondere a qualche domanda?»

Vera inspirò profondamente, cercando di controllarsi. «Ci proverò», rispose.

Marsh si sedette su una grande sedia con il cuscino strappato e sbirciò la cartella. «Be’, non che sia importante, ma ha compilato i moduli che ci autorizzino a?…»

«Mi hanno fatto firmare delle carte quando siamo arrivate.»

«Molto bene. Ora, signora, Annie ha mai avuto disturbi come questi?»

«No», rispose Vera con voce rauca e malferma. «È sempre stata una bambina sanissima.»

Proprio in quel momento l’altoparlante emise uno stridore sonoro, seguito dal crepitìo di un circuito difettoso. Vera sussultò. Marsh, abituato alla cosa, aveva già pronta un’altra domanda.

«Nelle ultime ventiquattr’ore ha mangiato qualcosa di insolito?»

«No, non a casa. Naturalmente ha fatto colazione a scuola. Ma se ci fosse stato qualcosa di dannoso avreste qui altri bambini, almeno penso.»

«Probabile.» Marsh notò che a Vera tremavano le mani mentre lei giocava nervosamente con la fede matrimoniale. «Cerchi di calmarsi, Mrs. McKay. Le darò qualche pillola.» Portò la mano al taschino.

«No», si oppose Vera. «Ho preso quella roba dopo che mio marito… se n’è andato. Mai più.» Guardò Marsh, con una domanda negli occhi arrossati. «Lei sa di mio marito?»

«Oh, certo. Tutta quella pubblicità», rispose Marsh, imbarazzato. «Annie ha spesso mal di testa?»

«Non più di qualsiasi bambino normale.»

«Ferite alla testa? Contusioni?»

«No, che io sappia.»

«Qual è stata la temperatura massima che abbia mai avuto?»

«Quasi trentanove. Quando ha preso il morbillo, ma poi è scesa rapidamente.»

«Stava facendo qualche cura? Prendendo qualche medicina?»

«No. Le ho dato dello sciroppo contro la tosse, ieri. Nient’altro.»

«Ha la tosse?»

«Un pochino.»

«Bene. Ora, Mrs. McKay, riguardo il suo… be’, problema familiare. Capisco che per lei l’argomento è difficile, ma devo comunque farle la domanda: c’è stato nessun mutamento nel suo rapporto con Annie dopo la sparizione di Mr. McKay?»

«I compagni di scuola la prendevano in giro. Le dicevano che suo papà se n’era andato perché lei aveva una mamma impossibile.» Le lacrime velarono gli occhi di Vera, per poi inondarle il viso. «Naturale che c’è stato un cambiamento nei nostri rapporti. Doveva esserci.»

«Che genere di cambiamento?»

«Non volevo vedere più nessuno. Sapevo che cosa diceva la gente. Ho cominciato persino a sentirmi colpevole. A pensare che forse era davvero colpa mia se Harry se n’era andato.»

«Non dica così.»

«Lo pensavo. C’era in casa un’enorme tensione. Per un certo tempo ad Annie ho rivolto appena la parola. Lei era tutto ciò che mi era rimasto, ma… Mi limitavo esclusivamente ad aspettare e speravo che Harry tornasse.» L’espressione cupa di Vera diventò anche allarmata. «Questa cosa riguarda anche ciò che è successo ad Annie?»

«Mrs. McKay», rispose Marsh, «lo stato psicologico di Annie può anche essere in relazione con il suo male. Spesso a un violento trauma mentale seguono sintomi fisici.»